Intervista a Giuseppe Pulina – “Giacomo Giacomo” (Maxottantotto edizioni)

Intervista a Giuseppe Pulina – “Giacomo Giacomo” (Maxottantotto edizioni)

 

Abbiamo da poco recensito “Giacomo Giacomo” (Maxottantotto edizioni) di Giuseppe Pulina e abbiamo ora la possibilità di approfondire  i temi relativi al suo ultimo libro e per farci raccontare qualcosa di lui e dei suoi futuri progetti.

Ciao Giuseppe grazie per essere passato a trovarci, possiamo darci del tu?

Assolutamente, sì. Possiamo darci del tu e chiacchierare quanto più schiettamente.

  • Dal tuo romanzo traspare chiaramente un interesse per la filosofia, vuoi raccontarci qualcosa in merito?

Niente di più facile, essendo per me la filosofia un interesse vitale e professionale. Insegno, infatti, filosofia da tanti anni in un liceo del nord Sardegna; faccio ricerca filosofica da quando ho completato gli studi universitari a Cagliari e pubblicato, nel 1996, il mio primo libro: un saggio su Carlo Michelstaedter, il filosofo goriziano che morì suicida a 23 anni. Da allora ho combinato insegnamento, studio e ricerca, dando alle stampe tanti studi con diverse case editrici su temi molto vari. Tra questi, la memoria della Shoah e la confutazione del negazionismo, un saggio sui contenuti filosofici della Cura di Battiato, il rapporto tra filosofia ed etologia. Insegno anche Antropologia filosofica e a questa disciplina ho dedicato di recente un Dizionario che costituisce un unicum nel panorama editoriale italiano. Insomma, c’è così tanta filosofia nella mia vita che non farla rifluire anche nel mio primo romanzo sarebbe stato impossibile.

 

  • Nomen omen, di Giuseppe che puoi dirci?

Giacomo, personaggio chiave del romanzo, ritiene che i nomi abbiano sempre un senso, pur non potendo mai essere frutto di una libera scelta. Ai nomi, dice, si finisce col somigliare sempre più e a sentirli come una seconda pelle. Giacomo è ossessionato dalle biografie di certi “Giacomi” che non gliel’hanno raccontata giusta (uno, in particolare, ma a scoprirlo dovrà essere il lettore) e ritiene così che in ogni nome ci sia un destino. Nomen omen, appunto, come dicevano i latini. Lo penso anche del mio nome, che è poi quello di mio nonno paterno che non ho mai conosciuto perché morto in guerra nel 1943. Rispetto a Giacomo, ritengo però di avere avuto un rapporto più accomodante con il mio nome.

 

  • Chi leggerà il tuo libro avrà la fortuna di imbattersi in “Catone Rosso” vuoi raccontarci la sua genesi?

Catone rosso è lo pseudonimo che mi diedi diversi anni fa per pubblicare articoli su una rivista online che fondai insieme ai miei studenti. “Catone” perché chi scrive ha sempre qualcosa da dire e su cui esprimere giudizi. “Rosso” perché questo era il colore del Barone asso dell’aviazione tedesca che ho sempre immaginato come uno squinternato che tentava di mettere radici tra le nuvole. “Catone rosso” è il nickname che Giacomo si dà per partecipare a un concorso scolastico. Il regolamento lo consentiva e lui approfitta dell’occasione per fustigare, sotto mentite spoglie, l’opera di una sedicente artista. Gioca a fare il critico d’arte e la cosa gli riesce così bene da vincere il concorso. Se solo sapesse affrontare con altrettanta leggerezza il resto della vita, tutto per lui sarebbe più facile, ma così, come scoprirà il lettore, non è.

 

  • Nel tuo romanzo c’è chiaramente un legame tra pensiero e azione, come nasce l’idea di questi inizi?

Giacomo è un contemplatore nato e la vita su cui specula è come la trama di una sceneggiatura, dove ogni parola diventa gesto. Giacomo non riesce mai a staccare la spina del pensiero e crede che questo gli fermenti dentro. Per prendere congedo dalla vita vorrebbe smettere di pensarla, obbligare al silenzio la coscienza, autosospendersi. La cosa, ovviamente, non gli riesce e una parte delle sue riflessioni sarà paradossalmente, ma anche comicamente, concentrata sul modo in cui smettere di pensare.

 

  • Qual è stata la parte del tuo libro più difficile da scrivere? E quella più divertente?

La parte più difficile è consistita nel dare maggiore uniformità ai diversi capitoli del romanzo per evitare che le parole di Giacomo somigliassero troppo a uno Zibaldone senza capo né coda. Molti lettori sono abituati a trovare in un romanzo i consueti impianti espositivi. Con “Giacomo Giacomo” ho voluto mischiare un po’ le carte senza esagerare però. Credo che per molti lettori il primo impatto sia stato quello di un flusso di coscienza che cerca di pagina in pagina di automodellarsi e raccontarsi con ordine.

Le parti più divertenti sono gli esperimenti mentali di Giacomo e del suo amico Leo. Del piccolo gruppo fa parte anche Francis, la saggia e quasi materna presenza femminile di un magico triangolo tardoadolescenziale. Insieme ne combinano di tutti i colori, ritagliandosi anche un loro spazio all’interno della scuola, piccola palestra di vita da cui sentono di poter apprendere poco. Direi che sono proprio dei mattacchioni. S’imbucano nei funerali e spiano i movimenti e i silenzi sospettosi dei passanti per capire meglio come va il mondo. E il bello è che credono di riuscirvi.

 

  • Se tu fossi un libraio in quale categoria sistemeresti “Giacomo Giacomo”?

“Giacomo Giacomo” ha un sottotitolo che risponde almeno in parte alla domanda. Vuole essere un “Romanzo indie” non solo per i gusti musicali del gruppo di amici di cui racconta le gesta, ma anche perché non è facile da collocare in un genere preciso. La categoria che più gli si attaglierebbe potrebbe essere quella dei romanzi di formazione. Giacomo è un prototipo da generazione nichilista, la sua giovane esistenza ha qualcosa da mostrare e forse da insegnare, e, se solo potesse e glielo consentissero, scenderebbe a patti con la vita.

 

  • Giuseppe Pulina, stai lavorando ad un nuovo progetto?

Sono soprattutto un saggista, dirigo una rivista (“Mneme Ammentos”), insegno, faccio anche il giornalista e collaboro con istituti di ricerca. I prossimi lavori saranno presumibilmente dei saggi, perché questo mi viene richiesto da diverse case editrici interessate agli sviluppi delle mie ricerche. Non è detto però che un giorno non possa vedere la luce un nuovo romanzo. Quando e se mai ciò dovesse accadere, vorrei tanto che a far schiumare l’inchiostro fossero motivazioni sincere e tali da convincere della bontà del progetto anche il lettore più navigato e sospettoso.

 

Grazie a Giuseppe Pulina per la disponibilità, arrivederci a presto sulle pagine de I gufi narranti

 

Sabina Bernardis

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