Intervista a Davide Malagoli – “Di che morte vuoi morire?” – Dialoghi

Intervista a Davide Malagoli – “Di che morte vuoi morire?” – Dialoghi

Davide Malagoli

Abbiamo da poco recensito “Di che morte vuoi morire?” (Dialoghi) di Davide Malagoli e abbiamo ora la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con lui per parlare del suo ultimo libro, farci raccontare qualcosa di lui e dei suoi futuri progetti

Buongiorno Davide, grazie per aver accettato di chiacchierare con noi.

  • E’ la prima volta che ti recensiamo e che quindi abbiamo il piacere di intervistarti. Ci piace prima di tutto conoscere meglio l’autore che andiamo a scoprire e di cui impariamo ad apprezzare le opere. Assieme all’artista ci piace conoscere l’uomo. Ci puoi raccontare qualcosa di te, della tua vita al di là della scrittura?

In primo luogo, grazie per avermi voluto dedicare il vostro tempo. “Artista” e “uomo” sono due parole che stimo molto e che mi piacerebbe un giorno poter usare davvero per definirmi. Diciamo che sono in cammino per diventare un “uomo”. Sull’”artista” temo di essere ancora più indietro…Che dire su di me?

Classe 1975, sposato, padre di due figli, ho avuto la fortuna di poter viaggiare, insegnare e di venire in contatto con tante sensibilità differenti. Da oltre 20 anni sono volontario presso la “Croce Blu” di San Prospero.

Professionalmente parlando, sono Professore associato di Anatomia Comparata e Citologia presso il Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.

Come scienziato, sono autore di circa un centinaio di pubblicazioni inerenti all’immunità di modelli animali, oltre che di capitoli in libri per specialisti ed in testi universitari.

“Di che morte vuoi morire?” è il mio primo libro di narrativa. Plausibilmente uno degli scritti a cui tengo di più.

 

  • Cosimo Caleari è diciamo la figura centrale del libro, quello attorno a cui ruota un po’ tutta la storia, ed è un personaggio molto particolare, carismatico, colto, intelligente ma con una certa difficoltà nel rapportarsi con le persone. Come ti sei ispirato nel costruirlo e nel caratterizzarlo?

Se fossimo in video penso sorriderei…Caleari è uno dei personaggi che più ha “spinto” perché io scrivessi la sua storia. Non credo di essermi ispirato ad una sola persona, ma a tante che ho incontrato nel mio cammino. Alcuni lettori ed amici ci hanno visto frammenti di me, ad esempio nel linguaggio. Qualcuno lo ha definito sfuggente ed impaurito della vita emotiva, altri ancora “monolitico”. Io lo vedo un po’ come una persona onesta, intellettualmente molto dotata ma, forse anche per questo, tutto sommato fragile e presuntuosa. Fragile al punto da non aprirsi mai agli altri. Presuntuosa al punto tale da illudersi di capire tutto. Ma sapere e capire sono due concetti differenti.

Dal punto di vista tecnico della caratterizzazione, ho cercato di delineare un personaggio che avesse una sua precisa personalità, e che non fosse immediatamente riconducibile ai modelli di investigatore più noti al pubblico. Con qualche elemento fuori dagli schemi che restasse impresso. E qualche elemento di rigidità che lo rendesse immediatamente riconoscibile. è un personaggio che, in prima stesura, sono riuscito a “far parlare” con una certa facilità.

 

  • Lungo tutto il corso del romanzo aleggia, soprattutto grazie ai numerosi flashback che hai inserito lungo il percorso, la figura di Petra, personaggio che al momento dei fatti narrati è già trapassato, ma di cui in realtà si sente forte la presenza quasi fisica. Vale un po’ la stessa domanda precedente, cosa ti ha ispirato la creazione di questa figura così complessa, intensa e affascinante?

Per me, Petra è agli antipodi di Caleari. Per me come scrittore, intendo. Far parlare Petra è stato difficilissimo, e solo alla fine ho trovato la strada. Ho cercato di immedesimarmi in una donna innamorata della vita, e dalla vita poco ricambiata. Ho cercato di immaginare gli schemi mentali e della società, che a volte possono imprigionare una donna, ma di cui un uomo si accorge poco. Petra è un distillato delle donne che hanno segnato il mio percorso. Di ciò che ho intravisto. Di ciò che credo di aver compreso in loro. Petra era nascosta molto in profondità. Eppure sentivo che il libro non sarebbe mai stato concluso senza una sua parola. Grazie per aver chiesto di lei.

 

  • Non facciamo spoiler, ma la figura della biscia è sicuramente curiosa e molto interessante. Cosa rappresenta nelle tue intenzioni questa figura?

A mio giudizio, la Biscia, è in tutto e per tutto un personaggio, anche se atipico. La Biscia è la paura personificata. Quel terrore di vivere, di esistere, che deriva proprio dal timore di non essere più, di morire. A tutti i livelli. Da quello fisico a quello sociale. Credo che squame della Biscia si ritrovino sul cuore di molti di noi. Sul mio di certo ci sono. E sono quelle di cui devi liberarti per essere davvero “uomo”.

 

  • All’inizio si legge che dedichi questo libro, oltre che ad un tuo carissimo amico, ai tuoi incubi e ai tuoi sogni. Quali sono i tuoi sogni e quali sono invece i tuoi incubi?

