INTERVISTA A DIEGO COLLAVERI – IL PASSATO HA UN PREZZO –

INTERVISTA A DIEGO COLLAVERI – IL PASSATO HA UN PREZZO – FRATELLI FRILLI EDITORI.

Diego Collaveri

Con grande piacere dopo avere da poco recensito il suo nuovo romanzo: “Il passato ha un prezzo”, diamo il bentornato sulle pagine de I Gufi Narranti  a Diego Collaveri.

  • Le tue storie affondano le radici sempre in qualche fatto realmente accaduto. Hai in mente una trama e ci infili dentro il “fatto di cronaca” o è quest’ultimo a farti venire l’idea del romanzo?

Parto sempre da un fatto storico che mi colpisce, che io stesso non conoscevo. La parte più affascinante è proprio scavare nel passato sconosciuto della mia città, Livorno, e ripescarne accadimenti, luoghi o persone straordinarie da riportare alla luce. Da qui parto poi per costruirci una trama, un intreccio narrativo basato su di un’indagine credibile che affonda le radici nella cronaca locale. Un connubio che diventa una miscela affascinante.

  • Botteghi è il tuo personaggio “seriale” avresti pensato di arrivare alla storia numero cinque quando gli hai dato vita ?

Sono sincero: no. Ho nutrito molti dubbi sin dall’idea primordiale. Si è trattata di una scommessa di Marco Frilli, l’editore che ha creduto per primo in Botteghi e che aveva fin da subito pronosticato una serie longeva e di successo. Uno dei miei più grandi rammarichi è proprio che non ci sia più a vedere ripagata quella sua scommessa. Per questo all’interno di quest’ultimo libro c’è un personaggio a lui dedicato.

  • Perché scegli spesso di aprire i tuoi romanzi con un antefatto del passato?

Ho scelto di dare un’impronta narrativa precisa alla serie che la rendesse riconoscibile, come accade anche per molte serie tv (ad esempio ne La Signora in Giallo che a ¾ della puntata c’è un dialogo proprio con quello che poi si scopre è l’assassino, oppure Colombo che comincia col vedere l’assassino all’opera e tutta l’indagine vede uno spettatore omniscente rispetto al personaggio principale), in modo da avere una struttura che fosse già propria della serie. Per questo tutti i romanzi si aprono con un antefatto, a volte (se necessario alla trama) molto indietro nel tempo, altre solo un salto nella tempo cronologico dell’indagine.

  • Hai mai pensato di fare uno spin-off centrato su uno dei personaggi relativamente secondari della squadra del commissario Botteghi?

Sinceramente no, ma non precluderei niente.

 

  • Come ti documenti per i tuoi romanzi?

Come ti dicevo, questa è la parte che preferisco. Comincio con l’andare a fondo dei singoli fatti storici, per verificarli in primis visto che per la maggior parte parto da storie popolane, quindi prese da fonti orali. Mi diverto molto ad approfondire su testi che trattano la storia della mia città, scoprendo durante la ricerca altri fatti da cui prendere spunti interessanti. Il lavoro sul campo è essenziale, visitare i luoghi, ricostruire i nessi trovati sui libri, rende tutto ancora più approfondito. Questo mi porta poi a vedere le strade sotto un’altra ottica.

 

  • Ora di Botteghi sappiamo quasi tutto, ma Collaveri ha un suo “rituale” quando scrive?

A dire il vero no; il caos della vita quotidiana mi porta a dedicarmici nei ritagli di tempo, oppure in quei momenti in cui le persone “normali” fanno altro. Un mio collega mi definisce “uno scrittore da battaglia” perché riesco a scrivere anche in mezzo alla confusione più colossale,ed è vero perché mi estraneo al punto di perdere completamente il senso del tempo. Comunque è presto per dire che di Botteghi si sa già quasi tutto, quel quasi riserva ancora il suo mistero forse più grande.

 

  • Se tu potessi acquisire una delle caratteristiche del tuo personaggio che a te manca, quale sarebbe?

Botteghi non ha niente da perdere nel quotidiano, quindi di fronte a un sopruso o qualcosa che va contro il rispetto delle persone, non si perita a prendere per il bavero e elargire una bella strizzata. Ovvio che nella vita reale in pochi davvero possono permetterselo, ma questo è un aspetto che trovo affascinante del personaggio, una sua vena interiore in cui scorre il desiderio di giustizia incosciente che va oltre il raziocinio. Per citare un film di Tarantino, uno dei miei registi preferiti, è un po’ come nella scena di Django Unchained in cui doc Schultz/Christopher Waltz spara a Calvin Candle/Leo di Caprio per il principio della stretta di mano per siglare il contratto, assurdo visto che aveva ottenuto ciò che voleva; il momento in cui il dottore dopo aver sparato, davanti agli attoniti presenti rimasti a bocca aperta, si rivolge a Django/Jamie Foxx e gli dice col sorriso “scusa, non ho saputo resistere” conscio che da lì a un attimo si scatenerà l’inferno di fuoco e lui sarà morto, rappresenta per me proprio quella vena di lucida incoscienza che ha Botteghi.

Grazie ancora a Diego Collaveri per essere tornato a trovarci, un abbraccio a te e un saluto al commissario sperando di rivederlo presto in libreria.

 

Sandra Pauletto

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