Intervista a Barbara Giangravè – In clinica psichiatrica c’è il glicine fiorito

Intervista a Barbara Giangravè – In clinica psichiatrica c’è il glicine fiorito – Fides edizioni

Barbara Giangravè

Abbiamo da poco recensito il romanzo di Barbara Giangravè: “In clinica psichiatrica c’è il glicine fiorito” edito da Fides edizioni, e abbiamo ora la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con l’autrice.

 

Ciao Barbara grazie per essere passata a trovarci possiamo darci del tu?

 

Dobbiamo darci del tu!

 

  • Innanzitutto permettimi di chiederti quello che tutti coloro che hanno letto il libro e lo leggeranno vogliono sapere, come stai?

 

Sto meglio, grazie. Continuo ad assumere i farmaci che mi sono stati prescritti e a sottopormi alle sedute di psicoterapia. Anche in questo modo riesco a tenere a bada la depressione

 

  • Pur non essendo tu nuova alla pubblicazione di libri, visto che “In clinica psichiatrica c’è il glicine fiorito” è la tua seconda pubblicazione, che effetto ti ha fatto scoprire che le tue riflessioni e in qualche modo denunce, avrebbero varcato il confine del tuo pc?

 

È stata la realizzazione di un sogno. Fin da quando ero bambina sognavo di diventare una scrittrice. In un certo senso, il giornalismo è stata una scelta di ripiego. Ho lavorato per più di dieci anni come giornalista. Quando ho deciso di trasferirmi da Palermo a Palazzolo Acreide (uno dei “Borghi più belli d’Italia”, in provincia di Siracusa), dopo avere vissuto per un anno e mezzo a Testa dell’Acqua, una contrada di campagna qui vicino, ho svolto diversi lavori per mantenermi. Sono stata commessa, banconista, operaia e postina. Ho da poco cominciato un nuovo percorso professionale che mi condurrà a lavorare come panificatrice nel laboratorio di un panificio. Insomma, ho fatto di tutto pur di rimanere a vivere qui e, soprattutto, di continuare a scrivere. Desidero fortemente che altre mie parole varchino i confini del mio computer

 

  • Il tuo scritto che possiamo definire una sorta di diario del tuo periodo di degenza all’interno della struttura di cui parli, è stato in qualche modo edulcorato e ripulito prima di diventare il libro che abbiamo letto?

 

No. Tutto quello che avete letto è esattamente tutto ciò che io ho scritto. La editor della casa editrice non ha toccato neanche una virgola. Non ha ritenuto di doverlo fare. E, per me, è stata davvero una gran bella soddisfazione

 

  • Onestamente la presenza di questo glicine fiorito mi ha fatto pensare ad Alda Merini, ti sei mai interessata, da scrittrice (o da lettrice) alla sua figura?

 

Me ne sono interessata da lettrice. Ho letto le sue poesie e mi sono documentata sulla sua vita. Ho amato e amo Alda Merini perché è autentica. Credo che abbia scritto per se stessa, come forma di auto-terapia. Ciò nonostante è stata letta e apprezzata da migliaia (se non di più) di persone.

Probabilmente perché tutti i suoi lettori hanno riconosciuto in lei il talento che neanche la malattia mentale è riuscito a scalfire. Ritengo di doverle essere riconoscente

 

  • Per quanto la situazione delle strutture psichiatriche sia cambiata dall’introduzione della legge 180, meglio nota come Legge Basaglia, reputi che lo stato attuale delle cose sia sufficiente o quantomeno accettabile?

 

“Lo stato delle cose” (come il titolo di una canzone di un cantautore della mia terra) non è quello più ottimale. Le cliniche psichiatriche dipendono dalla gestione di medici che, nella maggior parte dei casi, tendono a “curare” tutti allo stesso modo: con la sedazione. Mi rendo perfettamente conto che non sia una passeggiata di salute la gestione di queste strutture sanitarie. Ma, se esistono e se ci sono persone che hanno bisogno di esservi ricoverate, c’è un motivo ben preciso. La malattia mentale va curata realmente. Non nascosta sotto il tappeto come la polvere

 

  • Chi non ne soffre, non riesce a capire cosa sia la depressione, tu lo definisci il cancro dell’anima, definizione che trovo molto calzante, ritieni però corretto definire la depressione come un disturbo mentale? Oppure è qualcosa di diverso?

