Intervista a Marzia Musneci – “Predatori notturni” (Todaro Editore)

Intervista a Marzia Musneci   – “Predatori notturni” (Todaro Editore)

Abbiamo da poco recensito “Predatori notturni” (Todaro Editore) di Marzia Musneci  e abbiamo ora la possibilità di scambiare con lei quattro chiacchiere per conoscerla meglio e per approfondire alcuni dei temi presenti nel suo nuovo romanzo

Buongiorno Marzia, mi permetto, se sei d’accordo, di darti del tu. Partiamo con le domande:

  • Essendo la prima volta che ti recensiamo e che di conseguenza ti intervistiamo, ci piacerebbe sapere un po’ chi è Marzia Musneci donna per poi andare a scoprire chi è Marzia Musneci scrittrice. Puoi farci un tuo ritratto per conoscerti meglio?

 

Ciao, Gufi. Certo che ci diamo del tu. Negli ultimi tempi mi capita spesso di frequentare allocchi e altri Strigidi, questa intervista con i Gufi Narranti – e in questo momento – è in linea con il destino.

Se mi guardo allo specchio vedo una Donna Che Legge. Così, con la maiuscola. Ho letto dall’età di cinque anni, ho continuato a farlo sempre con tanta foga che alle due di notte mio padre mi sequestrava la lampadina dell’abat jour con l’aria preoccupata.

Insomma, testa piena di storie e voglia di comunicarle, che ho riversato prima nella danza, poi nel teatro e alla fine nella scrittura. Le cerco, le storie: nel cinema che adoro, nella musica che mi fa volare, nel mondo. Tento di zittirle (senza successo) quando si piazzano sull’orlo del sonno, perché ha ragione papà, prima o poi bisogna dormire. E allora scrivo per salvare i neuroni.

Forse sono proprio le storie a farmi sentire una ragazzina curiosa a dispetto dell’anagrafe. Se c’è una cosa che proteggo dall’avanzare del tempo è la capacità di meravigliarmi. In fondo, scrivo per condividere un bell’ ‘oh!’ tondo tondo con i miei simili.

 

  • La cornice in cui si svolgono i fatti che ci racconti è quella di una Roma lontana da quello che è l’immaginario collettivo, una Roma più popolare se vogliamo, la Roma delle periferie che devono fare i conti ogni giorno con la fatica del vivere. Possiamo dire che questa Roma è uno dei personaggi principali di questo tuo romanzo? Che rapporto hai tu con questa città?

Ci sono nata, a Roma, ci ho trascorso gran parte della vita. Abito da molti anni a una trentina di chilometri dalla città. Qui parcheggio davanti casa, ho boschi e laghi a dieci minuti di macchina e mezzo paese mi saluta per strada. Ma Roma resta sempre la mia città. Ogni volta che ci torno, almeno un paio di volte a settimana, mi accorgo di quanto io le appartenga, di quanto mi manchi. Da un po’ di tempo in qua, si presenta al mondo con abiti sgarrati, capelli arruffati e trucco sfatto, ma trova lo stesso il modo di toglierti il respiro. Sì, Roma è un personaggio di Predatori notturni, sia nel fascino del centro storico, sia nel degrado della periferia. Ma è proprio nella periferia che ti sorprende con sprazzi inaspettati di bellezza e di umanità.

  • Hai una grande capacità di raccontare fatti molto brutti con una grande leggerezza, riuscendo talvolta a strappare un sorriso laddove a ben pensare non ci sarebbe granché da sorridere. È una tua scelta narrativa dovuta al fatto che preferisci sdrammatizzare un po’ oppure c’è una tua predisposizione naturale al cercare sempre di vedere le cose meno pesanti di quanto siano in realtà?

Credo che le cose pesanti siano pesanti. Non è mia intenzione sminuirle o sdrammatizzarle. Tuttavia lo spirito, il sorriso o la risata sono armi che ci consentono di superarle. Di imporre ai guai che ci capitano l’argine dell’intelligenza e dell’ironia. Di alzare una barriera contro i danni che certi fatti possono causarci. In fondo, pure questo devo a Roma. Il sarcasmo creativo ha fatto superare ai romani la vicinanza millenaria e costante con il potere e i malanni che inevitabilmente provoca, secondo me. E poi, nel mondo, tragedia e commedia vanno spesso a braccetto, mi è capitato di ridere e piangere nello stesso tempo, a voi no? Shakespeare l’aveva capito bene, e Shakespeare è uno dei miei fari. Altissimo e irraggiungibile, ma la sua luce soccorre.

