Intervista a Lisa Beneventi – “Siamo come le farfalle” (Nua Edizioni)

Intervista a Lisa Beneventi – “Siamo come le farfalle” (Nua Edizioni)

Lisa Beneventi

Abbiamo da poco recensito “Siamo come le farfalle” (Nua Edizioni), splendido libro di Lisa Beneventi e ora abbiamo la possibilità di scambiare con l’autrice quattro chiacchiere per conoscere meglio sia lei che questo suo interessantissimo romanzo.

 

Buongiorno Lisa, è un piacere averti ospite sulle nostre pagine.

Mi permetto, se sei d’accordo, di darti del tu. Partiamo con le domande:

  • Essendo la prima volta che ti recensiamo e che di conseguenza ti intervistiamo, ci piacerebbe innanzitutto conoscerti meglio, sapere chi è Lisa Beneventi al di là del tuo essere scrittrice. Ci racconti qualcosa di te?

Moglie, mamma di tre figli, nonna di due nipoti: questa è l’immagine principale che vorrei dare di me. Questi sono i miei ruoli fondamentali.

Sono una persona molto attiva, che ha sempre tanti progetti in testa. Mi ritengo fortunata perché nella vita sono riuscita a realizzare molti dei miei “sogni”. Mi piace dire che ho vissuto e continuo a vivere “molte vite”. Sono stata insegnante di lingua francese nei licei della mia città, Reggio Emilia; formatrice in corsi di aggiornamento per docenti e autrice di testi scolastici per le scuole superiori, pubblicati dalla casa editrice Zanichelli. Ho svolto questa attività con grande passione per più di vent’anni. Quindi, quando ho deciso di voltare pagina, mi sono dedicata alla mia passione giovanile, a lungo trascurata, cioè la pittura, arrivando ad esporre i miei quadri in Italia e all’estero e ottenendo importanti riconoscimenti; mi sono consacrata anche ai miei hobby, tra i quali la creazione di gioielli. Amo la montagna, amo viaggiare, amo l’opera lirica.

Poi, ad un certo punto della mia vita, dopo una serie di eventi familiari, ho sentito il bisogno di scrivere la storia della mia famiglia e così ha avuto inizio questa nuova avventura: la scrittura, unitamente alla pittura, sono diventate per me un bisogno vitale, una necessità, una pulsione spontanea, istintiva che mi permette di esprimere me stessa, le mie emozioni, la mia anima.

 

  • Nell’introduzione di questo libro fai un discorso molto interessante su quello che è un po’ il concetto di tempo, un discorso che credo sia fondamentale per capire la tua scelta di scrivere un romanzo che parla della tua famiglia. Ci spieghi bene questo discorso sul tempo?

Nella giovinezza lo sguardo di una persona è prevalentemente rivolto al futuro: si fanno progetti, sogni per il domani: è lungo il percorso che si ha davanti, mentre il passato ancora non esiste. Quando si arriva alla maturità, il lavoro, la famiglia, gli impegni di vario genere accaparrano ogni momento della vita, ti avvolgono come in un vortice e tu corri, fai, vai… conosci la gioia, la sofferenza, le soddisfazioni, le delusioni. Non hai più tempo per te, ti manca la lettura. Poi, inevitabilmente, arriva un momento in cui si incomincia a fare dei bilanci, in cui ci si volta sempre più spesso a guardare al passato, a ripensare alle persone che si sono amate e che non ci sono più, alle persone che continuano a vivere solo nei ricordi. È allora che si prova, vivissimo, il desiderio di far conoscere ai propri figli e ai propri nipoti quel passato e quelle persone che ci hanno preceduto e alle quali molto dobbiamo. Si sente il bisogno di ringraziarle con il dono dell’eternità, perché, come scrive il Foscolo, un individuo non muore mai se vive nel ricordo di qualcuno.

  • Questo romanzo ci parla indubbiamente dell’importanza della memoria, di quanto è fondamentale l’eredità che ci viene lasciata dai nostri antenati. Secondo te si può dire che ognuno di noi è un po’ la somma delle vite di chi ci ha preceduto?

