INTERVISTA A SEBASTIANO AMBRA – LA MISTERIOSA SCOMPARSA … – NEWTON

INTERVISTA A SEBASTIANO AMBRA – LA MISTERIOSA SCOMPARSA DI VITO TRABÌA – NEWTON COMPTON EDITORI.

Ambra

Abbiamo da poco recensito “La misteriosa scomparsa di Vito Trabìa”, scritto da Sebastiano Ambra, edito da Newton Compton Editori e abbiamo ora la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con l’autore. Buongiorno, grazie essere tornato a trovarci!

  • Come mai hai scelto come protagonista una donna?

Lena è venuta fuori scalciando. In prima battuta l’idea era di far seguire l’indagine a un poliziotto, ma più scrivevo, più mi sembrava inadatto. Debole. Veniva fuori quasi un cliché. Ho rimesso mano al testo e il suo personaggio ha preso la scena. Probabilmente è venuta fuori così forte proprio grazie all’idea iniziale e all’abbandono conseguente la scarsa convinzione. È stata arrabbiata dalla prima all’ultima battuta. Una meraviglia. Spero che i lettori la trovino interessante almeno quanto me.

 

  • In questo tuo nuovo romanzo omaggi Sciascia, cosa devi a questo autore?

Devo a Sciascia quello che gli devono in tantissimi. La lucidità nel raccontare la realtà di una Sicilia piena di ombre e di luci, quella forza delle parole che ne ha fatto, alla fine della giostra, un esempio. In questo romanzo lo cito, nello specifico, prendendo in prestito un’intervista nella quale ha dato una spiegazione magistrale di uno degli aspetti meno dibattuti del fenomeno mafioso. Perché non credo si possa prescindere da Sciascia se si vuole affrontare la narrativa di genere giallo, in Sicilia, andando oltre il fenomeno mafioso: la sua produzione rappresenta una pietra miliare in questo senso, come ha spiegato, prima di me e meglio di me, Gaetano Savatteri.

 

  • Anche Poe trova spazio nelle tue citazioni, che tipo di lettore sei?

Poe è il genio. Non avrei potuto scrivere romanzi di questo tipo senza averlo letto. La vita di Poe, la sua carriera e pure la sua morte sono spunti continui. I suoi testi sono archetipi. Sulla sua scia, sono un lettore che vuole rimanere sorpreso. Vuole sorprendersi a ridere mentre sfoglia le pagine di Niven, ad esempio, o corrucciare la fronte con Lansdale. O sbalordirsi con Eco. Ricordo distintamente la sensazione di disagio violento, come un pugno nello stomaco, che provai leggendo Verga da studente. Capii che i libri erano pozzi dai quali attingere emozioni. Iniziai a pretendere emozioni diverse dopo quelle prime letture. E le pretendo ancora.

 

  • Qual è stata la parte del libro più difficile da scrivere?

È stato un libro semplice, per la verità. L’idea iniziale mi ha folgorato e da lì è stato quasi naturale scrivere. Mi sono chiesto: cosa accadrebbe se qualcuno rapisse un superlatitante andandolo a prendere lì dove si nasconde e mettendosi sia contro la mafia che contro lo Stato? Avevo in mente il finale, avevo in mente l’incipit. Forse la cosa che ha richiesto più tempo è stata costruire l’indagine nei dettagli: sono andato nei luoghi che descrivo, ho fatto diverse ricerche, ho chiesto autorizzazioni. Volevo cercare di riportare fatti e luoghi senza distorcere più di tanto la realtà. E questo, sì, richiede un lavoro accurato.

 

  • Da siciliano scrivi della Sicilia, quanto credi sia importante conoscere a fondo l’ambientazione in cui si muovono i personaggi?

Credo sia determinante. I luoghi sono parte integrante della narrazione, hanno più livelli di significato. E, spesso, sono uno stimolo. Palermo, ad esempio, in questo senso è una miniera d’oro. Conoscere i luoghi ti da il vantaggio, quando necessario, di modellarne in parte i contorni, per adattarli a quello che racconti. È un po’ come conoscere una lingua: se riesci a pensare con le sue regole, allora riesci ad adattarti a chi la parla correntemente, a cogliere le sfumature, a interagire con naturalezza.

 

  • Se fossi costretto ad ambientare i tuoi romanzi altrove dove ti sposteresti?

Come Palermo, ho altri luoghi che amo. Se non fosse la Sicilia, probabilmente sarebbe una città come Torino. Oppure la Puglia: luoghi come la foresta umbra, nel parco del Gargano, sono incredibili. Mi attira anche, e moltissimo, la Sardegna, la sua memoria ancestrale, anche se la conosco davvero poco. Probabilmente vivere su un’isola, anche se enorme come la Sicilia, ti da un senso della misura particolare, ti spinge a cercare luoghi che hanno un’anima antica racchiusa in un orizzonte circolare, un’anima precedente alle vicende di cui si ha memoria. Amo storie che hanno scenari simili: ho apprezzato molto, di recente, “L’ultimo traghetto”, di Domingo Villar, e sono rimasto folgorato da pellicole come “La isla mínima”.

 

  • Sei un appassionato enigmista, con che criterio scegli la natura degli enigmi da inserire nei tuoi libri?

Mi piace, più che altro, creare percorsi complicati per giungere a risposte semplici. Non ho un metodo, mi chiedo semplicemente quanto possa essere verosimile quello che mi salta in testa. “È possibile che ci si imbatta in una cosa del genere? Qualcuno potrebbe fare una pensata simile?”. Se la risposta che mi do è “sì”, allora procedo. Tengo sempre conto del fatto che la storia di questo pianeta è zeppa di fatti bizzarri, che in certi casi hanno diverse spiegazioni ma nessuna troppo convincente. Io cerco di dare spiegazioni convincenti, creo situazioni borderline, ma mai con un fondamento assurdo. Alla fine un enigma, se ben costruito, è solo un labirinto che non vedi dall’alto e che qua e là ha qualche indizio per permetterti di arrivare all’uscita.

 

Grazie mille per la disponibilità, arrivederci a presto sempre sulle pagine de I Gufi Narranti.

Sandra Pauletto

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