Intervista a Paolo Lubinu – Vampiri Urbani – Catartica

Intervista a Paolo Lubinu – Vampiri Urbani – Catartica

Paolo Lubinu

Abbiamo da poco recensito “Vampiri Urbani” (Catartica) di Paolo Lubinu e abbiamo ora la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con lui per parlare del suo ultimo libro, farci raccontare qualcosa di lui e dei suoi futuri progetti.

Buongiorno Paolo, grazie per aver accettato di chiacchierare con noi. Mi permetto di darti del tu se per te non è un problema:

  • È la prima volta che ti recensiamo e che quindi abbiamo il piacere di intervistarti. Ci piace prima di tutto conoscere meglio l’autore che andiamo a scoprire di cui impariamo ad apprezzare le opere. Assieme all’artista ci piace conoscere l’uomo. Ci puoi raccontare qualcosa di te?

 

Buongiorno a te e grazie davvero per lo spazio. Provo a presentarmi a braccio, poi tagliate a vostro piacimento: a sette anni ho scritto la prima poesia per la mia amata compagna di banco, non l’ho mai conquistata, ma da allora non ho mai smesso di scrivere poesie, racconti e poi da grande anche romanzi e sceneggiature. Amo la musica di un amore beato e tormentato: ho una dipendenza psichica e fisica dal mio strumento che è la chitarra. Il fatto è che, come dice Bukowski, su quel fronte mi hanno fregato da piccolo. Anche se per tanti anni ho militato nelle band underground e in particolare negli Egomass (che per molto tempo sono stati la mia ragione di vita), non ho mai avuto una vera consapevolezza di musicista, se non in una dimensione di gruppo: dimensione che ho sempre cercato e creato per esempio con Underground Experiment, una mitica associazione fondata da me e altri amici al servizio della musica e della cultura underground, letteratura compresa. Ora, da qualche anno cerco questa dimensione nel cinema: scrivo sceneggiature e da un po’ mi dedico alla produzione e alla regia, e questa cosa davvero mi fa sognare come un bambino innamorato della luna (a proposito, la poesia di quando avevo sette anni cominciava proprio così: “Oh Anna, sei bella come la luna…”). Dicevo però che con la scrittura non mi hanno mai fregato: ho sempre saputo di essere forte su quel fronte, nonostante i rapporti molto conflittuali con la scuola e poi con l’università. Questa fiducia mi ha fatto andare avanti come un mulo cieco da quando ho cominciato a espormi da scrittore, prima con i Racconti Urbani pubblicati su ogni numero della rivista Underground X e poi con il mio primo romanzo, Jesù Cristu ‘Etzu, che in zona ha creato un po’ di scompiglio. Ora devo dire che mi sento abbastanza al sicuro essendo coperto da un editore serio e coraggioso come Catartica. Per sopravvivere, si fa per dire, ho fatto anche il commesso in un discount (vi ricorda qualche racconto?), il postino, l’art director per i locali e manager di un forno crematorio: l’agenzia si chiamava “Forno crematorio project”. Qui si scherza, dai. Da un po’ di anni faccio l’editor per qualche casa editrice della mia zona ma anche da freelance (ci voleva pure l’annuncio pubblicitario). Se poi volete che vi dica tutto, ho il privilegio di amare ed essere amato da una donna fantastica. E con questo passo e chiudo con la nota biografica.

  • Leggendo il libro ogni tanto avevo la sensazione di trovarmi ad ascoltare un album di Fabrizio De Andrè, mi sembrava di sentirne le atmosfere, quelle fatte di disagio, di disperazione, di difficoltà umana. È una casualità oppure i temi trattati da De Andrè sono un po’ anche i temi che vuoi sviluppare nei tuoi libri?