La memoria unisce il passato, il presente e il futuro, poiché, come scrive Elie Wiesel, “la memoria è l’esile filo interiore che ci tiene legati al nostro passato: quello personale, quello familiare di ciascuno, come quello della società civile cui apparteniamo o della comunità di fede in cui ci riconosciamo”. È il filo che ci lega ai nostri antenati, grazie ai quali noi siamo, in gran parte, quello che siamo. Da loro non abbiamo solo ricevuto la vita, e già questo basterebbe per rendere loro omaggio, per onorarli col nostro ricordo. Da loro abbiamo ricevuto un’eredità ben maggiore: il senso della vita. Le loro lotte, le loro battaglie per la sopravvivenza, i loro ideali, le loro sofferenze costituiscono un bagaglio di esperienze che rivive in noi, che ne siamo consapevoli o no: esso ci aiuta a comprendere meglio il nostro presente, ad andare oltre, a guardare più lontano. Questo filo, che col tempo diventa sempre più sottile, non si rompe mai, cosicché, nelle nostre scelte decisionali, raramente dovute al semplice caso, confluisce il lavorio di quelle generazioni alle quali siamo legati. Questo filo ci tramanda i valori morali, sociali e politici che, da una generazione all’altra sopravvivono, maturano, crescono. È la guida per il futuro, poiché memoria e identità si alimentano reciprocamente.

  • Un romanzo come questo credo richieda un grande lavoro documentale, un grande lavoro di preparazione e di ricerca. Ci puoi raccontare come è stato questo lavoro, che emozioni e che sensazioni ti ha lasciato questa ricerca sui tuoi avi?

È stato un lavoro appassionante. Ho trascorso ore, giornate, nei vari archivi, parrocchiali, curiali, comunali, nazionali, nel tentativo di ricostruire l’albero genealogico della mia famiglia. Ho consultato faldoni tenuti in ottimo stato, altri rosicchiati dai topi o con pagine strappate o bruciate a causa di incendi, con calligrafie a volte incomprensibili. Sfogliando quelle pagine, mi sembrava di tornare indietro nel tempo, di essere accanto a quei sacerdoti che compilavano le schede sui nati, i matrimoni e i morti dal Cinquecento fino al Novecento. Un’emozione incredibile. E via via che procedevo, facevo scoperte che mi entusiasmavano. Era una gioia quando riuscivo a collegare i fili che legavano le varie persone, quando riuscivo a completare i tasselli, a scoprire i luoghi in cui avevano abitato i miei antenati, i loro mestieri, o quando seguivo i loro spostamenti da un paese all’altro. E allora, via, anch’io da una parrocchia all’altra, da un paese all’altro, a ripercorrere i loro passi. Ed era una sofferenza quando constatavo tutti i lutti che colpivano le famiglie di quei tempi e i decessi di neonati o bambini in tenera età! Contemporaneamente leggevo tutto quello che riuscivo a reperire sugli avvenimenti di quei secoli, le guerre, le invasioni, le rivolte, le torture; o sugli usi e i costumi, i mestieri, l’abbigliamento, l’alimentazione. Tutto poteva essere utile per ricostruire atmosfere, modi di vita, modi di pensare.

  • Oltre alla storia della tua famiglia nel tuo romanzo viene raccontata la storia, quella con la S maiuscola, di un pezzo del nostro paese, una storia importante, una storia vista non con gli occhi dello storico ma con quelli di chi ogni giorno doveva provare a portare a casa il pane, che doveva provare a mettere insieme il pranzo con la cena per la propria famiglia. Io sono convinto che questo tipo di narrativa sia un grande patrimonio culturale per tutti noi, ci aiuta a capire da dove veniamo, ci aiuta a capire che i privilegi di cui godiamo oggi sono figli delle sofferenze di chi ci ha preceduto. Tu cosa ne pensi?

