Intervista a Francesco Tronci – L’età della rovina – Il ramo e la foglia edizioni

Intervista a Francesco Tronci – L’età della rovina – Il ramo e la foglia edizioni

Francesco Tronci

Abbiamo da poco recensito “L’età della rovina” (Il ramo e la foglia edizioni) di Francesco Tronci e abbiamo ora la possibilità di approfondire con lui i temi relativi al suo ultimo libro e per farci raccontare qualcosa di lui e dei suoi futuri progetti.

Buongiorno Francesco, grazie per aver accettato di chiacchierare con noi. Mi permetto di darti del tu se per te non è un problema:

  • È la prima volta che ti recensiamo e che quindi abbiamo il piacere di intervistarti. Ci piace prima di tutto conoscere meglio l’autore che andiamo a scoprire di cui impariamo ad apprezzare le opere. Assieme all’artista ci piace conoscere l’uomo. Ci puoi raccontare qualcosa di te?

Ho 37 anni, sono nato e cresciuto nel Salento orientale, ho studiato Relazioni internazionali a Roma. Coltivo un’irrimediabile passione per gli studi storici e la storia dell’arte, così come un’attitudine per la scrittura che però era stata inizialmente declinata solo nel campo dell’analisi storica. La scelta dell’ambizioso progetto della scrittura letteraria è maturata in seguito, scontando la micidiale congiuntura di fattori avversi che ha travolto la generazione alla quale appartengo. Allora, per comprendere il proprio tempo attraverso la letteratura, credo si possa interrogare l’opera così come l’autore: l’opera parlerà attraverso le proprie pagine, l’autore potrà eventualmente dare conto di quanto sia stato arduo scrivere un romanzo al tempo dell’età della rovina.

 

  • Il tuo libro si intitola “L’età della rovina”. Come è nata l’idea di scrivere questo libro e come poi è nata l’idea di intitolarlo in questo modo?

Intendo il libro come un atto di consapevolezza al termine di una ricerca sul proprio tempo, un faticoso tentativo di dare risposte, persino di rivelare. Così, dopo circa un ventennio di osservazione e analisi del tempo che attraversiamo, mi è parso utile condensare tutte quelle contraddizioni della vita civile che mi sembrava fossero state digerite troppo frettolosamente dalla pubblica opinione all’inizio del nuovo millennio. È su quest’inconsapevolezza che si fonda ormai il nostro parlare della vita pubblica, così come l’ambizione di cambiarla. Ho inteso scuotere, mettere in luce i meccanismi deleteri di funzionamento dell’odierna vita civile, aggredire la solidità dei punti fermi del ceto medio istruito come una fraintesa moderazione politica, l’accesso egualitario alle opportunità, il merito individuale, il valore sociale della famiglia, la presunta mutua protezione offerta dalle piccole comunità rispetto alle grandi città. È un libro duro, concreto, con una visione di fondo che si può condividere.

Quanto al titolo del libro, è la voce narrante che s’incarica provocatoriamente di dare un nome a una modernità pacificata che si offre comprensibile e definitiva e che, in ragione di questo, sembra non necessitare nemmeno di essere definita. Sono gli esclusi, i rei, coloro che si muovono all’ombra dell’abbaglio a cercare la ragione della propria solitudine, e a forza di interrogarsi su questa rovina si ritrovano a nominare il proprio tempo. Agli occhi dei rei, e solo ai loro occhi, quel tempo finirà per assumere sempre più i tratti di un itinerario senza uscita. Un tempo di insuperabile rovina, l’età della rovina, appunto.

 

  • Nel corso del romanzo introduci un elemento che mi ha incuriosito e mi ha fatto riflettere. Il SOA, sistema delle opinioni autorevoli, ci puoi chiarire meglio questo passaggio?