È molto lusinghiero questo accostamento a De Andrè, autore, poeta e musicista che considero più di un maestro, un profeta laico direi, una figura venerata da moltissimi qui in Sardegna, anche per ragioni biografiche e storiche. Amo le sue canzoni, anche se sono un tipo un po’ distratto – molto più rock diciamo, per essere gentili – e poco avvezzo al cantautorato. Condivido in pieno molta della sua cultura di riferimento, sia politica che musicale e filosofica, e in particolare certi maestri sacri in eterna contraddizione come Stirner e Bakunin. Ma sono anche pieno di Nietzsche e di un nichilismo da strada, punk, metal e hardcore che miscelo in una formula a mio avviso ottimistica, dove c’è una grande fiducia per l’umanità, ma – attenzione – non tutta l’umanità: solo per quella scintilla che muove e rovescia le cose. In Vampiri Urbani parlo di quella scintilla, che certamente troviamo a New Orleans, mica nei quartieri bene. Posto che innanzitutto New Orleans è una zona dell’animo.

  • Come è nata l’esigenza di scrivere un libro come questo? Cosa ti ha ispirato?

Hai detto bene: esigenza. Dopo l’entusiasmo iniziale per Jesù Cristu ‘Etzu c’è stato un periodo molto duro per me. Non sto qui ad approfondire, ma ti assicuro che ai tempi belli di Underground X abbiamo sollevato un polverone tale che gente come l’accabadora delle accabadore in persona ci voleva torturare con tutti i crismi sadomaso al museo delle streghe di Castelsardo. Insomma ho pestato i piedi a chi non dovevo ma ti prego, concedimi una parolaccia: anzi, mi trattengo. Ora sono coperto da Catartica e giro all’editore Giovanni Fara tutte le responsabilità penali del caso (si scherza, Giovanni!) e adesso ti dico adesso cosa. Per reagire a questa situazione molto dura mi sono buttato su un altro romanzo come un sonnambulo, il classico Raskòl’nikov da due soldi. Questo romanzo – ultrasperimentale – l’ho scritto e riscritto qualcosa come dodici volte. A ogni rifiuto editoriale riscrivevo tutto, la motivazione ricorrente era questa: “Lei ha un’estetica visionaria e dolente, quanto ahimè disturbante”. A un certo punto mi sono rotto le scatole e ho detto: “Va bene, ora ve lo faccio vedere io cosa è disturbante”. Ed è in quel momento che ho deciso di scrivere Vampiri Urbani.

  • Ogni capitolo racconta storie diverse, racconta di umanità un po’ al limite, da molti punti di vista. Quanto c’è di fantasia e quanto di realtà in queste storie?

Direi che c’è molta verità, più che realtà. Almeno nelle mie intenzioni la pretesa era quella di raccontare qualcosa di vero (non di reale!) partendo da presupposti assurdi. Ci sono tanti riferimenti a esperienze dirette e posso affermare che il vissuto dei personaggi di Vampiri Urbani è sempre autentico. Per esempio, c’è un racconto abbastanza gettonato che è Pierrot, dove si parla di una lettera attorno alla quale si muove tutta la storia; la lettera viene menzionata ma mai citata in nessuna delle sue parti. Chiaramente il racconto in questione è pura invenzione, ma devi sapere che quella lettera esiste davvero: è nata come racconto sperimentale che tempo fa ho inviato, in formato di lettera appunto, a un gruppo di lettori fidati (proprio come avviene in Pierrot), minacciandoli che avrei fatto qualcosa di brutto se non fossero accorsi in mio aiuto per una situazione che non sto qui a spiegare, ma che è molto simile a quella vissuta dal protagonista del racconto. Alcuni di questi lettori si sono spaventati più di quanto avessi pensato e ovviamente li ho subito tranquillizzati, dicendogli che si trattava di uno scherzo. Il fatto bizzarro è che solo a partire da quella lettera (vera) è nato poi il racconto (inventato) di Pierrot! Credo che questo ti dia la misura di quanto c’è di fantasia e quanto di realtà nelle mie storie.

 

  • Credo che per essere ottimi scrittori bisogna prima essere avidi lettori. Quali sono i generi letterari che ami di più e quali gli autori che ami leggere?

