Intervista a Wendy Lower – “Il Massacro” (Rizzoli)

Intervista a Wendy Lower – “Il Massacro. L’orrore nazista raccontato in un’immagine” (Rizzoli)

Abbiamo da poco recensito “Il Massacro. L’orrore nazista raccontato in un’immagine” (Rizzoli) di Wendy Lower e abbiamo ora la possibilità di fare quattro chiacchere con lei per poter approfondire un po di più le tematiche del libro e per conoscerla meglio.

 

Ringraziamo Stefania Simonato per aver tradotto l’intervista. 

 

Buongiorno Wendy, grazie per aver accettato di chiacchierare con noi. Mi permetto di darti del tu se per te non è un problema:

  • E’ la prima volta che ti recensiamo e che quindi abbiamo il piacere di intervistarti. Puoi raccontarci qualcosa del tuo lavoro presso lo “United States Holocaust Memorial Museum” di Washington?

Ho iniziato a lavorare come ricercatrice presso l’US Holocaust Memorial Museum nell’autunno del 1994. Da allora ho ricoperto diversi ruoli, principalmente concentrandomi sullo studiare ed estendere le loro collezioni. Ero una ricercatrice con borsa, ho gestito il programma di borse di studio e sono stata anche direttrice ad interim del Mandel Center for Advanced Holocaust Research del Museum (2017-2019). Attualmente ricopro il ruolo di Presidente del Comitato Accademico del Museo.

 

  • Wendy Lower come è nata l’idea di scrivere questo libro? Cos’è che ha dato il via al processo di ricerca di cui hai poi parlato in “Il Massacro”?

Prima di vedere le foto di Skrovina da Miropol nel 2009, avevo tenuto seminari sull’Olocausto e mi sono resa conto che le immagini visive, comprese le fotografie di atrocità, erano le principali fonti della storia, ma c’erano pochi studi su come usarle per fare ricerca e insegnare. Avevo anche osservato nel corso dei decenni quanto lo studio academico sull’Olocausto fosse pionieristico negli approcci e metodi interdisciplinari e che un libro, come questo, che mostra questi sviluppi positivi nella ricerca e nella conoscenza sarebbe stato facile da comprendere per i lettori in generale e avrebbe potuto essere anche un manuale base per gli studenti.

 

  • Uno dei protagonisti di questo libro è senz’altro quello che tu all’inizio chiami “il fotografo” e che poi ci fai conoscere come Lubomir Skrovina. Come sei arrivata a lui e che impressione ti sei fatta di quest’uomo?

Il mio primo incontro con Lubomir Skrovina è stato quel giorno negli archivi del Museo, nell’agosto 2009, quando mi sono stati presentati le fotografie e il file che includeva la testimonianza di Lubomir del 1958. Nella trascrizione del suo interrogatorio da parte dei pubblici ministeri cecoslovacchi, Skrovina descrive le sue esperienze in tempo di guerra, gli orrori a cui ha assistito in Ucraina e le sue fotografie. In un primo momento ho sospettato che fosse un collaboratore, visto che immagini così violente erano state scattate così da vicino da indicare che gli era permesso farle ed era in uniforme come i tedeschi e gli ucraini nella foto. Dopo aver ottenuto i suoi interrogatori del 1943 e 1959, più la sua corrispondenza con il Museo di Storia degli ebrei di Bratislava, nonché le sue lettere personali scambiate con la moglie nel 1941, ho potuto constatare che non era un collaboratore. Ho incontrato suo figlio e sua figlia e ho ottenuto più informazioni dall’archivio di famiglia sulle sue attività di resistenza, per le quali è stato ufficialmente riconosciuto dal governo slovacco.

 

  • Wendy Lower hai scritto che i figli di Skrovina sono stati molto importanti nel tuo lavoro di ricerca, ci puoi spiegare in che modo concretamente ti hanno aiutata?