La società dell’età della rovina appare chiusa a qualunque possibilità di cambiamento. Ma non c’è nessun potere autoritario che impedisce il cambiamento, la stasi non è frutto di un sistema oppressivo che frena un diffuso desiderio di progresso. L’impressione che si ha, invece, è che la parte più istruita e consapevole di questa società, al netto dei proclami, non costituisca un elemento potenziale di progresso, e viva rassicurata dalle proprie certezze materiali e all’ombra dei propri riferimenti culturali. Sulla scorta dell’osservazione degli ultimi due decenni, penso che la rinuncia a immaginare un cambiamento effettivo della vita materiale cerchi sempre una legittimazione e la trovi attraverso un preciso atteggiamento della mente: l’adagiarsi sull’adorazione di un’opinione autorevole come parola indiscutibile in ragione, appunto, di questa riconosciuta autorevolezza. Solo che l’autorevolezza non può divenire un orizzonte, tutt’al più deve stimolare la ricerca di nuovi orizzonti. Nell’età della rovina pare non avvenire. Sono vent’anni che sento citare opinioni autorevoli e che assisto all’incapacità dei più di stabilire con le stesse un confronto maturo che non sia la semplice riverenza. Così, ho scelto di condensare questo atteggiamento mentale deleterio in un acronimo, appunto il SOA (Sistema delle Opinioni Autorevoli), un’entità non definita dalla quale sorgono opinioni sul mondo che segnano il limite del pensiero ritenuto serio e affidabile. Ogni parola esterna alle opinioni autorevoli non troverà ascolto né legittimazione. Sarà questo il destino del protagonista del romanzo: qualunque pensiero sarà ritenuto meritevole di ascolto e considerazione, fuorché il suo.

  • Oggi seguendo i dibattiti pubblici tra rappresentanti della politica e della cultura ci rendiamo conto come in effetti rispetto a 30-40 anni fa ci sia un impoverimento del linguaggio, specchio di un impoverimento del livello culturale medio dei nostri rappresentanti, che porta a cascata ad un impoverimento sostanziale della proposta politica verso i cittadini. Tu cosa ne pensi?

Dall’impoverimento del linguaggio si è giunti all’imporsi di una neo-lingua nella quale molte parole di un tempo hanno perduto il loro significato più proprio, altre sono persino scomparse. A seguito di questo chiaro processo di degenerazione, ho immaginato che il linguaggio divenisse l’asse portante del romanzo, nella convinzione che fosse impossibile contestare un determinato pensiero sulla realtà utilizzando le parole proprie di quel pensiero. Per mettere in luce quest’involuzione, il romanzo opera un vero ribaltamento nell’uso del linguaggio: sono i protagonisti, ovvero gli ultimi, esseri umani la cui esistenza è perennemente in balìa delle circostanze, i soli a riflettere in maniera pertinente, a porre quesiti che mettono a disagio. Al contrario, i rappresentanti politici utilizzano un linguaggio smanioso di autorevolezza ma che infine suona sterile e ridicolo, poiché non nasce dalla relazione né ambisce alla relazione. Il SOA (Sistema delle Opinioni Autorevoli) fa persino peggio: le sue opinioni autorevoli non sono altro che le stesse, poche idee, ma combinate ogni volta in una sequenza differente come pezzi di un Lego verboso e vacuo.

 

  • Oggi mi rendo conto, provandolo a volte anche sulla mia pelle, che c’è quasi un sentimento di diffidenza e di scherno verso chi si dedica con passione alla lettura di libri e che si esprime utilizzando parole e locuzioni che si scostano dai soliti termini basici che ormai fanno parte del parlare comune. Secondo te da cosa deriva questo atteggiamento sempre più generalizzato e come a tuo avviso si può combattere, se si può combattere?

La diffidenza e lo scherno sono solo le reazioni più rumorose, in realtà questi atteggiamenti nuotano in una silenziosa, generale e trasversale pigrizia intellettuale. Che non è solo la pigrizia di coloro che, privi di chiari riferimenti culturali per ragioni anagrafiche o di opportunità, hanno aderito unicamente a una modalità giocosa di riflessione sulla realtà indotta dai social. È soprattutto la pigrizia di chi, certo dei propri riferimenti culturali, non sente più l’esigenza di ridiscuterli. Un tempo ostile come quello che il nuovo millennio ha imbellettato non può essere raccontato con parole rassicuranti, ed è quindi chiara la ragione per la quale non sarà semplice invertire la pigra rassicurazione indotta, negli uni e negli altri, dalla tendenza in atto.

  • Sicuramente i media, dalla televisione al mondo dei social, non aiutano a migliorare il linguaggio della politica e non solo di quella. Ormai il turpiloquio e la maleducazione sono la normalità, non si riesce più ad assistere ad un confronto tra contenuti perché assenti nelle intenzioni dei contendenti che li sostituiscono piuttosto con slogan vuoti buoni solo a soddisfare i bassi istinti degli interlocutori, cioè noi pubblico. Credi che sia una situazione recuperabile, che ci sia cura per questo male che affligge il nostro tempo, oppure siamo destinati ad andare incontro ad un’ulteriore involuzione del dibattito pubblico e dell’offerta di idee?

