Intervista a Otello Marcacci – “Nottambuli a cena” (Les Flaneurs Edizioni)

Intervista a Otello Marcacci – “Nottambuli a cena” (Les Flaneurs Edizioni)

Otello Marcacci

Abbiamo da poco recensito “Nottambuli a cena” (Les Flaneurs Edizioni) di Otello Marcacci e abbiamo ora la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con lui per parlare del suo ultimo libro, farci raccontare qualcosa di lui e dei suoi futuri progetti.

 

Buongiorno Otello, se non è un problema ti darei del tu. Intanto grazie per aver accettato di chiacchierare con noi.

  • È la prima volta che ti recensiamo e che quindi abbiamo il piacere di intervistarti. Ci piace sempre conoscere oltre all’artista, anche l’uomo che dietro di esso si cela. Ci puoi raccontare qualcosa di te, della tua vita al di là della scrittura?

 

Innanzi tutto grazie David per la gentilezza che mi stai riservando, che per me è, la summa di tutte quelle qualità che davvero contano. La domanda che mi hai fatto, mi permette di  mostrarti una cosa a cui tengo moltissimo. Provo a spiegarmi meglio: la gran parte delle persone risponderebbe presentando il curriculum vitae o la lista delle numerose attività in cui sono impegnati. Tuttavia se te mi chiedi “Chi è davvero Otello Marcacci?”, credo che la risposta più vera è che io mi concedo il lusso di non saperlo. Sono un seguace del dio Dioniso, che non è solo quello del vino e delle bisbocce ma soprattutto quello delle contraddizioni. In altre parole io sono ciò che credo di essere ma anche altro. Molto altro. Pure ciò che odio. E  non voglio sapere chi sono perché come disse una volta Goethe “potrei pure non piacermi” (ride).

In ogni caso, per i precisini, mi sudo un lavoro, cerco di essere una persona decente nel quotidiano e, per dirla come l’antipaticone, “faccio cose, vedo gente”. Di rilevante noterei solo che ho tre figlie adolescenti, ovviamente insopportabili, amo giocare a tennis e a scacchi ma il mio sport preferito rimane per distacco quello di aprire e chiudere la mandibola a tavola. E, non voglio vantarmi, ma sono quasi imbattibile. Sono anche di lacrima facile, ma rido di gusto come e quando posso. Parlo tutti i giorni con il mio angelo custode ma la gente crede che scherzi. Pensa che una volta mia figlia Caterina (l’unica che ha compreso che ero serio) mi ha chiesto arrabbiata come mai il suo, invece, non la aiutava durante le versioni di greco.

Cosa ho risposto? Che si era beccata un angelo “ciuccio” come lei, perché da Montelupo si vede Capraia, Dio li fa e poi li appaia.

 

 

  • “Nottambuli a cena”, ci spieghi un po’ il significato di questo titolo?

 

Il titolo di un qualunque romanzo è (quasi) sempre un affar di stato. Conosco case editrici che si arrogano il diritto di sceglierlo senza discussione, altre che invece coinvolgono gli scrittori per lo più per mantenere le apparenze, ma non tengono conto delle loro opinioni. Les Flaneurs con me si è dimostrata di grande sensibilità lasciandomi libero di poterlo decidere. Ma, come sai, la libertà è arma a doppio taglio, perché ti mette di fronte a te stesso. E il re è spesso nudo e, infatti, sono andato in crisi. A causa della lunghissima gestazione al romanzo avevo dato almeno dieci titoli. E tutti mi sembravano validi. Poi un giorno mi sono reimbattuto per caso (ma poi esiste davvero?) nel quadro di Hopper “NightHawks” e li dentro ho rivisto il senso di smarrimento, isolamento e inquietudine che opprimono Miglio, il protagonista del mio romanzo. L’atmosfera pacata e gioviale della tela che nel mio romanzo si esprime con l’ironia, allo stesso tempo mostra l’immobilità e la rassegnazione nascoste nelle loro pieghe. Dietro l’apparente semplicità c’è la grande complessità e profondità. Fissi quel quadro o leggi il mio romanzo e ti chiedi: che cosa sto guardando realmente?

O,  almeno, queste erano le intenzioni dell’autore.

 

  • Il libro si sviluppa come una sorta di diario del protagonista, nonché ovviamente voce narrante, Luca Migliorini. Cosa ti ha portato a scegliere questo piano narrativo?

 

Ogni autore sceglie sempre il piano che ritiene più funzionale per raccontare la sua storia. La forma diaristica è una scelta stilistica che si portava con sè, a mio parere, alcuni aspetti che mi sembravano importanti. Innanzi tutto permetteva di avere una cronologia ben strutturata, con momenti di spazio e di confronto, ma soprattutto era un micidiale strumento di auto-coscienza e auto-educazione attraverso la narrazione di sé e la testimonianza di vita. Il tempo a quel modo diventa multidimensionale, il linguaggio sincopato a volte semplice, a volte meno, ma sempre informale e con tono confidenziale. chiede ogni giorno al lettore: sei ancora qui con me?

