Intervista a Franco Ricciardiello – “Torino nouvelle vague” (Todaro Editore)

Intervista a Franco Ricciardiello – “Torino nouvelle vague” (Todaro Editore)

 

Ricciardiello

 

Abbiamo da poco recensito “Torino nouvelle vague” (Todaro Editore) di Franco Ricciardiello e abbiamo ora la possibilità di scambiare con lui quattro chiacchiere per conoscere meglio lui ed il suo nuovo romanzo

 

Buongiorno Franco mi permetto, se sei d’accordo, di darti del tu. Partiamo con le domande:

  • Essendo la prima volta che ti recensiamo e che di conseguenza abbiamo il piacere di ospitarti sulle nostre pagine, ci piacerebbe conoscerti meglio prima dal punto di vista dell’uomo e poi dal punto di vista artistico. Ti va di raccontarci qualcosa di te?

Senz’altro. Ho cominciato a pubblicare racconti brevi su fanzine di fantascienza negli anni Ottanta, facendomi conoscere poco per volta nell’ambiente; nel 1998 ho vinto il premio Urania, il più prestigioso del settore, e sono stato pubblicato da Mondadori con il romanzo “Ai margini del caos”, poi tradotto anche in Francia da Flammarion. Negli anni successivi mi sono spostato verso la letteratura gialla, e ho pubblicato anche narrativa di viaggio con quattro volumi che raccontano i luoghi della letteratura, del cinema e della musica in altrettante città europee e italiane. Poco prima dell’inizio della pandemia ho avviato una collaborazione con l’editore Delos Digital, curo una collana in eBook di letteratura ‘solarpunk’, un nuovo genere letterario speculativo che immagina un futuro migliore di quello descritto nella distopia, e costruisce strategie operative per renderlo possibile. Per quanto riguarda i dati personali, ho poco da dire: due mogli (non contemporaneamente), due figlie, cinque nipoti femmine; abito a Vercelli, nella pianura piemontese.

  • Dal precedente romanzo che aveva per protagonisti Erasmo Mancini e Mauro Ferrando, “Cosa succederà alla ragazza” (Cordero Editore), sono passati se non erro circa 8 anni. Come mai hai lasciato passare così tanto tempo prima di riportare in libreria questi due bellissimi personaggi?

La destinazione naturale del secondo romanzo, “Torino Nouvelle Vague”, sarebbe stata con lo stesso editore, che però nel frattempo ha chiuso i battenti. Il romanzo era pronto da qualche anno, in una forma non troppo distante da quella finale, però in mancanza di un editore l’ho messo da parte per dedicarmi a altri progetti. L’anno scorso una cara amica e preziosa collaboratrice, Giulia Abbate, con la quale ho scritto un “Manuale di scrittura di fantascienza”, ha letto il primo libro e si è stupita che non avessi ancora pubblicato il secondo: è stata lei a parlare con l’editrice Todaro, e poi a spingermi a inviare il manoscritto che è stato accolto subito con entusiasmo.

  • Il tema che fa da sfondo a questo romanzo è quello del cinema, più precisamente quello della Nouvelle Vague, corrente cinematografica francese degli anni 50. Mi pare abbastanza scontato vedere nel personaggio di Jean-Simon Leclercq la reincarnazione letteraria del noto regista francese Jean-Luc Godard, uno dei capisaldi della Nouvelle Vague. Pure nei titoli del romanzo è forte il richiamo alle opere di Godard. Come mai hai voluto puntare in maniera così forte i riflettori su questa particolare corrente cinematografica e sui suoi protagonisti?

All’origine di ciò che scrivo c’è sempre un’ossessione, che può essere momentanea o di lungo corso: dal momento che il mio reddito non proviene dall’editoria, nel senso che ho un altro lavoro e scrivo per passione, posso permettermi di raccontare solo ciò che davvero mi interessa— o che mi ossessiona. Nel periodo in cui ho iniziato a scrivere “Torino Nouvelle Vague”, avevo guardato tutti i film di Godard in edizione originale francese (in Italia sono rimasti scempiati dal doppiaggio) e la sua visione artistica mi aveva toccato così profondamente che mi è venuto naturale rendergli l’omaggio che merita, prendendolo come scenario per un romanzo.

  • Mi è piaciuto molto il fatto che all’interno del romanzo tu abbia inserito molti riferimenti a fatti e personaggi storici che sono abbastanza sconosciuti ai più, cosa che fa sì che l’esperienza di lettura diventi anche un momento di accrescimento culturale. Erano fatti che già conoscevi oppure sono il risultato di una ricerca fatta in funzione della scrittura di questo libro?

