Intervista Andrea Guglielmino – Samuel Stern – Il V comandamento –

Intervista Andrea Guglielmino – Samuel Stern – Il V comandamento –

È tornato a trovarci Andrea Guglielmino questa volta con lui parleremo dell’albo n. 27 di Samuel Stern che abbiamo da poco recensito.

 

Come nasce il tuo rapporto di collaborazione con la Bugs Comics?

Dall’amicizia con l’editore Gianmarco Fumasoli, nata a sua volta da una passione comune. Nel 2013 gravitavamo entrambi attorno alla redazione della rinata rivista Splatter, cult degli anni ’90, e quindi anche nostro, che in quel momento si stava rilanciando. Eravamo già grandicelli entrambi e vedevamo in ‘Splatter’, oltre che naturalmente il ritorno di un vecchio amico cartaceo che aveva accompagnato la nostra adolescenza, una delle ultime, forse l’ultima occasione per lanciarci come fumettisti. Volevamo assolutamente far parte del progetto in qualche modo. Io riuscii a convincere Paolo Di Orazio e Paolo Altibrandi (che oggi è anche l’eccelso uomo dietro alla grafica dei progetti Bugs Comics) a darmi una possibilità… come redattore! Mi dissero infatti che non cercavano nuovi sceneggiatori perché erano già pieni di proposte da gente esperta, ovviamente molto più esperta di me che a quei tempi non avevo proprio nessun curriculum come scrittore. Ma ne avevo invece uno abbastanza avviato come giornalista cinematografico con facile accesso a festival e anteprime stampa. Nessuno meglio di me poteva raggiungere registi, attori, sceneggiatori e musicisti del genere horror (o affini)  per strappargli un paio di domande e magari un ‘Ciao Splatter!’ con tanto di foto con la rivista in mano, che faceva molto figo dando un’impressione di presenza sul mercato e internazionalità. Così ‘beccai’ Eli Roth, Quentin Tarantino e Robert Rodriguez (la trimurti) ognuno con una copia della rivista in bella vista… e poi Lamberto Bava, Umberto Lenzi, il grande compositore Fabio Frizzi… fu una bella stagione e mi affidarono la rubrica di apertura, Phantasmagorie. Ovviamente proponevo costantemente anche storie a fumetti, ma senza grosso successo, finché non me ne accettarono una… proprio poco prima che la rivista chiudesse. Anche a Gianmarco era accaduta la stessa cosa e così, confrontandoci, ci siamo detti “facciamoceli da soli i nostri fumetti”. Io però non ero capace. Cioè, sapevo scrivere, ma non avevo le capacità o il tempo per occuparmi del resto. Mettere su una casa editrice, gestirla, farla fruttare, non è proprio cosa per me. Sono un intellettuale puro. La nascita della Bugs e il suo successo si devono tutti alle capacità imprenditoriali di Fumasoli, che contestualmente è anche un bravo sceneggiatore. Siamo partiti nel 2015 presentandoci a Lucca Comics con un solo fumetto in mano, il numero 1 della rivista ‘Mostri’, che però aveva dalla sua un nome importante… negli anni ’90 infatti ‘Mostri’ era stata il contraltare di ‘Splatter’, basata su un horror più fantasy che metropolitano. E piano piano il successo della Bugs si è costruito. Sono arrivate ‘Alieni e ‘Gangster’, rispettivamente su fantascienza e noir… io cercavo di essere sempre presente, come editorialista ma stavolta anche come fumettista. Poi altre testate e infine l’approdo in edicola con Samuel Stern, sempre tra mille difficoltà come la crisi delle edicole e il Covid. In più occasioni ci siamo sentiti dire che eravamo pazzi, che quello che volevamo fare non si poteva fare. Che in Italia c’era un monopolio per i fumetti e non c’era spazio per proposte nuove. Ma non era vero. Era solo che nessuno lo aveva mai fatto prima. Nessuno aveva avuto la tenacia di Fumasoli. Come diceva Nelson Mandela “tutto sembra impossibile finché qualcuno non lo fa”. Era quasi ‘scontato’, visto tutto questo percorso insieme, che io scrivessi qualcosa per Samuel Stern, e infatti così è stato. Questo è il mio secondo albo da sceneggiatore. In più serviva un direttore responsabile. Tutte le testate devono averne uno, e deve essere un giornalista tesserato. Io lo sono, e voilà. Giochi fatti.

