Bathory – Blood Fire Death – Per tutti coloro che sono morti.

Bathory – Blood Fire Death

Anno: 1988

Paese di provenienza: Svezia

Genere: thrash black

Membri: Quorthon – voce, chitarre, percussioni, effetti; Kothaar – basso; Vvornth – batteria

Casa discografica: Under One Flag

  1. Odens Ride Over Nordland
  2. A Fine Day To Die
  3. The Golden Walls Of Heaven
  4. Pace ‘Till Death
  5. Holocaust
  6. For All Those Who Died
  7. Dies Irae
  8. Blood Fire Death

 

Arrivati nel pieno degli anni ’80 il movimento dei Bathory all’interno della scena diventa quasi un boomerang. Da che infatti il combo scandinavo si ritaglia un ruolo di tutto rispetto come fonte d’ispirazione per la frangia thrash e black europea, finisce poi per essere influenzato a sua volta dai più riusciti tentativi di Kreator e simili. A questo va poi ad unirsi l’indagine sempre più evidente del contesto epico (a partire dall’intro Odens Ride Over Nordland) che potrebbe far pensare invece alle compagini statunitensi come Manowar e Cirith Ungol. Il risultato è tutt’altro che banale, considerato che, giunti al quarto album, i Bathory inanellano una serie di opere in grado di distinguersi tra loro. Se Bathory rappresenta la satanica furia cieca, The Return…… il buio e Under The Sign Of The Black Mark l’apertura definitiva al black metal, Blood Fire Death è il momento della carriera del gruppo in cui metal estremo e metal epico si conciliano idealmente. La maturità del progetto accompagna quella del suo uomo – simbolo Quorthon, sempre più padrone della sua creatura al punto da contribuire alla stesura dei tappeti ritmici.

Stranamente Blood Fire Death (escludendo l’intro) inizia in maniera non indimenticabile, con la lunghissima A Fine Day To Die, molto al di sotto dell’impegno compositivo profuso dal gruppo lungo la scaletta e che suona un po’ come un tentativo ambizioso mal riuscito. Poi si abbatte sulle nostre orecchie il fulmine incontrollato di Golden Walls Of Heaven e tocca subito ricredersi. Il pezzo non è altro che la versione aggiornata, più precisa e veloce di qualsiasi cosa che i Bathory avessero realizzato nel primo disco. Il risultato annichilisce proprio per il fatto che non si capisce quando tutta questa violenza si fermerà. Un riff sinistro e un accenno autoironico (ascoltare per capire) ci lasciano a Pace ‘Till Death, la dimostrazione più letale ed evidente di quanto Quorthon e soci siano stati attenti a Pleasure To Kill dei Kreator. Anche qui l’aggressione è senza compromessi e ad essere privilegiata rimane la vena più thrash. D’altronde non si fa’ altro che passare alla furia di Holocaust, il cui impatto probabilmente ai tempi veniva eguagliato dagli Slayer di Reign In Blood.

Tuttavia in tutti i dischi c’è sempre un pezzo che rimane più in testa rispetto ad altri e questo succede anche in Blood Fire Death, che è colmo di pezzi da ricordare. For All Those Who Died in quanto ad intelligenza compositiva, intesa come gestione di stop e ripartenze, e per via dell’espressività sofferta che assume la voce di Quorthon, rimane a mio parere l’apice del disco. Dies Irae conferma l’attitudine spietata di un’opera crudissima, in cui il thrash metal si pone un nuovo obiettivo in quanto a brutalità e cattiveria; questo obiettivo lo si vedrà nascere proprio in quegli anni e si chiamerà death metal.

Le vere ambizioni e la maturità assoluta del gruppo si trovano nella natura stessa di Blood Fire Death, esplicata nella traccia che in chiusura ne prende il titolo. Dieci minuti e mezzo monocordi, folgoranti e grandiosi di metal epico e scintillante. Più Manowar che Slayer, più heavy che thrash, in quest’ultima prova i Bathory mostrano qualcosa di inedito, un tocco più classico che, negli arpeggi e nei tutto sommato delicati colpi di piatto finali, e nella rinuncia a qualsiasi tipo di veemenza sonora, si concedono ad una finezza che sembra preannunciare nuove e più marcate influenze.

Voto: 9

Zanini Marco

 

 

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