INTERVISTA: ANGELA VECCHIONE – LA PIAZZA – ROBIN EDIZIONI

INTERVISTA: ANGELA VECCHIONE – LA PIAZZA – ROBIN EDIZIONI.

 

Abbiamo da poco recensito “La piazza”, scritto da Angela Vecchione, edito da Robin Edizioni e abbiamo ora la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con l’autrice.

Buongiorno, grazie per essere passata a trovarci, possiamo darci del tu?

 

  • Il tuo romanzo è ambientato a Napoli ma credi che esistano tante diversità con una piazza di Milano?

Il mio romanzo è ambientato in uno spazio ed un tempo ben definito e questa condizione rende unica la sua dimensione narrativa. La storia trova la sua azione nel 1985, ma piazza Garibaldi è stata per anni una terra di nessuno. Un’agorà di perdizione nella quale ognuno aveva il suo posto sebbene tutto fosse all’apparenza sregolato. Mi chiedi se è molto diverso dalla piazza di una grande stazione qualsiasi di una città di dimensioni importanti? Ti dico sì, da qualsiasi altra stazione perché è parte di una città unica. Nel bene e nel male. Ho avuto l’onere (al netto di ciò che è il mio presente) e l’onore di calcare i suoi sanpietrini per anni, di restarci per tante ore al giorno perché a vent’anni lavoravo proprio nello spazio antistante la stazione ferroviaria in una minuscola biglietteria che serviva i viaggiatori delle autolinee che transitavano in quello spazio. Ho imparato a convivere con persone distanti mille anni luce dalla mia esistenza di studentessa universitaria e lavoratrice part time. Persone che vivevano ai margini, tossicodipendenti, abusivi, un esercito di gente regolata da principi diversi da quelli appartenenti ad una società “sana”. Il comico e il tragico così fatalmente intrecciati. Servivo un cliente che mi chiedeva un biglietto per Pescara trattenendosi poi venti minuti a dirmi il perché di quel viaggio, cosa aveva fatto suo figlio, che sua moglie era in sovrappeso, che mica se lo poteva immaginare quando se l’era sposata. Tutto con una innata ironia partenopea cristallizzata in ragionamenti filosofici eterni, valevoli per qualsiasi latitudine ma incapaci di essere generati ovunque. Quello successivo mi chiedeva indicazioni per raggiungere la tomba di Totò con un mazzo di tulipani in mano. Poi arrivava il tossico che non vedevo da mesi perché finito a Poggioreale per uno scippo e mi guardava con gli occhi finalmente lucidi. Salvo recuperare dopo una settimana il solito sguardo assente, dondolandosi nella lotta costante per cercare di non cadere. Ho visto di tutto, ho parlato con qualsiasi tipo di persona. Imparato a capire in una frazione di secondo come pormi, cosa dire e come dirlo. Questo poteva accadere solo lì.

  • Perché hai scelto di ambientare il tuo romanzo nel 1985?

Sono gli anni del post terremoto, dell’arrivo di Maradona, dell’omicidio Siani, della mensa proletaria voluta dagli attivisti di Lotta Continua nei ricordi dei miei personaggi, di quella Napoli così magistralmente raccontata dai documentari del grandissimo Joe Marrazzo. Io ho conosciuto la realtà che descrivo più di un decennio dopo, ma ho sentito l’esigenza narrativa di ambientare la storia in quel periodo che ha avuto un’identità molto definita.

 

  • Nel tuo romanzo ci sono protagonisti di entrambi i sessi, è solo una mia impressione o ne “La piazza” gli uomini più fragili?

Nella storia che racconto ho cercato di dare voce agli ultimi, a quelli ai quali la vita non ha risparmiato nulla, pure se nati nella parte del mondo che conta. Un occidente frammentato di una Napoli disegnata a macchie di leopardo, palazzi signorili e bassi, ricchezza e povertà così invischiate. Donne e uomini messi a dura prova da un destino che li rende parte di un sistema in grado di schiacciarne le esistenze, se si inceppa un ingranaggio della macchina diabolica. Mi chiedi se le donne sono più forti, forse sì. La determinazione della protagonista Rosa, che fa di tutto per mettere al riparo i suoi figli e avere una seconda possibilità; la missione salvifica di sua sorella Giuliana, terra di approdo per i naufragi emotivi di sua sorella; l’identità granitica di donna Assunta che non sembra essere scalfita da nulla anche se la sua impassibilità avrà alla fine dei contorni certi. Quasi tutte le donne di cui parlo hanno subito molta pressione da parte dell’universo maschile, ma non si sono arrese. Hanno cercato una via altra per continuare a resistere.

  • Angela Vecchione, nel tuo romanzo c’è spazio anche per la droga. Come ti sei documentata a riguardo?

Non mi sono documentata, per anni ho vissuto a stretto contatto con chi dell’eroina faceva la sua ragione di vita. La missione di ogni singolo giorno. La storia di Tonino e Vincenzo, il primo che si prende cura del secondo costretto su una sedia a rotelle è reale. Esistevano davvero. Dormivano su un treno occupato che ogni mattina la polizia ferroviaria sgombrava. Poi, una volta al mese, quando arrivava il sussidio d’invalidità prendevano una camera in un affittacamere malfamato di via Firenze e ci dormivano per un paio di notti. Non mi sono inventata nulla. Conoscevo i loro sguardi quando erano in astinenza, i solchi attorno agli occhi, i denti rovinati. Ci stavo a stretto contatto, erano quelli che in piedi davanti allo sportello dove passavano soldi, biglietti e resto chiedevano qualche spicciolo o salivano sui pullman a vendere i fazzoletti perché era megl’ a fa’ chest che non a ji arrubba’. Ho risposto alla tua domanda?

 

  • Stai lavorando a un nuovo libro?

Ne ho uno nel cassetto, scritto da anni. Devo trovare una nuova voce e rivederne i personaggi. La storia c’è, ma non ha nulla a che vedere con Napoli. Porterò i miei lettori in Israele.

 

 

Grazie mille  ad Angela Vecchione per la disponibilità, arrivederci a presto sempre sulle pagine de I Gufi Narranti.

 

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