Cosa pensi del genere Horror per i fumetti?

Tutto il bene possibile, ovviamente, altrimenti non lo scriverei. Amo l’horror perché è un genere di grande potenzialità, lavora su simboli forti e si può usare in mille modi diversi. A me piace usarlo come viatico per parlare d’altro. Di temi sociali, della condizione umana… l’horror è sempre simbolico, anche quando non vuole esserlo, quindi tanto vale sfruttare questa sua caratteristica. Ne La notte dei morti viventi Romero usava gli zombi come metafora della rivolta del proletariato che si mangiava, letteralmente, i padroni. Anche Dylan Dog ha utilizzato questa immagine, usandola come ‘start’ per raccontare i disagi dell’epoca in cui nasceva, l’epoca dei consumi e della corsa all’acquisto che però ci rendeva tutti più deumanizzato e insensibili. La classica line del ‘I veri mostri siamo noi’, o comunque vivono tra noi, coma parassiti o vampiri. Samuel Stern invece si proietta naturalmente nell’oggi. Se Dylan Dog era un fumetto post moderno, Samuel è post-post moderno. Cosa ci fa più paura oggi? Presi come siamo da continui input che non abbiamo tempo di elaborare, o impegnati come siamo a costruirci profili e rapporti virtuali, quello che più rischiamo è la spersonalizzazione. Di arrivare a un certo punto senza riconoscerci, sentendoci non più agenti e artefici del nostro destino, ma ‘agiti’ da qualcuno che vuole controllarlo, elemento alla base anche di tante teorie del complottismo, che di base hanno una narrazione tanto affascinante quanto lacunosa. Il simbolo di questa spersonalizzazione può essere, come avviene in Stern, quello della possessione demoniaca. Ne ‘Il quinto comandamento’ la difficoltà di Samuel e Duncan è capire quale sia la vera volontà della persona che stanno curando, perché a volte a parlare per lui è lo sconforto, e a volte il Demone che ha dentro. Una volta capito questo, trovano una strada, che però è costellata da mille dubbi e domande. L’horror è figlio della tragedia greca, che infatti finiva sempre nel sangue. E la scelta tragica è tragica perché non esiste il libero arbitrio – e pensa che trauma in una serie che parla anche di tematiche religiose – non si può scegliere tra un bene e un male ma ci si trova davanti a due morali contrastanti ed entrambi valide. Qualsiasi strada si prenda è un bene, ma anche un male. Avevo posto già Samuel di fronte a una situazione analoga nel mio albo precedente, ‘Il secondo girone’, a cui tra l’altro stiamo per dare un seguito su richiesta dei lettori che lo hanno amato, e ne ‘Il quinto comandamento’ questo mio orientamento ‘tragico’ torna più forte che mai. L’orrore, per me, è quello, e non può prescindere dalla tragedia. Non c’è via d’uscita, come negli slasher in cui sai già che l’assassino prenderà la vittima. Non sai quello che gli farà, ma non finirà bene.

Qual è stato il primo fumetto che hai letto ? e quello che ti ha fatto capire senza ombra di dubbio che in qualche modo i fumetti avrebbero fatto parte del tuo mondo?