  • Sam e Zek, i due protagonisti principali di questo tuo romanzo, mi ricordano per certi versi i Chicco e Spillo cantati anni fa da Samuele Bersani. Li presenti come ragazzi che la vita ha obbligato letteralmente a vivere fianco a fianco ogni istante della loro vita. Come è nata l’idea per due personaggi così particolari ed originali?

Ho un debole per i perdenti. Per chi ha pochi strumenti per fronteggiare la vita. Chi può averne meno di due gemelli congiunti, orfani in un quartiere problematico, che devono combattere contro sguardi indiscreti, curiosità invadente, scherno, emarginazione sociale, isolamento affettivo? Zek e Sam hanno solo i pugni, affrontano la vita senza congiuntivi e subordinate, vivono all’indicativo, come dice di loro il giornalista Bob Carrezza. I due hanno cominciato ad insidiarmi il sonno, ad assediarmi i neuroni con i loro battibecchi da avanspettacolo fatti di turpiloquio e verbi sballati (c’entra il teatro? certo che c’entra), con la sfiga che li segue come un cane fedele. Attraversano disarmati il mondo che conosciamo, e che spesso li travolge. Però sono due lottatori, e lottano. E intorno al quarto ponte, c’è pure qualcuno che li aiuta.

  • Hai creato un universo di personaggi tutti molto interessanti e ben caratterizzati. Da dove nascono? Sono totalmente frutto della tua immaginazione oppure nascono da un’osservazione del mondo che ti circonda?

‘Il mondo è pieno, può succedere tutto’. Amo questa frase di John Cage (da Silence). Guardo il mondo con molta attenzione. Tutta quella di cui sono capace. Però, al settimo romanzo e non so più quanti racconti di ogni misura, non ho mai inserito nelle mie storie personaggi presi di peso dalla realtà (a parte tre gialli storici in cui è giocoforza farlo).  Magari mi colpisce il tratto caratteristico di una persona, il carattere di un’altra, la luce o il buio che accompagnano un’altra ancora, un fatto strano, un’incongruità, una scoperta. A volte mi sento come un relitto sottomarino, su cui il tempo e le correnti fanno attecchire una vita coloratissima. Le cose sono prese dal mondo, sì. Ma il processo creativo frulla tutto e ne fa qualcosa di diverso. Qualcosa che è reale e credibile e coerente all’interno di un universo narrativo. E poi non sono solo Zek e Sam a chiacchierare sprofondati nel cuscino accanto, lo fanno tutti. Le prime cose che stendo quando scrivo sono le schede dettagliate di ogni personaggio. Li conosco bene, perciò è difficile che dicano qualcosa che non rientri nella loro logica. Sono fatti così, agiscono come agiscono per necessità. Non si scappa. Ah: per me sono reali e li amo tutti. Anche quelli che occupano mezza pagina su trecento. Chissà se questo c’entra con il fatto che li troviate vividi (grazie grazie).

  • Abbiamo detto prima che questo è un romanzo che parla molto di periferie, racconta le dinamiche del quotidiano vivere di quella parte di Roma che non viene mai presa in considerazione dal dibattito pubblico quotidiano, che sembra esistere solo quando è ora di prendere voti alle elezioni. Come vedi tu la situazione della periferia romana e in generale delle periferie delle grandi città italiane?