Ho letto moltissimo mentre cercavo di ricostruire l’albero genealogico della mia famiglia. Testi di tutti i tipi: la storia della reggia di Rivalta, la storia dei vari paesi in cui hanno vissuto i Burani e i Beneventi, a partire dal Ducato d’Este alla venuta di Napoleone, dalla Restaurazione al Risorgimento e alla nascita del Regno d’Italia, dalle guerre coloniali alla Prima guerra mondiale, dal fascismo alla Seconda guerra mondiale, dalla Resistenza al dopoguerra. Ho letto sulle torture ad opera dei nazifascisti e sulle vicende del Triangolo rosso. Ho letto sulla nascita del socialismo e del comunismo, sulla moda, sull’agricoltura, sull’alimentazione, sull’emigrazione, sulla Francia degli anni Trenta… È stato per me un grande arricchimento culturale, anche se mi sono resa conto che alcuni eventi raccontati sui libri di testo non corrispondono sempre alla realtà dei fatti. La Storia è molto più complessa di quella che ci viene insegnata o che viene narrata a posteriori con la costruzione di “mezze” verità e di miti. Ho cercato quindi di scavare nella Storia e, al di là dei discorsi ufficiali, di cogliere, con obiettività, confrontando le varie interpretazioni, scritte e orali, quella “verità” storica, così difficile ancor oggi da ricostruire. Consapevole di questo, non ho inserito delle sintesi di avvenimenti disgiunti dalla narrazione, come sarebbe stato molto più facile fare; la Storia che fa da sfondo alle vicende private si intreccia con esse: è la Storia così come la vedono e la vivono i personaggi del racconto che ben poco sanno di ciò che succede in Italia. Cosa potevano sapere, infatti, quegli artigiani, quei contadini, quei muratori del Settecento e dell’Ottocento dei duchi d’Este, di Napoleone, di Cavour, di Garibaldi, di Mazzini? Sapevano quello che vedevano, giudicavano sulla base delle loro difficoltà, delle voci che sentivano… Ma una cosa hanno iniziato ben presto a capire: l’importanza della cultura. Piano piano, nel corso degli anni, si rendono conto che per comprendere la realtà che li circonda e per cambiarla in meglio, bisogna imparare a leggere e a scrivere, leggere i giornali, andare a scuola, studiare. Solo così si può acquisire il diritto di voto ed essere parte attiva della società.

Anch’io penso che questo tipo di letteratura sia importante, soprattutto per i giovani. Spetta a noi, adulti e scrittori, tener desta la memoria, verificare ciò che è realmente accaduto al di là delle “verità” che si sono sovrapposte nel tempo o dei miti che sono stati creati ad uso e consumo dei contemporanei. Dimenticare il passato significa uccidere i morti una seconda volta, significa negare la vita che hanno vissuto, le miserie che hanno dovuto superare, le speranze che li hanno sostenuti, le fedi che li hanno animati. Dimenticare il passato significa anche “spegnere” il nostro futuro perché è il passato che, come ho già detto, guida il nostro presente e il nostro futuro.

 

  • Che emozioni ha suscitato in te e nei tuoi famigliari questo libro? Tu lo hai mai riletto?

Un’emozione grandissima. Sentivo di essere lì coi miei avi, lontani e vicini, coi miei bisnonni, i miei nonni, i miei genitori, e di vivere la loro vita. Ho imparato a conoscerli meglio e a capire le loro scelte. Ero lì con loro e provavo gli stessi sentimenti, le stesse emozioni. Lo testimonia il fatto che, spesso, mentre evocavo le vicende della loro vita, emergevano in me ricordi di esperienze analoghe, riflessioni personali che non potevo fare a meno di sottolineare, emozioni che anch’io avevo provato.