Difficile dire con certezza quale sia stato il mio primo fumetto mai letto perché ero veramente molto piccolo, ma scommetterei che si trattasse di qualche Uomo Ragno della Corno. Ti parlo del 1977, 78 al massimo. Avevo tre anni e un bambolotto di Spider-Man (anche se ai tempi era solo L’Uomo Ragno, per noi) a cui potevi togliere il vestito come se fosse una Barbie. Lo adoravo, era il mio migliore amico e così mia madre, che cercava sempre di assecondare i miei interessi, comprò dei giornalini che poi mi leggeva mostrandomi le figure. La mia passione per il fumetto nasce così, e mi ha accompagnato per tutta la vita. Oggi quando scrivo fumetti mi chiedo sempre cosa ne penserebbe mamma, che ho perso proprio nel 2014, quando iniziavo lentamente ad avviare anche questa attività. Non ha fatto in tempo a vedermi ‘fumettista’. Crescendo ne ho acquisiti tanti altri, naturalmente Dylan, e poi Miller con Il Cavaliere Oscuro, Alan Moore con Watchmen, ma forse qui sono banale: praticamente sono le pietre miliari di tutti i fumettisti avviati o esordienti. Ho sempre ‘giocato’ a fare fumetti. Prima li disegnavo, ho fatto anche un corso alla Scuola Romana dei Fumetti perché mi immaginavo disegnatore… poi ho capito che non era la mia cosa. Ero bravino ma poco costante. Non mi andava di stare bloccato al tavolo da disegno per tutto quel tempo… nel frattempo studiavo lettere, ho iniziato a scrivere per passione e per mestiere, dato che il mio lavoro è fare il giornalista occupandomi di cinema. Quindi attorno al 2010 mi sono detto “ma perché non provare a scrivere anche i fumetti?”. Avendo provato a fare il disegnatore avevo imparato anche i rudimenti della sceneggiatura, ho approfondito, ho fatto dei corsi… e insistito tanto. Eccomi qua.

Come nasce una sceneggiatura per fumetti?

Naturalmente da un’idea, che però da sola non vale molto. L’idea, come dicevo sempre ai miei studenti quando facevo lezione, è come un seme. Non serve a niente se non sai coltivarlo e farne venire su una pianta commestibile. Molti si attaccano alle loro idee senza riuscire a portarle avanti, addirittura con il timore che ‘glie le rubino’. Ma la verità è che di solito nessuno è così interessato alle idee degli altri, perché ha le sue da sviluppare, e se anche fosse, “rubare un’idea” è veramente cosa da poco. Bisogna averne cento, mille, e sempre più buone di quelle che ti possono rubare. Nessuno ti può rubare una storia completa, i dialoghi, le emozioni, le svolte che sei riuscito a imprimerci su. Se proprio gli piace, potranno citarla, ma non rubarla. Anche io cito spesso, più o meno involontariamente. Ne ‘Il quinto comandamento’ cito Mare dentro di Amenabar, Nel nome del padre di Sheridan, Million Dollar Baby di Eastwood e ancora Fabrizio De Andrè e Go Nagai, forse anche lo stesso Dylan Dog e chissà che altro. Ma non ho rubato niente. Era tutto ‘mio’, perché lo avevo dentro e lo avevo elaborato. Dopodiché bisogna concretizzare le idee e trasformarli in soggetti, ovvero brevi sinossi di quello che si va a raccontare. Una pagina e mezza al massimo che indichi come inizia la storia, come si svolge a grandi linee e un finale. Serve all’editore perché in fretta – gli editori non hanno mai tempo – possa capire di cosa parli la tua storia e se sia in linea con le sue esigenze. Solo dopo che un soggetto è stato approvato, si parte in alcuni casi prima con un trattamento, cioè un soggetto più esteso dove si inseriscono gli snodi della trama, le sequenze ed eventualmente parti di dialogo, una scalettatura precisa con il numero di tavole e le relative sequenze, e infine la sceneggiatura vignetta per vignetta con i dialoghi, le descrizioni e tutto. Mai inviare una sceneggiatura completa, non la leggeranno mai. Non hanno tempo perché devono lavorare a quelle che sono già state approvate.

Qual è il tuo rapporto con la religione?

