Intervista a Luigi Weber – “Navi nel deserto” – Il ramo e la foglia edizioni –

Intervista a Luigi Weber – “Navi nel deserto” – Il ramo e la foglia edizioni –

Luigi Weber

Abbiamo da poco recensito “Navi nel deserto” (Il ramo e la foglia edizioni) di Luigi Weber e abbiamo ora la possibilità di approfondire con lui i temi relativi al suo ultimo libro e per farci raccontare qualcosa di lui e dei suoi futuri progetti.

Buongiorno Luigi, grazie per aver accettato di chiacchierare con noi. Mi permetto di darti del tu se per te non è un problema:

Non lo è affatto. Mi metto comodo, allora.

 

  • È la prima volta che ti recensiamo e che quindi abbiamo il piacere di intervistarti. Ci piace prima di tutto conoscere meglio l’autore che andiamo a scoprire di cui impariamo ad apprezzare le opere. Assieme all’artista ci piace conoscere l’uomo. Ci puoi raccontare qualcosa di te?

 

Volentieri. Sono nato a Rimini, per la precisione nel vecchio borgo San Giuliano di Rimini; a pochi passi dal mare e dal ponte di Tiberio, un magnifico ponte romano che da due millenni congiunge efficacemente il cuore della città con quel quartiere popolare abitato dai pescatori. Ma la mia storia familiare è tutt’altro che romagnola in senso esclusivo; mia madre era di Marradi, il paese del poeta Dino Campana (e nella sua casa mia nonna, fieramente fiorentina, abitava, e di lui conservava vivide memorie), mentre mio padre era trentino, da cui il mio austero cognome germanico. Ho studiato e vissuto a Rimini a lungo, dove ho anche lavorato come giornalista; ho fatto parte della grande macchina del Festival di Santarcangelo dei Teatri per quasi dieci anni; dal 2002 mi sono definitivamente trasferito a Bologna, e qui ora insegno letteratura italiana contemporanea all’Alma Mater Studiorum.

 

 

  • Se non sbaglio questo è il tuo primo romanzo e devo dire che se il buongiorno si vede dal mattino c’è di che gioire. Come è nata l’idea di scrivere un libro di questo tipo?

 

Ti ringrazio, sono contento che tu lo dica. Nacque moltissimi anni fa, quando avevo poco più che vent’anni, da un groviglio di suggestioni difficile da disaggrovigliare oggi, ma alla cui superficie si trovano la fascinazione per le storie di avventura sul mare (Conrad, Melville, Stevenson; Conrad soprattutto), e una passione quasi totalizzante per la fantascienza. Questi due mondi mi avevano insegnato quanto sia importante portare il lettore lontano, farlo viaggiare immobilmente, farlo dimenticare di sé, fargli perdere cognizione del tempo e dello spazio, della fatica e del sonno, degli impegni e dei crucci. Ma poi, dentro il mio libro e al fondo della sua genesi, c’è anche un’altra urgenza. Volevo affrontare un tema che mi stava molto a cuore, nella mia “giovinezza turbata e quasi disperata”, come diceva di sé Palazzeschi a proposito del suo primo libro in prosa, : riflessi.

 

 

  • Sarà l’età, sarà che sono un appassionato di vecchi cartoni animati giapponesi ma devo dire che per atmosfere, per suggestioni, per sensazioni, leggendo il tuo libro mi sono venuti in mente titoli come Capitan Harlock, Starzinger, Ken il guerriero, Galaxy Express 999, Conan il ragazzo del futuro, Capitan Futuro, Kyashan, e altri. Tu hai mai guardato questi cartoni animati? C’è realmente qualcosa di essi che hai portato in questo tuo libro o è solo una mia suggestione?

 