I figli di Skrovina hanno accettato di essere intervistati. Li ho incontrati con i miei colleghi del Museo Memoriale dell’Olocausto degli Stati Uniti, a settembre 2017, in Slovacchia. Lubomir Skrovina jr ha condiviso i documenti personali di suo padre, mi ha mostrato gli spazi della casa di famiglia a Banska Bystrica come l’ex camera oscura di suo padre e lo spazio in soffitta dove hanno nascosto gli ebrei durante l’Olocausto. Anche la figlia di Skrovina, Jana, ci ha incontrato a Muzla e ci ha permesso di copiare le lettere dei suoi genitori, ci ha mostrato le sue foto dell’era della guerra e altri reperti della vita di suo padre. Parlare con i figli mi ha permesso di creare un ritratto più accurato del loro padre, di conoscere meglio il suo buon carattere, le sue lotte personali e la sua personalità estroversa.

 

  • Hai scoperto l’identità sia delle vittime che dei carnefici, immortalati nella foto, oltre che del fotografo, da cui se ho capito bene è partita l’indagine che ha poi portato alla stesura di questo libro. Quanto credi sia stato importante dare un nome ed un cognome a quelle persone e quanto è stato importante scoprirne la storia? Il fatto che i due tedeschi impegnati nella fucilazione delle due vittime non fossero soldati delle SS o della Wehrmacht ma semplici doganieri a guardia della frontiera con compiti di contrasto al contrabbando e che quindi la loro partecipazione al massacro immortalato nella foto fosse del tutto volontaria è un po segno di come l’ideologia nazista antisemita si sia radicata profondamente nel sentire comune dei tedeschi, sei d’accordo?

 

Non sono stata in grado di identificare le vittime nella foto con certezza al 100%. Questo è stato un risultato frustrante, ma per molti versi indicativo della realtà che gli ebrei uccisi durante l’Olocausto dai proiettili non sono stati registrati dai tedeschi e sono tra i dispersi di questo genocidio. Soprattutto in Ucraina, dove 1 vittima su 4 dell’Olocausto è stata uccisa, molti dei quali bambini, non abbiamo elenchi completi dei nomi. Ma sono stata in grado di identificare gli assassini tedeschi e gli ucraini. La testimonianza di Skrovina è stata decisiva per trovare i tedeschi. Skrovina ha ricordato dettagli importanti. Si è ricordata che nel 1943 gli assassini tedeschi erano “guardie di finanza”. Questo mi ha messo sulla strada della documentazione nazista del ministero delle Finanze e delle indagini delle guardie doganali mobilitate per la guerra nell’est, ma non collegate alle più famigerate forze di sicurezza di Himmler. Gli assassini tedeschi come gli ucraini nella foto erano volontari, con poco in comune (nessuna lingua o storia condivisa) tranne l’odio antisemita. Hanno tirato insieme i grilletti, fianco a fianco. I tedeschi non furono perseguiti. Gli ucraini furono ritenuti responsabili e i due uomini fotografati da Skrovina furono condannati nel 1986 e giustiziati dalle autorità sovietiche nel 1987.

  • Dare un nome, dare una voce, ridare dignità alle vittime della follia nazista che senza il tuo interessamento sarebbero rimaste intrappolate nell’oblio come ti fa sentire? Cosa ti spinge a continuare ad indagare ancora questo periodo storico così drammatico e tragico?

 

Cerco di portare avanti la mia ricerca con molteplici obiettivi in mente. Cerco di ampliare e approfondire la conoscenza dell’Olocausto perché a causa del valore degli eventi nella storia umana, oltre al cambiamento climatico, il genocidio è una delle nostre maggiori minacce alla nostra esistenza futura su questo prezioso pianeta. Inoltre, la commemorazione delle vittime può riumanizzarle, ripristinarne la dignità e credo che la ricerca, il racconto di ciò che è successo e gli sforzi accademici siano forme attive di commemorazione e prevenzione del genocidio.

Grazie a Wendy Lower per averci aiutato a capire in maniera più profondo il suo libro ed il suo importante lavoro

David Usilla / Traduzione di Stefania Simonato

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