 

È vero, sono un lettore avido. Sono attratto dalla scrittura che pone un forte accento sull’elemento straordinario: credo sia possibile in tutti i generi. Di base non amo la letteratura che pretende di controllare in modo schematico le aspettative di chi legge: l’horror che ti deve spaventare per forza, per esempio, o il comico che ti deve far ridere. Sarò banale ma credo che l’elemento atroce possa o debba far ridere o sorridere e la comicità, almeno nei suoi fondamenti tragici, possa anche terrorizzare. Autenticità nello straordinario, questo è ciò che cerco nella letteratura (ma anche nel cinema), quindi certamente tutto Bukowski, tutto Borges, ma anche Bram Stoker e la filiera gotica e fantastica di fine Ottocento e Novecento. Nel rapporto con il lettore sono stato molto condizionato da Lovecraft, che ha una fantasia geniale e a mio avviso sovversiva. Tutto Kerouac, Hemingway, Calvino ma anche scrittori seriali come Rod Serling e Richard Matheson. In generale la mia avidità mi porta ad amare la narrativa breve: ho proprio l’urgenza di andare subito al dunque. Suonerà pure strano, ma solo raramente concepisco la lettura come svago. Altra influenza fondamentale per me viene dal mondo del fumetto: ho cominciato con Dylan Dog a 14 anni e ora prendo tutti gli albi di Gou Tanabe. Mai stato un nerd però (si scherza, viva i nerd).

  • Se tu dovessi fare la playlist della colonna sonora di questo libro quali sarebbero le canzoni che meglio descriverebbero per atmosfera e per tema le varie storie?

È una domanda molto pericolosa. Direi sempre e comunque Robert Johnson e il suo Devil Blues: tutti i personaggi di Vampiri Urbani in fondo si trovano in un crocevia e devono fare un patto fra i propri demoni e i demoni di fuori. Sicuramente metterei “Jolene” di Dolly Parton, ma anche la versione rifatta dai White Stripes: è una canzone che amo e che racconta bene lo spirito dei personaggi femminili, quasi sempre adorati più per ragioni misteriose che per merito o riscatto delle quote rosa. Ovviamente ci metterei “Via della povertà” di De Andrè e la versione originale di Bob Dylan; poi andando sul pesante, in racconti come Elvis ci stanno assolutamente i Motorhead, già presenti in scena, e poi Egomass, To Ed Gein e giustamente versioni punk ‘n’ roll di vari brani del vero Elvis. Ci metterei anche “Softer, Softest” delle Hole e alcuni pezzi di Courtney Love.

 

  • Credi che questo periodo che stiamo vivendo potrebbe essere uno sfondo per un tuo futuro libro? Cosa credi che varrebbe la pena raccontare di questi anni così complessi?

 

Al momento questa idea non m’intriga tanto. Siamo ancora troppo dentro a questa cosa per poterne parlare con lucidità, ma in futuro chissà. In generale penso che dove c’è almeno un grammo di bellezza valga sempre la pena raccontarla, ma deve essere un’esigenza profonda o un’urgenza di chi racconta; questo è un principio irrinunciabile per chi scrive. E io sarò anche un tipo bizzarro, ma non così tanto. Un giorno sarebbe bello riderci. Bellissimo. Ma è un sogno lontano per ora.

 

  • Hai già un’idea per un nuovo libro? Hai progetti a breve termine di cui ti piacerebbe raccontarci?

 

Ho sempre tanti progetti. Sto riscrivendo per l’ennesima volta il mio Faust (non è il vero titolo), e spero di non metterci così tanto come Goethe! Sto lavorando a diversi soggetti per il cinema, alcuni dei quali potrebbero un giorno diventare romanzi o raccolte di racconti. Voci di corridoio dicono che la Mayhem è molto interessata a un mio vecchio romanzo inedito. Per ora tengo le dita incrociate e metto da parte la giusta dose di toxicina, non si sa mai. Sai com’è: io e alcuni amici speciali abbiamo un signor piano per uscire da qui. Tu lo conosci: l’ho scritto per filo e per segno in Vampiri Urbani!

Scherzi a parte, è stato davvero un piacere e un onore essere ospitato nelle vostre pagine.

Grazie di cuore a te e a tutti i Gufi Narranti.

A presto

 

Grazie mille a Paolo Lubinu per essere stato con noi e lo aspettiamo nuovamente sulle pagine de I gufi narranti.

David Usilla

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.