Sono nato nel 1972. Quando avevo tra i cinque e i sette anni arrivarono gli anime in tv, in Italia (e anche Guerre stellari al cinema), una sorta di esperienza lisergica generazionale per noi bambini. Uno tsunami di racconti in movimento, spesso tanto ricchi di fantasia e di ambientazioni fracassone e sorprendenti quanto capaci di toccare corde emotive delicate e non di rado dolorose. Al contrario della Disney o della Warner Bros, gli anime insegnano subito ai bambini che nella vita le esperienze di sofferenza sono a ogni passo, senza catarsi e senza riguardo per nessuno. Hai citato alcuni dei cartoni animati alle fondamenta del mio immaginario; Conan su tutti, ma anche Capitan Harlock, Kyashan, Galaxy Express – come vedi la componente distopica e malinconica aveva un rilevante appeal su di me; chi legge Navi nel deserto la ritrova intatta – cui aggiungerei il tristissimo Zambot 3, forse il cartone più crudele di quella stagione, e due classici come Gundam e Star Blazers. Ma la lista sarebbe lunga. Malgrado quel che si pensava allora, non ero sensibile alla distinzione fra cartoni “per maschietti” e “per femminucce”. Candy o Lady Oscar mi piacevano quanto Daitarn 3. Gli anime sono stati un corso intensivo di narratologia. Tutti i caratteri vi erano rappresentati: i villain e gli eroi, i personaggi doppi, ambigui, fragili, irrisolti, perfino transgender, le famiglie e le amicizie, la spavalderia e l’inibizione, l’abilità e la goffaggine, i comprimari comici e le maschere tragiche. Ogni tipo di costruzione delle trame era brillantemente attuata.

 

 

  • I personaggi di questo romanzo sono divisi in quattro gruppi molto chiusi e molto diffidenti gli uni degli altri. Cosa rappresentano Pirati, Cittadini, Isolane e Naviganti? Come mai hai voluto creare una divisione così netta tra i vari gruppi?

 

La domanda è talmente precisa che non posso sottrarmici, come ho fatto finora. Perché tu mi chiedi esattamente quello che “va” chiesto, cioè che cosa “rappresentano”. Doveva essere il segreto del libro, continuamente esposto per allusioni e insieme sepolto sotto un velo di ambiguità, in modo da essere a un tempo evidente e invisibile. Come una specie di allegoria, un livello ulteriore di lettura. Rappresentano delle tendenze del comportamento umano, specificatamente nell’ambito delle relazioni. I Cittadini sono puritani, repressi, ossessionati dalla “naturalità” del rapporto uomo-donna, per di più imbrigliato nella forma del matrimonio. Sono patriarcali e pesantemente sessisti. Le loro donne, figlie e mogli, patiscono violenza domestica, discriminazione, disprezzo. Non è lo scenario di The Handmaid’s Tale, ma non ne siamo troppo lontani. I Naviganti invece rappresentano una comunità tutta maschile, che vive fuori dalle Rocche, e per questo è vilipesa e schifata dai Cittadini; le Isolane hanno fatto la medesima scelta, ma in forma stanziale e non nomade. Tutte coloro che non volevano un marito-padrone se ne sono dovute andare, e vivono tra loro nelle poche Oasi esistenti in questo mondo quasi senza più acqua. Infine, i Pirati. Che si comportano come Naviganti, cioè solcano i deserti con le loro navi predonesche, ma pensano come Cittadini. Sono la lunga mano armata del moralismo Cittadino, e infatti non depredano le Navi che assaltano; non hanno interesse ad arricchirsi o a saccheggiare. Sono solo desiderosi di distruggere ciò che turba il loro, chiamiamolo così, sistema di valori. E non si accorgono di quanto la psicanalisi ci insegna, cioè che l’odio più furibondo spesso è solo lo spostamento o la censura di un desiderio o di un’attrazione.

 

 

  • La trama è assai complessa, ricca di personaggi, di situazioni, di ambientazioni differenti e di salti spazio-temporali anche repentini. Non è facile, immagino, riuscire a tenere tutto sotto controllo riuscire a essere credibili e non cascare nel raffazzonato e nel guazzabuglio. Tu sei riuscito a gestire tutto in maniera molto efficace rendendo l’esperienza di lettura molto piacevole. Avevi già in mente, prima di scrivere, la storia che volevi raccontare oppure ti sei lasciato trascinare dall’onda dell’ispirazione via via che il tutto prendeva forma?