Brutto periodo per questa domanda. Scrivo queste righe nel giorno dell’Annunciazione del 2022. Per moltissimi, oggi, gli incubi sono concreti e solidi. I sogni quasi spariti.

Nella mia dedica, sogni ed incubi sono volontariamente disgiunti, perché mi riferisco a due concetti differenti.

Per sogni, intendo le speranze e le aspirazioni. Credo di aver vissuto sperando di lasciare alle persone un segno positivo di me e della mia vita. Spero, in sintesi, di essere ricordato con un sorriso. Questa mia speranza, ho cercato di concretizzarla in tanti modi, con vari gradi di successo, nella famiglia, nei rapporti sociali e nell’insegnamento. È un’aspirazione che impone di mettersi molto in discussione, per non finire come i personaggi di San Cataldo, cristallizzati ad interpretare una parte. Questo credo che abbia anche contribuito a costruire una mia caratteristica: la determinazione. Senza la determinazione questo libro non sarebbe mai esistito.

Per incubi, intendo quelli che accompagnano le mie notti. Per varie ragioni le mie notti sono piuttosto brevi. E le poche ore di sonno sono più che altro riconducibili ad un sopore ricco di sogni molto vividi. I miei incubi, poi, sono terribilmente realistici, ma sempre molto fantasiosi. Le sensazioni provate nei miei incubi mi hanno aiutato. Sono quelle che ho cercato di evocare, a tratti, nel libro.

 

  • Ti va di raccontarci chi era Luca, la persona a cui hai voluto dedicare questo libro?

Luca “Flemma” Barbieri aveva pochi giorni in meno di me. Per i primi anni della nostra vita siamo stati i reciproci e principali compagni di giochi. Vivevamo nella medesima palazzina. Condividevamo lo stesso cortile e gli stessi spazi. Siamo stati il primo “altro” con cui confrontarci. Siamo state persone profondamente differenti per indole, storia, passioni ed atteggiamento verso la vita. Io ho impiegato molto tempo per giungere a sentirmi libero di essere me stesso in ogni situazione, ammesso che ora io lo sia davvero. Flemma è nato libero dentro.

La nostra diversità, invece di allontanarci, ha generato una sorta di ammirazione reciproca, che è sfociata in quel dono raro e inestimabile che è l’amicizia permanente. Per quanto le nostre vite si fossero mosse su binari diversi, anche l’incontrarsi per caso era un bel momento, per fare qualche parola e sentirsi bene. Mi ha insegnato molto, ed alcune delle cose che ho imparato sono sparse qua e là nel libro.

Una malattia feroce lo ha portato via in un baleno. E mentre stavo accanto a lui sentivo, pesantissima, l’impotenza del mio sapere e la forza della sua resistenza contro la disperazione. Ci siamo salutati con il sorriso. So che col sorriso ci ritroveremo.

 

  • San Cataldo è un paese nato dalla tua fantasia ma che assomiglia un po’ a tantissimi paesini di provincia. Sicuramente la ricostruzione che hai fatto di certe dinamiche è il frutto di una lunga e attenta osservazione del mondo che ti circonda. Cosa c’è di autobiografico nel paese di San Cataldo?

Sono cresciuto e vivo tuttora in un piccolo paese di provincia. Di autobiografico nel libro credo ci sia la possibilità di muoversi a memoria in un luogo e sapere che momento dell’anno sia dai suoi profumi, dal colore del fiore di un determinato giardino, dall’altezza dell’acqua di un fiume o dall’aspetto della sua golena. I personaggi del libro sono invece sono frutto dell’immaginazione. “Tipi” costruiti ripescando ed assemblando immagini e parole dalla mia memoria e dalla mia fantasia. Piccole comparse sparse tra le “Scene” di una vicenda umana mascherata da giallo.

 

  • Scrivere un romanzo è sempre stato un tuo sogno oppure è un tarlo che pian piano si è insinuato dentro di te e alla fine ha trovato sfogo?

Non ricordo di aver mai avuto l’ambizione o il sogno di scrivere un libro. Ho, come tantissimi, spesso scritto le mie impressioni del momento su pezzi di carta, ma non ho mai coltivato l’idea di scrivere un libro. Diciamo che non era un mio progetto. Poi la storia “ha bussato”. Io le ho aperto e, combinando i miei ed i suoi tempi, l’ho lasciata fluire. Ho impiegato oltre quattro anni e mezzo. Ma una volta apertale la porta, sapevo che alla fine avrei avuto una storia da offrire a qualcuno.

 

  • Vista la calorosa accoglienza che ha avuto il tuo libro credi che Cosimo Caleari tornerà ad indagare oppure questo personaggio ha concluso il suo percorso?

Sorrido. È una domanda lusinghiera. Caleari sicuramente avrebbe piacere che io scrivessi ancora di lui. Vedremo se i suoi ed i miei tempi combaceranno di nuovo. Diciamo che spero di fare ancora qualche passo con lui. Ma sono molto esigente verso me stesso e verso i miei personaggi. La storia mi deve convincere in pieno. Soprattutto ora, dopo aver constatato che il mio primo libro sta piacendo. Ad alcuni anche molto. Vedremo.

Grazie mille a Davide Malagoli per essere stato nostro graditissimo ospite e gli auguriamo un grosso in bocca al lupo per il proseguo della sua carriera letteraria.

 

David Usilla

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