Intervista a Massimo De Angelis – “Corso adulti, dispari, mattino” – Catartica

Intervista a Massimo De Angelis – “Corso adulti, dispari, mattino” – Catartica

 

Abbiamo da poco recensito “Corso adulti, dispari, mattino” (Catartica Edizioni) di Massimo De Angelis e abbiamo ora la possibilità di approfondire con lui i temi relativi al suo ultimo libro e per farci raccontare qualcosa di lui e dei suoi futuri progetti.

Buongiorno Massimo, grazie per aver accettato di chiacchierare con noi. Mi permetto di darti del tu se per te non è un problema:

  • È la prima volta che ti recensiamo e che quindi abbiamo il piacere di intervistarti. Ci piace prima di tutto conoscere meglio l’autore che andiamo a scoprire di cui impariamo ad apprezzare le opere. Assieme all’artista ci piace conoscere l’uomo. Ci puoi raccontare qualcosa di te?

Molto volentieri e grazie per l’attenzione che avete dedicato al mio romanzo. Sono nato e ho sempre vissuto a Roma, da più di trent’anni svolgo la professione di guardia giurata. Ho interrotto gli studi molto presto per motivi famigliari. La mia formazione è quella di un totale autodidatta. La passione per la lettura e per il cinema è stata un po’ la mia scuola.

  • Come è nato il personaggio di Giorgio Savonari e cosa ti ha spinto a raccontare la sua storia?

Come ti dicevo ho sempre vissuto a Roma e in quartieri popolari. Ero un preadolescente quando  Roma era caratterizzata da due cose: l’invasione della droga e il terrorismo. Entrambe hanno letteralmente spazzato via una generazione. Ricordo perfettamente i giorni del sequestro Moro e il senso di pesantezza e smarrimento che si respirava in una città blindata. Volevo da sempre scrivere una storia che, sia pure in una vicenda di fantasia, riguardasse il terrorismo. Il personaggio di Savonari è uno “scampato” a quegli anni, alle sue colpe irrisolte. È uno di quei personaggi che, come sempre accade nei grandi eventi storici, è rimasto in una zona grigia di anonimato, l’ha fatta franca per usare un modo di dire ma, in realtà, non ha chiuso i conti con sé stesso e con quello che ha fatto.

 

  • In questo romanzo si parla per certi versi di terrorismo, si racconta di coloro che sono rimasti, delle cicatrici non solo materiali di chi ha sparso terrore e del dolore inconsolabile di chi ha dovuto piangere i propri cari vittime di quella stagione di follia. Come mai hai voluto inserire questo tema nel tuo romanzo? In parte ti ho già risposto precedentemente. Le cose vissute o ascoltate o viste negli anni della prima adolescenza rimangono scolpite nella memoria. E poi, in seguito, ho approfondito la storia di quel periodo. Sul tema, successivamente, ho anche sviluppato un progetto di serie tv sugli inizi del terrorismo a Torino.

 

  • Ogni capitolo è dedicato ad uno stile di nuoto. Quale motivo ti ha spinto a questa scelta narrativa? Cercavo una struttura che mi organizzasse il racconto. Visto che il nuoto, la sua misteriosa intercessione nella vita del protagonista, rappresenta un asse decisivo della storia, mi è parso quasi naturale scandire il progredire degli eventi in quattro capitoli uno per ogni stile.

 

  • Il nuoto ha un ruolo rilevante in questo tuo romanzo, diventa quasi metafora della vita. Tu sei stato nuotatore, sei un appassionato di questo sport? Ho iniziato a nuotare molto tardi. Addirittura avevo terrore dell’acqua! Poi, imparando a respirare, a rilassarmi, ho scoperto una “abilità” umana dai tratti misteriosi e affascinanti. Tu lo definisci sport, giustamente, ma in realtà credo lo sia per i ragazzini o per gli atleti. Per un uomo adulto che inizia significa soprattutto scoprire qualcosa.

 

  • Tu essendo uno sceneggiatore scrivi molto per film e per serie tv. Cosa differenzia la scrittura da sceneggiatore da quella da romanziere? In quale delle due senti di essere più a tuo agio, più dentro alla tua confort-zone? Sono uno sceneggiatore medio, come tanti altri che cercano di arrabattarsi in questo mondo molto competitivo. Come ho già detto in un’ altra intervista trovo entrambe le scritture difficili e faticose. Scrivere è difficile e faticoso. Impone disciplina, metodo, analisi. Scrivere un testo che stia in piedi, che regga drammaturgicamente, richiede tempo, pazienza, fatica fisica. Quindi, per essere breve, comfort zone, almeno per me, non esistono.

 

  • Ogni buon scrittore di solito è prima un avido lettore. C’è qualche autore o libro che più di tutti ti ha fatto o ti fa emozionare? Come ti ho detto la mia formazione è quella di un autodidatta totale. Questo vuol dire passare da una lettura all’altra senza un percorso di studi sistematico. Sono moltissimi gli autori che amo. Leggo anche molta poesia. Credo che nella vita di un lettore gli autori si aggiungano, si scoprano, si abbandonino e poi si riprendano, si dimentichino e magari da alcuni ci si senta traditi. È un viaggio che comporta relazioni che mutano. Ecco, al posto di citarti nomi di autori, alla tua domanda rispondo che è il viaggio quello che ancora, a volte, nonostante tutto, nonostante le incessanti difficoltà quotidiane di vita e gli sconforti, ancora mi emoziona.

 

  • Se tu dovessi dare un consiglio a qualcuno che volesse intraprendere un percorso di scrittura cosa diresti? Non sono nessuno per dare un consiglio. Faccio solo un’osservazione assolutamente personale, e cioè che scrivere è essenzialmente un problema geometrico matematico. È una questione di misurazioni. Le cose devono tornare, devono funzionare, devono essere in equilibrio. È una roba a metà tra il falegname e l’ingegnere.

 

  • Ci sono per il prossimo futuro nuovi progetti a cui stai lavorando? Molte, sto collaborando con diversi registi e produzioni per prossimi progetti cinematografici. Inoltre sto lavorando al mio secondo romanzo.

Grazie mille a Massimo De Angelis per essere stato nostro graditissimo ospite e aspettiamo  di ritrovarlo presto qui sulle nostre pagine.

 

David Usilla

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