È l’effetto diretto della scomparsa della dimensione politica dalla vita. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la realtà politica descritta nel romanzo è assolutamente marginale, un intermezzo di dibattiti ripetitivi senza sostanza che funge da misero scenario sul quale i protagonisti della vicenda mettono in moto la propria parola: la parola negata del protagonista, persuaso che parlare non sia più né utile né opportuno; la parola esibita di chi, invece, prova a mascherare con un impegno naïf la perdita di ogni volontà di ascolto, di accoglienza, di sostegno.

È una situazione che purtroppo non appare anomala, perché in fondo è dotata di una sua intima coerenza: la scomparsa delle parole non può che coincidere con l’incapacità non solo di immaginare una realtà differente, ma di pretenderne con urgenza l’edificazione. Senza questa urgenza, un discorso politico elementare, ripetitivo, rassicurante, in ultima analisi inutile, sembrerà più che accettabile nell’ottica di una contesa politica nella quale ognuno dei contendenti resta esattamente ciò che è in partenza.

 

  • Ci sono molti passaggi di questo romanzo che a mio avviso evidenziano come la narrazione della realtà spesso sia semplicemente una sua mera rappresentazione dalla quale alla fine la realtà stessa, viene in qualche modo estromessa o comunque distorta in maniera decisiva e sostanziale. Sei d’accordo?

Si tratta di un concetto portante della narrazione, ovvero l’idea che l’età della rovina sostituisca la realtà con una rappresentazione del reale, con i suoi protagonisti e persino con i suoi antagonisti, nella quale ciascuno porta a compimento un ruolo coerente con i propri convincimenti, ma assolutamente lontano da qualunque intenzione di incidere sulla realtà materiale. Decisioni di piccola portata appaiono grandi conquiste, esigenze elementari suonano come richieste insostenibili, i provvedimenti politici passano in secondo piano rispetto al dibattito generato da una dichiarazione politica che si esaurirà nello spazio di qualche giorno. Si legge nel romanzo: “Nessuna tolleranza per una pessima dichiarazione politica, nessuna memoria per una pessima decisione politica”.

 

  • La famiglia protagonista di questo romanzo, quella di cui fa parte l’aspirante, non ha nomi né cognomi, è avvolta in una sorta di anonimato. Come mai questa scelta?

La scelta di privare questi personaggi di nomi e cognomi è nata dall’idea di sottolineare l’anonimato della loro voce. Neanche parlare è per loro opportuno né tantomeno potrebbe cambiare la realtà, scompare ogni minimo segno di discussione o persino di richiesta di chiarimenti, non è immaginabile una solidarietà fra disperati e chi governa ha sempre ragione. Essi sono riconoscibili e individuati dalla loro funzione o non funzione sociale, forme incompiute, appena abbozzate nei contorni, come dei ritagli di carta bianca, il cui ruolo è predeterminato e non modificabile da fattori individuali e collettivi: per gli ultimi dell’età della rovina la realtà di una moderna democrazia è una quotidiana, insuperabile rappresentazione di funzioni. Ogni loro azione tendente a rompere i contorni della funzione sarà condannata all’inefficacia, ogni loro intenzione alla frustrazione. Una visione estrema e certamente inquietante, perché non ha niente di distopico.

 

  • Stai lavorando ad un nuovo progetto?

Esaurito il tempo della scrittura, attività defatigante e mostruosamente solitaria, si schiude ora il tempo della condivisione di pensieri e parole su “L’età della rovina”, stimolata peraltro da una realtà politica che pare inseguire regolarmente le vicende del romanzo. Tuttavia, una volta convocati da questa modalità espressiva, non ci si può più sottrarre. L’osservazione della realtà, che è preliminare a qualunque progetto, non si interrompe mai. Così, mentre mi dedico alla promozione del mio romanzo, raccolgo gli spunti e riordino le intuizioni di un progetto che inizia a farsi largo.

Grazie a Francesco per essere stato con noi e speriamo di averlo ancora presto nostro ospite.

 

David Usilla

 

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