Intervista a Diego Zandel, “Eredità colpevole”,  Voland Editore

Intervista a Diego Zandel, “Eredità colpevole”,  Voland Editore.

Abbiamo da poco recensito il romanzo “Eredità colpevole” di Diego Zandel, edito da Voland e abbiamo la possibilità di scambiare con lui quattro chiacchiere.

 

Ciao Diego, grazie per essere passato a trovarci. Possiamo darci del tu?

Certo, ci mancherebbe altro che ci dessimo del lei o del voi….

 

  • È la prima volta che ti recensiamo e che quindi abbiamo il piacere di intervistarti. Prima di conoscere Diego Zandel come scrittore ci piacerebbe conoscerlo come persona. Ci racconti qualcosa di te?

C’è già un po’ tutto l’essenziale nelle note biobibliografiche riportate sul risvolto del libro. Sono nato75 anni fa nel campo profughi di Servigliano, un ex campo di concentramento della prima guerra mondiale, da esuli fiumani, ma sono cresciuto al Villaggio Giuliano-Dalmata, un altro centro di raccolta profughi, a Roma. Per il resto, ho sentivo una vocazione precoce per la scrittura. Prima ancora dei vent’anni avevo pubblicato due libri di poesie con la storica Società Artistico Letteraria di Trieste, primi e ultimi libri di poesia. Sono poi passato armi e bagagli alla narrativa e alla saggistica di informazione letteraria, pubblicando a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro un saggio su Ivo Andrić, il premio Nobel jugoslavo, a quattro mani con Giacomo Scotti, edito da Mursia, e poi il mio primo romanzo “Massacro per un presidente” edito da Mondadori. D’allora sono usciti una ventina di libri. Tra l’uno e l’altro mi sono dedicato alla stampa aziendale e all’editoria. Sposato con una donna di origini italo-greche, scomparsa ormai undici anni fa, e con la quale ho fatto tre figli, da sei anni mi sono risposato, ritirandomi a vivere a Manziana, un paese al nord di Roma, nei pressi del lago di Bracciano.

 

  • Essendo figlio e nipote di profughi istriani, di Orsera per la precisione, è chiaro che questo libro mi ha colpito ed emozionato parecchio. Come è nata l’idea di scriverlo?

Nel 2002, al termine del processo di assise per omicidio plurimo contro il capo della polizia politica di Tito a Fiume, Oskar Piškulić, l’amico e collega scrittore Giancarlo De Cataldo, che al processo era stato il giudice a latere, mi ha inviato la sentenza, per avere da parte mia, conoscendo le mie origini fiumane, un parere sulla stessa. Da lì, quasi subito, è nata l’idea del romanzo che comunque necessitava di molte ricerche da parte mia, visto che sapevo assai poco dei fatti in dibattimento, tranne l’uccisione da parte dei titini dei capi autonomisti e, quindi, della scomparsa a Fiume, dal 3 maggio 1945, giorno dell’entrata dei partigiani in città, al 10 febbraio 1947, giorno che sancisce con il Trattato di Parigi il passaggio di Fiume alla Jugoslavia di Tito.

 

  • Guido Lednaz, il protagonista del tuo libro, è un personaggio molto ben costruito e davvero molto ben delineato anche a livello psicologico. Quanto c’è di te in questo personaggio?

Moltissimo, a cominciare dal nome, palindromo del mio. In questo senso non ho dovuto far altro che far muovere il personaggio sullo scacchiere della trama e delle tante vicende che la rendono avvincente come se fossi io. Tanto più che non poche di queste sono reali, a cominciare dal capitano dei servizi a cui ho dato il nom de plume di Alvisini, da me conosciuto, come racconto, in un appartamento sotto copertura allora del Sisde. Ma, naturalmente, anche in altri casi e con altri personaggi che animano il racconto, la realtà si mescola con fantasia. Anche per non compromettere alcune persone.

 

  • Essendo tu stesso figlio di profughi Fiumani, c’è stata una parte del libro che hai avuto più difficoltà a scrivere?

Le difficoltà ci sono sempre, perché in una trama, in particolare gialla, tutti i pezzi devono combaciare, e nello stesso tempo far salire la suspense in modo tale da aumentare la febbre del lettore via via che la storia va avanti. Diciamo che certe parti, piuttosto, mi sono state meno difficili a scrivere, legate come sono, appunto, alla mia esperienza diretta. Bastava prenderle, come ad esempio, il mio incontro con la spia a cui ho dato il nome di Chirovich.

 

  • L’argomento del tuo romanzo è considerato da alcuni “scomodo”, hai trovato difficoltà a proporlo sul mercato?

Non tanto, sono arrivato quasi subito a Voland, una casa editrice che apprezzavo già come lettore e recensore. È una casa editrice che già dal nome, preso da un personaggio di Bulgakov, guarda a est, ed io come scrittore appartengo e mi occupo, come ha detto recentemente la sua fondatrice, Daniela Di Sora, parlando di “Eredità colpevole”, di terre e storie che sono alla porta di quell’est.

 

  • Il libro ha una trama molto ben articolata e complessa, per quanto tempo hai lavorato sulla storia?

Se l’idea è nata nel 2002, con la sentenza inviatami allora da Giancarlo De Cataldo, e le ricerche le ho svolte nel corso degli anni, ogni volta che mi si presentava l’occasione, il tempo per scriverlo si è concentrato negli anni tra il 2019 e il 2022. Non a caso, tra il 2016 e il 2022 sono usciti tre miei libri non di narrativa come “Manuale sentimentale dell’isola di Kos”, “Balcanica – viaggio nel sudest europeo attraverso la letteratura contemporanea” e “Apologia della lettura” sul mio amore per i libri e la lettura.

 

  • Stai lavorando ad un nuovo progetto?

Sì, ho finito un nuovo romanzo, dal titolo “Un affare Balcanico” – sempre che non si cambi in sede di pubblicazione – e tratta gli intrighi che, nel 1997, hanno portato all’acquisto di Telekom Serbia da parte di Telecom Italia e della OTE greca. Naturalmente è un’opera di finzione, seppur basata, come “Eredità colpevole”, su fatti ormai storici. L’affare salì alla ribalta delle cronache soltanto anni dopo, all’inizio degli anni Duemila, quando Telecom Italia si ritirò dall’affare, praticamente svendendo le proprie quote, prestando così il fianco a polemiche e accuse di corruzione che portarono alla istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare. All’epoca ero dirigente dell’azienda, responsabile della Stampa Aziendale, e ho vissuto tutto abbastanza in diretta, seppur defilato. Compresi ovviamente i bombardamenti Nato su Belgrado del 1999, quando i colleghi italiani nella capitale serba si trovarono costretti a un precipitoso ritorno. E qualcuno di essi venne a trovarmi nel mio ufficio.

 

 

Grazie mille a Diego Zandel per la sua disponibilità e per la sua cortesia. Lo aspettiamo per il suo prossimo libro sulle pagine de I gufi narranti

 

David Usilla

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.