 

La trama nasce in prima battuta dal montaggio di alcuni racconti e romanzi di Conrad, e peraltro tutti o quasi i figuranti del mio libro recano nomi prelevati dall’opera omnia del grande scrittore anglo-polacco. È una prassi bizzarra, me ne rendo conto, ma fu produttiva, come una contrainte oulipiana: una volta scelto di congiungere, a mo’ di collage, frammenti di storie diverse preesistenti, il lavoro del plot doveva essere quello di trovare il modo di procedere e farle funzionare logicamente. Quindi sì, ho dovuto pianificarla attentamente. Anche perché, come tu dici, il racconto segue vari personaggi in luoghi diversi, vicini ma separati, con una velocità differente nello scorrere del tempo, e inoltre molti episodi sono sfalsati cronologicamente, tanto che a volte si legge un avvenimento in due parti, e la seconda precede la prima. Il rischio del caos era alto, eppure io non volevo il caos; volevo, viceversa, creare un senso di crescente suspense, così che il lettore fosse impaziente di sapere come andava a finire. Tutte le mie sottotrame convergono in un luogo e in un punto, ma tutte lo fanno in modi diciamo così imprevedibili. Ridotta ai minimi termini, la vicenda di Navi nel deserto è questa: un Pirata decide di abbandonare la sua vita di assassino, dopo l’incontro con l’ennesima vittima che – a differenza di tutte le precedenti – gli fa per la prima volta provare orrore per ciò che è e che fa. Abbandona la sua nave insieme all’uomo che ha salvato, e fugge nel deserto. La storia della sua fuga all’inseguimento di quelli che erano i suoi compagni è la trama principale, e si incrocia con altre vite, variamente modificate da questa: un giovane Cittadino che ha accettato di lasciare la sua Rocca e diventare Navigante, sfidando ogni consuetudine; una giovane donna che vive in un’Oasi e aspetta il ritorno di un Navigante che l’ha chiesta in moglie, anch’egli facendo cosa ben poco ortodossa. Insomma, tutti coloro che escono dalle regole delle varie comunità diventano i motori della storia.

 

 

  • Ormai sono anni che intervisto autori di libri e ho sempre potuto constatare che tutti prima di essere buoni scrittori sono avidi lettori. C’è qualche autore che prediligi e a cui magari ti ispiri quando scrivi? Quali sono gli autori di cui consiglieresti dei libri a noi lettori?

 

Parlare di libri è il mio lavoro, come docente. E lo è stato anche prima, nella duplice veste privata di avido lettore e di appassionato spacciatore di gemme letterarie. Ho sempre amato condividere le mie passioni. Tuttavia un elenco qui non riuscirei a farlo, sarebbe troppo lungo e inevitabilmente lacunoso. Siccome i classici sono una legione, tutti magnifici, prendetene tre stranieri a caso e tre italiani e avrete senz’altro indovinato: Moby Dick, I fratelli Karamazov e I detective selvaggi; Le operette morali, I promessi sposi con la Storia della colonna infame e Horcynus Orca. Piuttosto, quel che mi sentirei di fare oggi non è un canone quanto una segnalazione. Il libro più potente ed emozionante che ho letto quest’anno, senza alcun dubbio, è The Passenger di Cormac McCarthy. McCarthy a novant’anni, sulla soglia della morte, ci ha dato il suo testo più umano, e il più vertiginoso. Chiunque vuole scrivere deve guardare ai modelli sommi; non ha senso ispirarsi a nessuno se non ai giganti.

 

 

  • Cosa vorresti che rimanesse nella testa e nel cuore del lettore una volta terminato questo tuo libro?

 

I dettagli. È un libro in cui, per quasi trenta anni, ho lavorato pazientemente ogni singolo dettaglio. Non c’è una parola che non sia frutto di una scelta ponderata. Non c’è un giro di frase che non sia stato pensato e ripensato. Mi piacerebbe che i tanti misteri di cui ho disseminato Navi nel deserto spingessero alla rilettura. Perché il racconto è popolato da moltissimi indizi microscopici, e le tante cose non dette, o solo alluse, o taciute, o tagliate a mezzo, hanno sempre, da qualche parte, la chiave per una risposta. Solo che va cercata, come in una caccia al tesoro.

 

 

  • Per il futuro hai già nuovi progetti letterari da sviluppare?

 

Chissà. Mi è occorso così tanto tempo per scrivere questo romanzo, che un altro così non mi ci sta, nella vita. Di certo però non cessa di rendermi grato ed euforico l’attenzione generosa dei lettori che Navi ha trovato. Quindi la tentazione c’è. Intanto devo dire ancora grazie agli editori de Il ramo e la foglia che lo hanno accolto, e a Giuseppe Girimonti Greco che lo ha presentato a loro.

 

 

Grazie mille a Luigi Weber per essere stato nostro graditissimo ospite arrivederci a presto sulle pagine dei Gufi narranti.

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