 

Le città sono tutte diverse nei centri storici e molto simili nelle periferie. A un primo sguardo è così, ma, a guardarle da vicino, ogni periferia ha le proprie caratteristiche. Credo però che le unisca un tratto comune: quello di essere abbandonate dalla cosa pubblica. Come ai Ponti: un quartiere creato fra i ’70 e gli ’80 da fior di urbanisti, con criteri urbanistici avanzati per l’epoca, in cui le istituzioni e i servizi erano previsti e collocati. Ma le istituzioni non si sono presentate per molto tempo, i servizi nemmeno. Si è creato un vuoto, riempito prima dalla mafia degli alloggi e poi dal piccolo malaffare. È dura intervenire a processi avviati da decenni, con provvedimenti tardivi, quando ormai si è consolidata una mentalità da cittadino lasciato a se stesso. Credo sia per questo che è così difficile trovare soluzioni durature, che incidano davvero sulla vita di chi abita le periferie. A tirar su un quartiere ci vogliono anni, a cambiare una mentalità servono decenni. Le amministrazioni si occupano delle periferie in modo discontinuo, spesso con soluzioni calate dall’alto, quando il degrado è già diventato l’unico sfondo di vite difficili. Le toppe rischiano di essere peggio del buco, o, nel migliore dei casi, sono inutili. Non ho la soluzione per questo problema, ma, se ci fosse, avrebbe bisogno di molto tempo e molta costanza per fare effetto.

 

  • La tua scrittura ha un qualcosa di cinematografico, si adatta molto a quello che sarebbero i ritmi ideali di un film. Sei d’accordo? Chi vedresti nei panni dei protagonisti?

Eh, di cinema ne ho visto tanto, soprattutto da adolescente, quando quello che fai concorre a creare la persona che sarai. Questo per me è un gran bel complimento. Certo che mi piacerebbe vedere le mie storie del Laurentino 38 al cinema. È il cinema che dovrebbe darsi una svegliata (a proposito di sarcasmo romano 😊).

I miei personaggi, tutti, sono chiarissimi nella mia testa, ma ogni lettore li vede a modo suo, l’ho sperimentato. Zek e Sam vengono visti spesso come somiglianti a Ninetto Davoli da giovane o al Monnezza, anche se io li descrivo in maniera assai differente. Va benissimo così, è un diritto del lettore che mi diverte e, a volte, illumina di luce diversa quello che ho scritto. Così, random e per come li vedo io: il giornalista Bob Carrezza ha la faccia di Hugh Laurie, il  dottor House della serie; Tecla Giuliani, la misteriosa, è Mia Kirshner in Black Dahlia di De Palma; Miriam Fantini potrebbe avere la bella faccia di Giovanna Mezzogiorno, Nick Badile la fisicità di Claudio Santamaria. Abbe e Luz andrebbero cercati, li vedo solo come sono loro nella mia testa. Mentre per Igor -diciamo-così, il personaggio che mi occupa una pagina e mezza e molto cuore, Antonio Albanese potrebbe fare uno splendido cameo.

  • Quando hai iniziato a raccontare di Zek e Sam avevi previsto di scrivere un seguito? I due protagonisti torneranno ancora a far parlare di sé in futuro?

 

No, non prevedevo un seguito a Grosso guaio a Roma Sud. Però Zek e Sam sono stati subito accettati e molto amati. Più di quanto mi aspettassi. Ci sono stati parecchi lettori che hanno chiesto di incontrarli di nuovo, e i gemellacci avevano ancora molto da raccontare. In un certo senso hanno sorpreso anche me. E questo va bene, va benissimo. Per come la vedo io, è quello che deve accadere, perché la sorpresa si trasmette. Il divertimento si trasmette. L’amore per la parola e le storie si trasmette. Se lo dico io sembra una banalità sdolcinata, perciò ve lo faccio dire meglio da David Foster Wallace.

‘(…) Devi disciplinarti e imparare a dar voce solo alla parte di te che ama le cose che scrivi, il testo a cui stai lavorando. Che ama e basta, forse. Il talento è solo uno strumento. Fondamentale è lo scopo da cui è mosso il cuore della scrittura, nei fini che si è proposta la coscienza che sta dietro al testo. Ha qualcosa a che fare con l’amore.’

Insomma, quello che succedere dipenderà da quello che dice DFW. Dalla mia (e loro, di Zek e Sam) necessità di raccontare ancora. E dall’editore.

Grazie mille a Marzia Musneci per essere stata nostra graditissima ospite e speriamo che possa tornare presto a chiacchierare con noi.

Grazie a te, David, e ai Gufi Narranti. Sicuramente vi incontrerò di nuovo, ormai gli Strigidi sono entrati nel mio pantheon animale, insieme a gatti, cani e cavalli.

David Usilla

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