E, last but not least, ho inserito una marea di segni che dovrebbero essere ricollocati per dare un senso, relazionandoli tra loro

 

 

  • Secondo te cosa penserebbe Luca Migliorini della situazione attuale, una situazione nella quale non abbiamo ancora scontato del tutto la crisi pandemica e già ci troviamo con una guerra a due passi da casa, una crisi di governo ed una crisi energetica decisamente pericolosa?

 

Miglio è uomo dei nostri tempi, concentrato su sé stesso con pulsioni verso gli altri, certamente, ma egoista né più né meno di tutti quanti noi. Credo che farebbe proprio il comportamento del Gran Cancellerie di Milano Antonio Ferrer nei Promessi Sposi che si rivolge al cocchiere mentre la carrozza passa circondata dal popolo in fermento per la carestia dopo la peste e dice: “Adelante Pedro, con juicio, si puedes”.

Tuttavia sono convinto che sarebbe stupito nel vedere ancora oggi personaggi che continuano a pontificare un po’ ovunque senza aver compreso che quello che ci è capitato (e non ancora finito) ha cambiato il mondo. Siamo diventati all’improvviso tutti più insicuri e fragili avendo preso coscienza che la natura che credevamo domata si sta rivelando più ostica e nemica di quel che pensavamo avendoci imposto di rimanere chiusi in casa, fisicamente isolati in contatto solo tramite la tecnologia. Qualcuno potrebbe obiettare che non è stata lei ma altri uomini a toglierci le libertà. Ed avrebbe ragione. La pandemia ha messo però in evidenza la nostra impotenza. Quella che alcuni biologi hanno chiamato EVO-DEVO che per semplificare al massimo significa che l’evoluzione umana, lentissima, non riesce a seguire la crescita velocissima della tecnologia creando sfasamenti temporali che possono creare danni enormi Uno di questi è secondo me il continuo e persistente tentativo di farci perdere contatti con il mondo sovra sensibile, cercando di convincerci che noi siamo solo e unicamente corpi fisici e aggregazioni di molecole organiche. Ed è ciò che Rudolf Steiner aveva predetto: sta arrivando il tempo di Arimane. La guerra in corso e le crisi economiche ed energetiche che arriveranno sono solo altre evidenti manifestazioni. Il mio libro è la mia piccola goccia per contribuire a spegnere l’incendio devastante di coloro che vogliono uccidere la spiritualità. La scienza, in altre parole, è mia amica e la voglio usare, ma non desidero che sia lei a governare me. Come diceva Kant l’uomo deve essere il fine non lo strumento.

  

  • Mi spieghi che voglio capire meglio?

 

 Gunther Anders, un filosofo poco conosciuto del secolo scorso ha aperto una nuova via gnoseologica partendo dall’assunto che la “Tecnica” non è più un mezzo al servizio dell’uomo ma è diventato il vero soggetto della storia, con l’uomo che è diventato un mero funzionario dei suoi apparati. Né politica, né etica, né religioni possono arginare la Tecnica a fare ciò che fa. La sua struttura è la massima forma di razionalità mai raggiunta dall’uomo ma è lei a governare il mondo con i suoi valori di efficienza e produttività uccidendo qualsiasi cosa non sia razionale. Non solo la spiritualità, ma anche il dolore, il sogno, l’immaginazione e via di seguito. Ma l’uomo è anche irrazionalità. Prometeo portò il fuoco agli umani ma gli antichi greci, saggi, lo hanno incatenato, noi abbiamo deciso invece di liberarlo perché si scateni contro noi stessi. Geniale non credi?

 

  •  Interessante, ma con il tuo libro che c’entra?

 

 Tra le varie ambizioni di  Nottambuli a cena, c’è quella di ricordare al lettore che esiste un mondo diverso da quello in cui viviamo e al quale noi apparteniamo nonostante che i seguaci di Arimane cerchino in ogni modo di staccarci.

 

  •  E la tua soluzione quale sarebbe?

 

 Magari ne avessi una. Tuttavia prova a pensare di rimanere chiuso in un auto e in mano hai un martello. Come usciresti da là dentro?

Ora, se mi rispondi spaccando il finestrino e distruggendo ogni cosa, è ciò che desidera chi pensa in termini di sopraffazione. Io, invece, proponendo di non perdere la calma e con tranquillità sbloccare le porte dell’auto per non sfasciarla e poterla utilizzare ancora ma solo con noi, essere spirituali, alla guida, cerco di armonizzare le forze cosmiche.

 

  • Un po’ complicato, ci voglio pensare su. C’è un motivo particolare che ti ha spinto a percorrere le strade della scrittura?

