Slayer – Reign In Blood – L’unico modo per uscire è pezzo per pezzo.

Slayer – Reign In Blood

Anno: 1986

Paese di provenienza: USA

Genere: thrash metal

Membri: Tom Araya – basso e voce; Kerry King – chitarra; Jeff Hanneman – chitarra; Dave Lombardo – batteria

Casa discografica: Def Jam Recordings

  1. Angel Of Death
  2. Piece By Piece
  3. Necrophobic
  4. Altar Of Sacrifice
  5. Jesus Saves
  6. Criminally Insane
  7. Reborn
  8. Epidemic
  9. Postmortem
  10. Raining Blood

Un grande gruppo per essere tale deve anche sapersi reinventare. Gli Slayer ad esempio, a solo due dischi dalla loro nascita, lo fecero. Se infatti Hell Awaits fu il disco più complesso e articolato, Reign In Blood spicca sicuramente ancora oggi per la sua immediatezza. In questo certosino rinfrescamento c’è anche l’elaborazione definitiva del genere, che per non trascendere troppo né l’una né l’altra influenza, si colloca perfettamente a metà strada tra metal e punk hardcore. Fino a questo punto il fenomeno del thrash metal, nelle mani di Metallica, Anthrax, Exodus, Kreator, e degli stessi Slayer era soprattutto roba da metallari con tutti quei riff e quelle melodie heavy velocizzate e il cantato più epico e guerresco. Reign In Blood soddisfa anche i punk perchè è il primo disco di questo movimento ad avvicinarsi molto di più alla schiettezza dell’hardcore, pur mantenendo pesantezza e distorsioni tipiche del metal più estremo in voga. Diciamo pure che considerati i tempi il suddetto disco era un passo avanti rispetto a tutti gli altri in quanto a velocità e violenza. Il risultato? Un’apoteosi di cattiveria e musica priva di qualsiasi apertura melodica. Un mitragliamento continuo di tupa – tupa, assoli al fulmicotone e riff indemoniati. Il capolavoro che tutti oggi conosciamo, imprescindibile per capire l’evoluzione del metal estremo. Si perchè nonostante la vena punk essenziale e diretta, le composizioni di Reign In Blood mantengono uno spessore e un corpo ancora metal.

L’assalto del quartetto californiano non è solo sonoro ma anche verbale. Angel Of Death, brano simbolo diventato un classico assoluto, fornisce un assaggio dell’indole provocatoria ed impermeabile alle critiche che il gruppo andava costruendosi. L’angelo della morte descritto nel testo non è altro che il medico criminale Josef Mengele, il cui operato viene descritto in maniera molto indifferente, senza apparenti critiche o accuse. Il tono usato dal gruppo venne subito additato di compiacimento e ci volle poco per alcuni ad etichettare gli Slayer come neonazisti. Tutt’oggi le controversie che avvolgono la loro storia, così come l’universo di sostenitori più o meno ambigui che li circonda, non si arrestano ed è un dato di fatto che spesso metallari di estrema destra ergano gli Slayer a loro gruppo simbolo. L’eterna vicenda degli atteggiamenti provocatori: attirano l’attenzione di tutti e tra questi ci finiscono dentro anche gli imbecilli; tant’è che il gruppo in questione non si è mai dichiarato nazista. A questo punto ci si può solo fidare. Angel Of Death in ogni caso è un pezzo clamoroso, l’ABC del thrash metal. La cosa più malignamente accattivante di Reign In Blood sta comunque nella sua determinazione indistruttibile. Se l’ascoltatore nell’86 rimase già di stucco di fronte alla prima traccia, Piece By Piece è la conferma che in questa scaletta il gruppo non si fermerà mai. Due minuti pesanti e tirati in cui Tom Araya parla chiaro: “L’unico modo per uscire è pezzo per pezzo.” e considerata l’efferata precisione dell’attacco fulmineo di Necrophobic direi che ha proprio ragione. Un minuto e quaranta secondi che travolgono con urla belluine e chitarre saettanti attraverso le gioie di un manuale criminale ricco di incisioni, pelle che si contorce e erosione delle ossa. Ad un piccolo passo dal grind core. Speranza? Ma di che stiamo parlando?

Altar Of Sacrifice fa’ un po’ il paio con la successiva Jesus Saves per quanto concerne una superiore elaborazione musicale. Tematicamente nella prima ci spostiamo su di un lido molto caro agli Slayer: il satanismo. Un orgasmo musicale in cui chitarra e batteria galoppano all’unisono in un matrimonio di selvaggio stile. La seconda, Jesus Saves, è proprio il chiaro esempio di quello che dicevo ad inizio recensione: un altalenarsi continuo di massicce schitarrate metalliche e sporche incursioni hardcore. Un crescendo che, una volta passato per qualche riff, si libera in una cavalcata di tupa tupa da pelle d’oca. Il codice del mosh pit è qui, fatevene una ragione e godete. Il primo momento di stasi (comunque brevissima tranquilli) è l’introduzione di Criminally Insane, chirurgicamente mossa dai colpi di ride di Lombardo che vanno a creare un’atmosfera tesissima in cui si preannuncia già un macello. Le chitarre all’inizio intonano una specie di nenia quasi ipnotica che appunto si energizza quasi subito. Anche qui due minuti e venti secondi di aggressione senza compromessi, spietata e brutale. Reborn, Epidemic e Postmortem. Un trittico compatto che ribadisce il concetto: lo spettatore non deve avere la possibilità di liberarsi dalla piaga di Reign In Blood. L’ultima di queste si distingue per un fare quasi attendista in cui si intravede la funzione di intro, o traghettamento, verso un finale coi fiocchi. Postmortem infatti è dominata quasi interamente da un mezzo tempo mortifero di grande effetto. Il finale è una sfuriata virulenta che si perde nella pioggia. Questo è il segnale. Inizia Raining In Blood. I rumori di fondo sono ancora temporaleschi e le chitarre cominciano a lamentarsi lontane, come crepitii di bare che si aprono per dischiudere un abisso di orrore. Il riff più malvagio della storia della musica viene fuori proprio da qui, dall’inferno. La traccia che chiude l’album è l’ennesimo capolavoro capace di coniugare massa sonora e attitudine selvaggia in un continuo susseguirsi di chitarre indimenticabili. Allo stesso tempo il futuro: qui nasce il metalcore. E quando la batteria torna a correre incontrollata in un tormento di assoli lancinanti alla fine scoppia un tuono devastante che cancella tutto in una pioggia di sangue.

P. S.: Se qualcuno vi dirà che Kerry King come chitarrista è scarso perchè le sue svisate sono tutte uguali e non hanno alcuna melodia, fottetevene, Reign In Blood se ne fotte delle bellezza. E’ cattiveria e basta, creato per spazzare via tutto.

Voto: 10

Zanini Marco

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