Durante l’indagine il mio protagonista, il pubblico ministero Erasmo Mancini, tenta di entrare nella mentalità del possibile assassino documentandosi su celebri casi di femminicidio: alla ricerca di un possibile movente, svolge ricerche su uomini famosi che hanno assassinato la moglie, o la compagna. Questi “casi” vengono presentati nel romanzo come documenti che generano brevi digressioni, e che mi permettono di raccontare altre storie nella storia principale. Conoscevo già ogni singolo episodio che racconto, da Carlo Gesualdo a William Burroughs e via dicendo, mi sono limitato a approfondire le notizie. Diciamo che al centro del mio romanzo c’è un femminicidio, delitto orribile e purtroppo di attualità, perché era già un mio interesse precedente.

  • Oltre che ad essere una storia con tutti gli ingredienti del giallo classico, è anche una romanzo che parla di persone, che racconta l’animo umano con tutti i suoi vizi e le sue virtù, con le sue luci e le sue ombre, con le fragilità e le paure. Per come hai caratterizzato bene i personaggi, sia dal punto di vista fisico che psicologico, mi viene da pensare che tu sia un grande osservatore dell’animo umano. Mi sbaglio?

Non so, forse non dovrei essere io a dirlo. Si corre sempre il rischio di fornire un “giudizio” dei propri personaggi, che invece dovrebbe essere lasciato a chi legge. Non è facile, è naturale presentare in cattiva luce, caricando di vizi, un protagonista negativo, con il rischio di diventare manichei, con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Rispetto al racconto breve, il romanzo permette di creare figure a tutto tondo; per semplificare le descrizioni, e non appesantire la narrazione, si può ricorrere a comportamenti che tutti noi, per esperienza diretta, possiamo associare a un determinato carattere. È un trucco che chi scrive impara presto. Del resto, questo mio giallo è un po’ un “pretesto” non solo per raccontare i film di Godard, ma anche per creare personaggi e situazioni che spero risultino intriganti.

  • Il precedente romanzo che vedeva in azione Mancini e Ferrando era infarcito di citazioni con riferimento a Lucio Battisti mentre questa volta citi la Nouvelle Vague francese. Sono tutti momenti artistici che rimarranno immortali, che rimarranno nella storia. Oggi l’arte mi sembra più un qualcosa “usa e getta” che vive su meteore, che si nutre di film, musica e libri da consumare subito e velocemente mettendo spesso in secondo o terzo piano la qualità. Tu cosa ne pensi?

Da sempre tre arti sono al centro dei miei interessi: letteratura, musica, cinema — è per questo che ho pubblicato libri di viaggio che sono guide atipiche a una città. In “Cosa succederà alla ragazza” ho parlato di musica con Lucio Battisti, in “Torino Nouvelle Vague” di cinema con Godard, nel successivo ci sarà la letteratura con Simenon. Per quanto riguarda la caducità dell’arte, o la sua sopravvivenza, sono convinto che ogni epoca possieda un’espressione artistica di consumo: una volta sfrondata questa dalla prova del tempo, dal tramonto di una moda, quella che sopravvive è arte. Certo la pop art, e la riproducibilità

tecnica dell’arte di cui parla Walter Benjamin, hanno allargato la platea dei possibili artisti, o artigiani se preferiamo; ma per fortuna, anche il pubblico di chi può godere dell’arte si è enormemente espanso.

  • La cornice di questo libro è Torino, una città che per le sue atmosfere si presta molto ad essere utilizzata come ambientazione per libri noir. Tu che rapporto hai con questa città?

Abito in una città esattamente a metà strada tra Milano e Torino; ho vissuto le due metropoli come poli opposti. Confronto a Milano, Torino è desueta, riservata, diffidente, critica, ma è anche molto più bella, verde, ha la collina e il fiume, è la più europea delle città metropolitane italiane, sia come urbanistica che come atmosfera. Per me, utilizzare Torino come scenario invece che Milano significa evitare lo scontato, e lavorare in una sorta di “nicchia” letteraria del giallo.

  • Come accennato prima, c’è stato un intervallo particolarmente lungo tra i due libri che vedono Erasmo Mancini e Mauro Ferrando all’opera. Pensi che per rivederli ancora in giro dovremo aspettare tanto tempo oppure, come mi auguro, hai già qualche idea che possa far sì che questi due riuscitissimi personaggi possano trovare presto nuovo spazio tra gli scaffali delle librerie?

Sì, prima mi sono fatto scappare un cenno al prossimo romanzo, il terzo della serie: è già in avanzata lavorazione, il delitto viene commesso nell’ambiente dell’accoglienza agli immigrati, il meccanismo giallo è più complesso dei precedenti; ogni capitolo prende il titolo da un libro di Georges Simenon. Spero di poterlo proporre presto all’editrice.

Grazie mille a Franco Ricciardiello per essere stato nostro graditissimo ospite e speriamo di riaverlo ancora presto qui sulle nostre pagine

 

David Usilla

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