Credo che mio marito abbia letto questo romanzo quattro o cinque volte: Ormai lo conosce meglio di me! I miei figli lo hanno divorato in pochi giorni e hanno pianto. Mia zia, personaggio della storia, lo ha letto due volte: ha 97 anni. Io, dal momento in cui è uscito il cartaceo, non l’ho più riletto. Ho paura della commozione che potrei provare. Lo farò, prima o poi! Ma mi emozionano anche tutti i giudizi positivi che ho ricevuto in questi pochi mesi dai miei lettori. Ancora non mi sembra vero di essere riuscita a comunicare attraverso la “mia” storia particolare, il “sentire” del popolo emiliano nel corso di due secoli di storia, a dare voce a tante povere famiglie che hanno a lungo lottato contro la miseria, le malattie, le ingiustizie e la morte, con determinazione, coraggio e fede.

 

  • Il tuo libro mi ha fatto riflettere su quanto sia importante riuscire a tramandare ideali, tradizioni, abitudini, dialetti, tutti quelli che sono comunque un importante lasciato dei nostri avi. Credi che in questo mondo ormai così caotico, iperconnesso, che mastica, digerisce ed elimina tutto in un battito di ciglia sarà ancora possibile riuscire a tramandare ai posteri qualcosa di noi?

Sarà sempre più difficile. Quando vedo i miei nipoti e, con loro, i giovani della loro età trascorrere ore con cellulari e tablet in mano, soffro. Quanto tempo perso, mi dico! Quante occasioni sprecate! Tempo che dovrebbero dedicare alla lettura, a socializzare coi loro coetanei, a giocare anche, a vivere. Hanno l’illusione di essere collegati con il mondo intero e di poter accedere a tutte le informazioni che desiderano, di poter comunicare con tutti. Niente di più falso. È un’illusione. Il nostro mondo iperconnesso conduce all’isolamento e i social si trasformano spesso in un rifugio che ostacola la creazione di relazioni autentiche. Sta alle famiglie, alla scuola e alle altre organizzazioni preposte all’educazione dei giovani strapparli da questa “falsa” vita. Temo che sia un’impresa molto difficile.

 

  • Il libro si intitola “Siamo come le farfalle”. Ci spieghi il significato di questo titolo?

Il titolo è tratto da una frase di Carl Sagan, astronomo e scrittore statunitense: “Noi siamo come le farfalle che battono le ali per un giorno pensando che sia l’eternità.” Questa citazione mi ha da subito colpita perché ben traduce la nostra condizione umana, tante volte espressa da poeti e scrittori: il tempo fugge, la nostra vita dura quanto il battito d’ali di una farfalla, lieve, evanescente. E tutto finisce prima che ce ne rendiamo conto: sogni, speranze, sofferenze, miserie, amore, passione, coraggio, ideali… ma niente svanisce! Tutto rimane, deve rimanere nei nostri figli, nei nostri nipoti, di generazione in generazione, per guidarci nelle scelte e nei giudizi. E allora non rinunciamo mai alla vita, amiamo questa vita che ci è stata donata, combattiamo fino in fondo con coerenza, realizziamo i nostri “sogni” e le nostre speranze.

Anche lo scrittore Hermann Hesse ci parla della farfalla: “la farfalla è un emblema si dell’effimero, sia di ciò che dura in eterno. È un simbolo dell’anima.” Questa frase racchiude tutto il significato del mio romanzo.

  • Hai in cantiere per il prossimo futuro nuovi progetti letterari di cui vuoi magari anticiparci qualcosa?

Ho da poco terminato un’altra saga familiare ambientata nella “bassa” reggiana, sulle rive del Po, a partire dalla seconda guerra d’indipendenza. Non aggiungo altro, se non che il testo è già nelle mani della mia casa editrice, Nua.

Il terzo libro, che ho da poco iniziato, ho già fatto presente che la scrittura è diventata per me una necessità… – sarà un romanzo storico ambientato nel Settecento francese, una storia raccontata in prima persona dal personaggio principale e per questo totalmente diversa dai testi precedenti.

Grazie per la vostra attenzione!

Lisa

 

Grazie mille a Lisa Beneventi per la sua disponibilità e per la sua gentilezza. Speriamo vivamente di averla ancora presto ospite delle nostre pagine

 

David Usilla

 

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