L’età della rovina (Il ramo e la foglia edizioni) di Francesco Tronci

L’età della rovina (Il ramo e la foglia edizioni) di Francesco Tronci

 

Non so se è solo una mia impressione ma più mi soffermo a guardare i vari talk show, soprattutto a carattere politico, più mi rendo conto che, rispetto a 30 o 40 anni fa, il livello del linguaggio, e di conseguenza lo spessore delle idee, si sia degradato in maniera considerevole. C’è un imbarbarimento del linguaggio, il merito dei temi e delle tesi esposte si è ormai volatilizzato, per lasciare spazio a vuoti slogan buoni solo per la pancia di quella massa che si sente maggiormente rappresentata dal politico di turno che parla come i suoi amici del bar.  Proprio questo discorso sul linguaggio e sul suo deterioramento è uno dei cardini di “L’età della rovina” (Il ramo e la foglia edizioni), il nuovo libro di Francesco Tronci. Testo molto particolare, da leggere con molta attenzione perché, se colti, non mancano assolutamente gli spunti per delle serie riflessioni sul nostro tempo, sulla nostra società e sul livello del dibattito pubblico.  Al centro della vicenda troviamo un personaggio decisamente interessante che l’autore ha voluto definire come l’Aspirante, un nome che, come si può capire leggendo il romanzo, risulta essere tutt’altro che casuale. C’è da fare una precisazione, e cioè bisogna sottolineare come i personaggi di questo libro non abbiano un nome e vengano definiti attraverso il loro ruolo, la loro funzione. Dicevo dell’Aspirante, che è un giovane che pur se istruito e munito di non poche competenze, conduce una vita decisamente precaria in un contesto dove la vita politica è incentrata sostanzialmente su due partiti che sono “Il partito del progresso” ed “il partito della sicurezza”. Leggendo il romanzo si noterà abbastanza presto come questi due soggetti politici in realtà perseguano due politiche pressoché identiche, sovrapponibili al punto da risultare alla fine assolutamente inutili per quelli che dovrebbero essere in realtà gli interlocutori primi di questi due soggetti: gli ultimi.

È talmente piatta la discussione, sono talmente uguali i concetti espressi che si arriva al paradosso di scatenare una discussione per il solo fatto che un esponente politico utilizzi un sinonimo nel ripetere in pratica il discorso del suo interlocutore. Un primo spunto di riflessione riguarda, come detto prima, il linguaggio, soprattutto quello della politica, un linguaggio dal quale scompaiono parole e nel quale ne ricorrono in maniera quasi ossessiva vedendo però poi il loro significato quasi svuotato. Una contrapposizione forte, in una sorta quasi di ribaltamento, è quello tra la famiglia protagonista di questo libro, una famiglia molto ordinaria, umile che conduce uno stile di vita miserevole ma che parla in maniera corretta, ricca, con una grande capacità di argomentare in maniera coerente e puntuale i propri ragionamenti, il che fa da contraltare a quelli che sono i rappresentanti del potere politico e della cultura che a loro volta parlano una lingua molto ripetitiva, quasi puerile, al limite del ridicolo. Una cosa che ho notato leggendo questo libro, cosa che in effetti si nota anche nella normale vita di tutti i giorni, è come nel dibattito politico la narrazione della realtà è talmente distorta e talmente manomessa che alla fine il risultato è che quella raccontata è solo una sua vaga rappresentazione, dalla quale però la realtà stessa risulta quasi totalmente estromessa. Un altro focus importante riguarda i nostri giovani, condannati ad una perenne precarietà ad un continuo rincorrere una certa stabilità e sicurezza senza però mai riuscire davvero a raggiungerla. È un libro corposo nel numero di pagine e sicuramente profondo nei temi raccontati, è una lettura da fare a mente aperta, che richiede una predisposizione alla riflessione ed al mettersi in gioco. L’età della rovina è sicuramente uno di quei libri che non termina il suo percorso una volta finito di leggere, ma che rimane nella testa a lavorare come un tarlo sui nostri pensieri e a farci guardare la realtà con occhi diversi, forse più consapevoli, forse più disillusi, sicuramente più focalizzati a capire il contesto che ci circonda.

 

David Usilla

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