 

Sai che in Italia tutti scrivono e pochi leggono? Se chiedi una sera a cena ai tuoi amici se hanno qualcosa nel cassetto, ti sorprenderai nello scoprire quanti romanzi o poesie inedite ci sono anche solo nel tuo piccolo gruppo di conoscenze. Nel mio caso direi che sono stato condannato ai lavori forzati della scrittura dal mio karma. Lo so che dopo tutto quello che ti ho detto anche solo sentire questa parola ti farà venire il mal di pancia (ride) quindi non ti confonderò ancor più le idee e aggiungo solo che se potessi mi sottrarrei dal farlo ma sono obbligato dal mio passato a vivere una vita in cui la mia vanità deve venir sottomessa dal non vincere il premio Pulitzer nonostante sia consapevole di essere il più grande scrittore mondiale vivente. Anzi onestamente meriterei anche il Nobel e il bacio accademico (dalle hostess di Stoccolma) ma il karma mi punisce facendomi presentare i libri alla sagra della Granocchia di fronte a un pubblico impaziente che aspetta il Bingo a seguire. Dimmi se ti pare giusto…

 

  • Se tu dovessi regalare una colonna sonora a “Nottambuli a cena” quali brani musicali useresti?

 

Questa è una bruttissima domanda perché ne abbiamo volutamente creata una su Spotify e pubblicata nel libro. Basta un click dal cellulare e la scarichi immediatamente. Non hai letto con attenzione eh? (ride) Adesso la Tecnica, se tu lavorassi per una grande testata nazionale sai che cosa farebbe? Ti misurerebbe sulla prestazione fregandosene  delle tue motivazioni con i colleghi (se ne avessi) che non sarebbero solidali perché la solidarietà è irrazionale e perché, basando tutto sulla competizione, avrebbero paura di perdere il posto in caso di crisi. Ha più senso adesso il discorso di prima vero? Comunque, poiché mi stai simpatico e sono contro la Tecnica ego te absolvo ab omnibus peccatis tuis. Non solo. Ti dò pure due pezzi che avrei voluto inserire nella playlist ma che l’editor mi ha tagliato così riesco a far incazzare anche lei (ride). Innanzi tutto “Tela di Ragno” di Gianmaria Testa che è per me un capolavoro assoluto e una delle canzoni  che avrei voluto scrivere io se avessi avuto il suo talento. Un’autoironia pazzesca che sono certo Miglio, il protagonista del romanzo, canterebbe come nessun altro. E poi “Ho visto anche degli zingari felici” del grandissimo Claudio Lolli che è un monologo, flusso di coscienza, che se avessi potuto avrei fatto dire a Miglio. Contento? Poi non dirmi che non ti voglio bene però eh (ride ancora)

 

  • Se non sbaglio tu sei un imprenditore, come vedi oggi il mondo imprenditoriale, come giudichi le contingenze che si trovano ad affrontare gli imprenditori italiani?

 

Non sbagli affatto. Nottambuli a cena racconta la storia di uno di loro che si trova a vivere una situazione drammatica e finisce per chiedersi: che cosa sono disposto a fare per salvarmi?

Il dramma non è nemmeno questo, ma lo scoprire che in situazioni drammatiche non si esclude a priori nessuna alternativa, nemmeno le più mostruose. E chiunque abbia mai provato l’ebbrezza e il terrore di fare qualcosa di propria iniziativa, chiunque sia un kulako nell’anima insomma, sa benissimo di che cosa parlo. Quando vedo o sento di aziende che chiudono provo un senso di smarrimento come se fosse capitato a un mio parente. Per non parlare di coloro che per salvare l’onore compiono gesti estremi.  La cosa che più mi disgusta è però vedere come si sia cercato per decenni di creare un dualismo imprenditore-dipendenti, con dicotomie che nella stragrande maggioranza dei casi non esistono. Divide et impera. Se si escludono però le super mega aziende nella maggior parte dei casi si è sulla stessa barca e mi piacerebbe che sempre più persone ne prendessero coscienza.

 

  • Hai già in mente nuovi progetti letterari, nuove storie da raccontare ai tuoi lettori?

 

Sono pieno di inediti da pubblicare e idee per scriverne altri cento. La questione è però sempre quella di cui sopra. Ricordi? Il karma. Ci sono momenti così in cui penso che estrarre i numeri alle sagre sia più gratificante. L’unica benzina per la gente come me sono le piccole gratificazioni di lettori, ma viviamo in un mondo in cui la gentilezza è merce preziosissima. Ecco perché ringrazio te di nuovo per avermi dato la possibilità di parlare ad alcuni di loro. Adesso viene la parte difficile. Non si può chiudere un’intervista a Marcacci senza che lui non dica qualcosa di geniale, che nessuno ha mai detto o pensato.  Qualcosa di unico e irripetibile. Tuttavia sto invecchiando e non mi viene in mente nulla se non che un’altra figlia, Viola, un giorno mi ha detto che crede ai colpi di fulmine. L’ho guardata interdetto e lei ha aggiunto: credo nel “questo non capisce un cazzo a prima vista”

Che ci posso fare? Pure lei fa il classico, poveretta.

 

Un immenso grazie ad Otello Marcacci per essere stato nostro graditissimo ospite e speriamo di ritrovarlo presto di nuovo qui con noi.

 

David Usilla

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