 

La depressione è un disturbo mentale perché porta, chi ne soffre, ad avere una percezione distorta di sé, degli altri e della realtà in generale. Ci sono delle sostanze chimiche che non vengono prodotte autonomamente dal cervello dei depressi. Ecco perché si ricorre alla psichiatria e alla psicoterapia

 

  • Credi che la società di oggi possa esser causa dell’aumentare dei casi di depressione o semplicemente sono più bravi a diagnosticarla e i casi non son aumentati?

 

Credo che il mondo in cui viviamo abbia peggiorato di gran lunga la salute mentale di tutti i suoi abitanti. Credo che la pandemia mondiale che abbiamo attraversato sia stata la classica “goccia che ha fatto traboccare il vaso”. Nessuno ama stare da solo con i suoi pensieri. Anche perché più si sta da soli e più questi pensieri si moltiplicano. Alla fine, nessuno riuscirà mai a reggere da solo il peso dei suoi “demoni interiori”

 

  • Hai mai sentito ridere, di una risata sincera, qualcuno che era ricoverato con te?

 

No, questo non mi è capitato purtroppo. Una clinica psichiatrica non è esattamente un posto allegro. E neanche esservi ricoverati lo è. Nella mia casa di Palermo, sopra il mio lettone, c’è ancora una frase che ho attaccato al muro, realizzata con degli stickers: “La decisione più coraggiosa che puoi prendere ogni giorno è quella di essere di buon umore”. Comprai quegli stickers e li usai per “arredare” la mia camera da letto nel 2013. Fu l’anno in cui cominciai a manifestare i primi sintomi della depressione

 

  • La stanza in cui dormivi durante il tuo ricovero la chiami cella, perché? Non ti sentivi di essere in un ospedale?

 

No, per niente. La mia stanza, così come tutte le altre, aveva le sbarre alla finestra. E il cortile in cui uscivamo per fumare era circondato da muri e cancelli. Gli ospedali hanno un altro tipo di assetto…

 

  • Se non ti fossi portata il pc, e non avessi avuto nessun modo per scrivere, come pensi avresti passato le giornate all’interno della clinica? Non è prevista alcuna attività quantomeno spezza noia?

 

Probabilmente, avrei fatto la stessa cosa che ho fatto durante i miei primi due ricoveri. Mi sarei lasciata andare ulteriormente. E sapevo, a distanza di anni, di non potermelo più permettere. Non ci sono attività da svolgere in una clinica psichiatrica. A meno che non si rientri in un percorso di riabilitazione psichiatrica. Come, per fortuna, è successo a me

 

  • Come sono le notti all’interno di una clinica psichiatrica?

 

Se i farmaci funzionano, le notti all’interno di una clinica psichiatrica sono sempre le stesse. Si dorme profondamente per tutte le ore. Di solito, ci si sveglia presto perché l’attività degli infermieri comincia presto

 

  • C’è un momento triste e un momento bello legato al tuo ricovero o a quelli precedenti che non dimenticherai mai?

 

Il momento più triste legato al mio ultimo ricovero è quello che racconto nel libro: quando uno dei pazienti che ha dato in escandescenze ci ha tenuti in “ostaggio” per due giorni. Di momenti belli non ne ricordo. O, magari, proprio durante il mio ultimo ricovero il momento, bello è da considerare tutto il tempo trascorso a scrivere…

 

Grazie mille per la disponibilità. Arrivederci a presto sulle pagine de “I gufi narranti”.

 

Grazie a voi per avermi letta e accolta. Grazie davvero. Grazie di cuore

Sandra Pauletto

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