Intervista Antonio Santoro “L’inverno della morte rossa” Brunoldi Santoro

Intervista Antonio Santoro “L’inverno della morte rossa” Brunoldi Santoro

Antonio Santoro

 

Abbiamo da poco recensito “L’inverno della morte rossa” (Newton Compton) di Pierpaolo Brunoldi e Antonio Santoro. Proprio con quest’ultimo andiamo a parlare del loro ultimo libro.

  • Buongiorno Antonio, è sempre un enorme piacere averti sulle nostre pagine ed è un onore poter chiacchierare un po’con te per approfondire i temi trattati dal tuo ultimo libro scritto a quattro mani con Pierpaolo Brunoldi.

Grazie a voi per l’interesse dimostrato verso quest’ultimo romanzo.

  • Parto dal finale del vostro ultimo thriller storico e ti chiedo, da lettore e da vostro fans, se le avventure di Tiberio e del Conte Optari avranno un seguito oppure no. La mia impressione leggendo le ultime righe del libro è che la storia di questi due personaggi non sia terminata. Ho ragione?

È un’impressione corretta. Negli ultimi capitoli abbiamo creato la possibilità di un futuro per questi due protagonisti cui siamo molto affezionati. Ogni storia è un viaggio durante il quale una parte di te si trasferisce nei personaggi e viceversa, si instaura un rapporto osmotico di cui non vorresti mai fare a meno.

  • Dopo aver scritto a quattro mani la fortunata trilogia dedicata a Frate Bonaventura ambientata nella prima metà del 1200, ora avete scelto di raccontare di un periodo storico molto diverso, avete deciso di far tornare indietro le lancette dell’orologio di ben 7 secoli. Raccontate l’Italia dei primi anni del VI secolo d.c., un periodo storico che vede gli Ostrogoti come popolo conquistatore con la regina Amalasunta al comando. Cosa vi ha incuriosito di questo periodo storico a tal punto da decidere di ambientarvici una storia?

È un grande periodo di transizione. Il mondo antico con le sue strutture sociali, economiche e culturali è in disfacimento. Ma mentre a Est esiste già un patrimonio politico-culturale forte come quello dell’impero Bizantino, nella penisola italica il crollo di Roma non ha trovato un sostituto altrettanto forte. Si succederanno per molti anni e per diverse parti d’Italia dominazioni diverse, che lasceranno ognuna una sua impronta, ma nessuna sarà abbastanza forte e duratura da soppiantare l’eredità romana. I secoli che vanno dalla caduta di Romolo Augusto sino a Carlo Magno sono i più duri della grande e lunga epoca Medievale, perché governati dall’incertezza che sempre accompagna i forti cambiamenti. Ma sono anche quelli in cui si sperimentano nuovi modi di pensare alla società e all’uomo, nuove forme di convivenza, di spiritualità e di produzione. Insomma, sono anche molto vivi e dinamici. Nel nostro caso, nel 527 d.c., si sperimentano due novità estremamente importanti. La prima è incarnata da Amalasunta che, prima vera regina in occidente, coltiva un grande sogno: creare un nuovo impero d’occidente che fonda la forza militare gota con il genio politico e amministrativo romano. L’altra è innervata nel corpo di Benedetto da Norcia, leader carismatico con una grande aspirazione spirituale: creare sulla scia di quello orientale il monachesimo occidentale. Sono due grandi sognatori Amalasunta e Benedetto, però con una fondamentale differenza il sogno della regina sarà effimero e finirà nel sangue, quello del monaco influenzerà tutta la successiva storia del continente e contribuirà in modo significativo a plasmare l’identità europea.

  • Entrambi avete delle grandi capacità come sceneggiatori oltre che come autori di libri. Avete mai pensato che le vostre produzioni letterarie potrebbero avere fortuna anche come Film o Serie TV?

Ci abbiamo sempre pensato. Nel nostro recente passato abbiamo entrambi esperienze come sceneggiatori, e ognuno per suo conto porta già avanti altri progetti in tal senso. Così quando pensiamo a una storia lo facciamo sempre per immagini, quindi con un respiro cinematografico. Ma tra il pensare e il fare… c’è di mezzo la fortuna. Mi spiego: occorre un po’ di fortuna perché nel mare magnum della produzione letteraria qualcuno decida di interessarsi proprio alla tua storia. Ma mai dire mai. Ben vengano delle proposte. Molti lettori mi hanno scritto dicendo che già immaginano un film da questo romanzo.

  • Come detto questo è il vostro quarto libro scritto a quattro mani, anche se in verità sembrate così affiatati che pare di leggere una produzione di uno scrittore unico. Credo che per scrivere come fate voi, dando la sensazione di essere una persona sola, serve un affiatamento ed un’unità di intenti davvero forte. Immagino che tutto debba partire da una base comune per poi svilupparsi facendo una sintesi delle vostre due anime artistiche. Cosa vi unisce dal punto di vista artistico? Qual è il vostro metodo di lavoro?

Il nostro metodo di lavoro è simile a quello degli sceneggiatori. Tutto parte da un’idea: una situazione, o un personaggio che solletica la nostra fantasia creando un senso di urgenza rispetto alla scrittura. Si passa, quindi alla stesura, di un soggetto che contiene in potenza tutti gli elementi fondanti di una storia. Se ne si è soddisfatti, si passa alla stesura dei capitoli. Il lavoro viene suddiviso e rimaneggiato più e più volte finché si raggiunge l’effetto amalgama – io amo chiamarlo così – che dà l’illusione di un’unica voce dietro il racconto. Pertanto, non troverai mai in un nostro romanzo un capitolo scritto per intero da uno solo di noi. Ognuno è stato editor dell’altro ed è intervenuto nella scrittura delle parti dell’altro, per così dire. In tal senso, possiamo dire che il nostro metodo di lavoro assomiglia molto a una partita di tennis: è uno scambio continuo dove il gioco dell’altro plasma il tuo e viceversa.

  • Nei vostri precedenti libri, soprattutto nell’ultimo capitolo della trilogia di cui abbiamo detto prima, c’è sullo sfondo la figura di San Francesco D’Assisi mentre in quest’ultimo lavoro tracciate un ritratto di San Benedetto da Norcia. Sono due figure molto differenti da quello che ne viene fuori leggendo i vostri libri. Secondo voi cosa li accomuna e soprattutto in cosa si differenziano le due figure?

Sono due visionari con gli occhi puntati al cielo e i piedi ben piantati per terra. Entrambi creano una rivoluzione nella Chiesa. La differenza risiede nel rapporto con il mondo secolare. I benedettini se ne allontanano consacrando la loro vita al lavoro e al Signore. Nella loro eredità c’è la straordinaria opera di trasmissione del sapere. Dobbiamo a loro gran parte della conservazione e della trasmissione delle opere classiche. I francescani, invece, sono un ordine mendicante che ha nella sua natura la predicazione in mezzo agli uomini. Sono quindi immersi nel mondo secolare in cui cercano di riportare gli autentici messaggi cristiani di fratellanza, carità e povertà. Francesco e Benedetto sono due giganti, diversi per profilo ma eguali per statura. È difficile essere indifferenti al loro fascino.

  • Grazie mille per la vostra disponibilità. Speriamo di avervi ancora ospiti delle nostre pagine.

Grazie a voi per la cura e la competenza che mettete nel vostro lavoro. Ci rivediamo, se sareste così cortesi da ospitarci, alla prossima storia.

 

David Usilla

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