Recensione: Il grembo paterno di Chiara Gamberale (Feltrinelli Editore)

Il grembo paterno di Chiara Gamberale (Feltrinelli Editore)

 

Torna in libreria una delle penne più importanti del panorama letterario italiano, Chiara Gamberale.

A meno di un anno di distanza dal suo precedente lavoro, “Il mare in un bicchiere” (Feltrinelli Editore), porta alle stampe “Il grembo paterno”, un libro intenso, commovente, ispirato e profondo. Ogni volta che si legge un libro di Chiara Gamberale è come se si fosse catapultati sulla poltrona di un psicoanalista , si entra dentro se stessi, nel proprio intimo, nell’io più recondito, all’origine delle proprie emozioni. L’io narrante di questa storia è Adele, un personaggio complesso, a cui la vita non ha risparmiato colpi bassi ma che in qualche modo cerca sempre di trovare una strada verso la felicità, verso la serenità. La vita di Adele è legata soprattutto a due uomini in particolare, il padre Rocco e Nicola. Rocco è in un certo senso il primo uomo che l’ha tradita, quello che non c’era mai pienamente, quello delle grandi assenze, delle grandi attese. Nicola è il pediatra di sua figlia Frida ed è l’uomo che le ruba il cuore, di cui lei si innamora. Gli amori che Chiara Gamberale racconta nei suoi romanzi non sono mai amori tradizionali, amori che trovano alla fine una loro pacificazione, sono sempre amori molto sofferti, complessi, pieni di sfaccettature e non fa eccezione in questo suo ultimo libro. L’amore di Adele per Nicola, uomo sposato, è un amore fatto di piccole crepe, di sottrazioni, di attese, di assenze. C’è una frase che a mio avviso spiega molto, quella in cui dice “Dentro di me lo lasciavo, ma continuavo comunque ad aspettare. Che mi chiamasse, che mi scrivesse, mi toccasse, mi riempisse. Che m’affamasse”. E’ quel “m’affamasse” la parola chiave, il filo rosso che lega i sentimenti verso Nicola e il rapporto avuto con il padre, perché alla fine è complicato smettere di essere affamati quando questo stato è quello che si è assorbito nell’infanzia, all’interno del grembo paterno, quando tutto ciò che si poteva fare era aspettare, amare, succhiare le poche gocce d’amore, che come gocce di rugiada da una foglia, ogni tanto scendevano a rinfrescare il cuore. Adele galleggia nel grembo paterno nel periodo dell’adolescenza per poi attaccarsi ad un amore irrisolto ed irrisolvibile quando conosce Nicola, uomo dalle mille facce, marito, padre, pediatra, uomo da cui dipendono i suoi figli, uomo sempre pronto per i figli altrui, uomo che per Adele significa un nuovo galleggiamento tra perenni attese, piccoli distillati di serenità subito sostituiti da lunghi momenti di assenze. Leggendo il romanzo impariamo a conoscere Adele e ad amarla, a sentirci molto vicini a lei, alle sue fragilità, alle sue paure, ai suoi desideri di fuga da una realtà oppressiva ed opprimente alla ricerca di una vita diversa, di una realtà nuova. Sarà la conduttrice, per vent’anni, di una trasmissione sugli adolescenti, chiamata “L’Adolescenza”. Questa parola, questo trucco lessicale se vogliamo, l’ho vista come una parola che rappresenta una condizione in cui ci troviamo un po’ tutti noi, quando sentiamo di far fatica a passare dalla nostra adolescenza all’essere compiutamente adulti, una sorta di adolescenza infinita. Questo è davvero un libro importante, un libro da leggere e rileggere, un libro che pone domande, un libro che scava nel nostro io, che ci mette davanti ad uno specchio ad osservare cosa siamo, cosa siamo stati e cosa potremmo essere. La lettura di questo libro è un viaggio interiore importante da cui si torna cambiati, da cui si torna diversi da cui secondo me si torna migliori.

 

David Usilla

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