Sono felicemente ateo. Dio non mi ha mai parlato e io non parlo con lui se non in maniera molto sportiva e antifrastica. Esiste per me ma come modello, o se vogliamo un personaggio immaginario che incarna i nostri desideri, le nostre angosce e paure. Insomma, si può dire ‘mannaggia ai pescetti’ senza necessariamente avercela col mondo ittico. Detto questo, la religione mi interessa tantissimo, perché è uno specchio dell’Uomo, per cui invece nutro una sconfinata passione. Come sai scrivo saggi impostati sulle discipline storico religiose di stampo antropologico e la mia tesi di laurea del corso di Filosofia era proprio in una disciplina storico religiosa, vale a dire ‘Religioni dei popoli primitivi’. E’ una fonte inesauribile di chiavi interpretative, simboli, schemi e rituali che poi anche in scrittura sono interessantissimi da eviscerare. In questo albo ad esempio prendiamo il comandamento ‘Non uccidere’ e ne esaminiamo tante possibili sfumature. Il mio tramite con la religione nella serie è Padre Duncan, personaggio che amo tantissimo per la sua pragmaticità, e che, mi dicono, riesco a far parlare molto bene. Molti autori della serie come me non sono credenti, ma all’inizio vedevano in Duncan una sorta di avversario ideologico, mentre per me è l’ideale contraltare del protagonista. Duncan usa la fede – anche se a volte vacilla – mentre Samuel il suo ‘potere’, ma per raggiungere lo stesso scopo: fare del bene all’umanità. Sono solo strumenti diversi, ma quello che conta è il fine e il pezzo di strada che si può fare insieme.

Oltre alla barba cosa ti accomuna a Stern?

Forse l’approccio razionale alla materia oscura, ma devo dire che raramente mi identifico con Samuel quando scrivo le sue storie. E’ un personaggio creato da Gianmarco Fumasoli e Massimiliano Filadoro, e forse il suo punto di vista è più il loro. Per me Samuel non è quasi mai il protagonista, ma il testimone. Che poi è quello che amavo anche delle prime storie di Dylan Dog. Questo viene ultimamente messo in secondo piano, ma il titolare di testata può e spesso deve essere anche soprattutto il testimone di quello che succede. Pensiamo anche a Indiana Jones e al dialogo con l’avversario Belloq. “Noi siamo solo di passaggio nella Storia. L’arca è la Storia”. Vale sia come riferimento alla Storia con la S maiuscola, che alla storia singola. Indy alla fine non porta a casa niente, probabilmente nemmeno è influente sullo sviluppo della trama – come sottolinea anche la serie Big Bang Theory, facendo passare erroneamente per buco di sceneggiatura un elemento della trama che invece è voluto e caratterizzante – ma è colui che la storia può raccontarla, anche se solo immaginandola, perché non può ‘vedere’ direttamente il contenuto dell’arca o ne resterebbe folgorato. Eppure se nessuno raccontasse le storie, le storie non esisterebbero. Vale anche per Forrest Gump, ad esempio, testimone di tantissimi passaggi della Storia con la S maiuscola. Ecco, a forza di cercarla, la comune con Samuel l’ho trovata. Nelle mie storie, siamo entrambi quello che potenzialmente racconta.

Tu di cosa hai paura?

Sono un padre, e quindi tutte le mie gioie come le mie paure riguardano mia figlia. Non mi importa di me, ma se sto male penso a cosa questo possa togliere a lei. Penso anche al mondo come sta andando, tra pandemie e crisi, ho paura che si trovi in difficoltà, che possa non essere serena, che possa capitarle qualcosa o capitare qualcosa alle persone che ama e che la proteggono. Ma sono paure che affronto ogni giorno e che tutti i genitori devono affrontare, quindi in realtà sono la spinta per proteggerla al meglio, lasciandole anche degli insegnamenti sia in presenza che magari tramite i miei scritti, se un giorno vorrà leggerli. Tutto quello che faccio è inevitabilmente legato e dedicato a lei.

 

Grazie per essere tornato a trovarci, a presto allora! Ti aspettiamo qui al tuo prossimo lavoro

 

Sandra Pauletto

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