Intervista a Serena Vinci “Il sangue ti scorre accanto”, Les Flaneurs ed

Intervista a Serena Vinci, “Il sangue ti scorre accanto”, Les Flaneurs edizioni.

Abbiamo da poco recensito il romanzo “Il sangue ti scorre accanto” di Serena Vinci, edito da Les Flaneurs e abbiamo la possibilità di scambiare con lei quattro chiacchiere.

 

Ciao Serena, grazie per essere passata a trovarci. Possiamo darci del tu?

 

Non solo possiamo, dobbiamo. Leggo spesso le recensioni dei Gufi, perciò qui mi sento a casa. Grazie per avermi dato l’occasione di dialogare con voi!

 

D: Quando sei venuta a conoscenza del fatto di cronaca che ha ispirato il tuo romanzo?

R: La storia nera a cui mi sono ispirata è un fatto realmente accaduto nel 1993 nel mio paese di origine. Io ero solo una bambina all’epoca, ma ricordo bene lo shock che quella vicenda generò nelle persone a me più vicine, come i miei genitori. Nel corso degli anni, ho ripensato spesso a quella vicenda e non mi capacitavo dell’esito del processo. Ma soprattutto, quando mi tornava alla memoria, c’era qualcosa che continuava a turbarmi al di là di ogni ragionevole indignazione. Volevo scoprire cosa fosse e, dato che conosco solo un modo per comprendere davvero le mie emozioni, cioè raccontarle, ho iniziato a scriverne.

 

D: Visti i parallelismi geografici fra te e il tuo personaggio possiamo considerarlo un ponte Alter-Ego letterario?

R: In qualche modo sì, sicuramente. Come dice Nabokov a proposito del suo esordio, «Mašen’ka», i primi romanzi sono sempre in qualche modo autobiografici, perché si ha la necessità di liberarsi di sé prima di iniziare a parlare d’altro. Diciamo che Fiammetta ha in comune con me il colore dei capelli e poco altro, se vogliamo prendere il dato di realtà. Però è sicuramente un personaggio attraverso il quale ho potuto sublimare molte mie paure e vivere esperienze che ho desiderato, o temuto, di fare. Jhonathan Safran Foer, descrivendo perfettamente questa relazione, alla tua domanda avrebbe risposto così: “Non è la mia vita, ma sono io”.

 

D: Qual è stata la parte del libro più difficile da scrivere?

R: L’incipit, sicuramente. Il romanzo aveva un attacco completamente diverso, che non introduceva il lettore nell’atmosfera che avevo in mente. Si notava subito che la temperatura sia dell’incipit non era quella giusta, serviva qualcosa di più avvolgente e allo stesso tempo di perturbante. L’incipit di oggi è arrivato molto dopo, al secondo giro di editing, quasi alla fine della stesura del romanzo. Un po’ come si fa per le introduzioni delle tesi.

Anche il finale è stato travagliato. Meno dell’incipit, comunque, perché nel finale avevo la forza dell’intero romanzo e mi era più chiaro dove tagliare o limare.

D: Quando hai descritto certe zone, avevi in mente posti reali o li ha ricreati con la fantasia?

R: Mi sono ispirata prevalentemente a luoghi reali, ma li ho descritti con la fantasia. Intendo dire che io leggo i luoghi esistenti con un filtro personale molto emotivo al punto che se qualcuno che conosce quei luoghi o se un lettore andasse a visitarli avendo letto solo il libro, credo che non li riconoscerebbe. Altri luoghi invece li ho inventati, come per esempio il capanno della strega e il palazzo del padre di Fiammetta. In questo caso la fonte è stata la letteratura, soprattutto i romanzi gotici, ma anche il cinema e le serie tv.

 

D: Quando hai capito che aspiravi a diventare scrittrice?

R: Prima ho capito che volevo essere una lettrice, poi ho sentito che mi mancava qualcosa, perché sentivo di avere qualcosa da dire anche io e ho iniziato a scrivere. Il ruolo di lettrice lo ricopro da quando ho memoria, e credo che dopo Topolino, il primo vero libro amato sia stato Piccole Donne. Poi Dylan Dog. Forse per questo il primo romanzo che ho scritto parla di una storia famigliare e di un’indagatrice!

 

D: Oltre al genere giallo nel quale evidentemente ti trovi a tuo agio, ti sei cimentata anche in altri generi?

R: Ti ringrazio per questo che è un bellissimo complimento. Sono a mio agio con il genere giallo perché è il genere della ricerca, per eccellenza. Io nella vita sono una ricercatrice sia per professione sia per indole, quindi non potevo che iniziare con delle indagini. Ho scritto però anche un racconto che è un po’ fiabesco, un po’ mitologico, un po’ romantico. È la storia di una statua che prende vita in un museo e, dopo secoli di peregrinazioni, ritorna al luogo in cui è nata. Chi conosce il francese, può leggerla qui. Come vedi, anche in questa storia c’è di mezzo il topos del ritorno.

 

D: Da lettrice qual è il tuo scrittore preferito?

R: Domanda complessa: ho più di un nume tutelare e credo che, in base al periodo della vita, possa cambiare. Leggo prevalentemente in lingua originale e quindi riesco a farlo in italiano, francese e inglese, che sono le mie lingue d’uso. Al momento, direi: Paola Masino e Michele Mari; Amélie Nothomb ed Emmanuel Carrère; Shirley Jackson e Tolkien.

 

D: Stai lavorando ad un nuovo libro?

R: Per ora ne ho scritto solo il trattamento, se vogliamo usare un termine tecnico della cinematografia, però sì, ho una storia in mente a cui penso spesso. La sto costruendo nel mio mondo interiore prima ancora che sulla carta. Non posso dire di più. Queste cose sono come i desideri: se ne parli, non si avverano.

 

Grazie mille per la disponibilità, arrivederci a presto sulle pagine de I gufi narranti

Sandra Pauletto

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