Intervista a Diego Collaveri – Il commissario Botteghi e il mago –

Magia

Ciao Diego, bentrovato sulle pagine dei gufi.

Permettici di farti i complimenti per i vari riconoscimenti che il tuo libro precedente: “La bambola del Cisternino” ha ottenuto, e veniamo subito al tuo nuovo romanzo che abbiamo avuto la possibilità di recensire e di cui ti ringraziamo.

D. Come ti sei imbattuto nella figura di Wetryk?

È stato un caso. Mentre stavo ultimando La Bambola del Cisternino mi sono imbattuto in un post su Facebook dove c’era una vecchia foto di Wetryk e della sua villa. Si parlava di un grande mago livornese dimenticato, ma soprattutto del fatto che su di una facciata della torretta della villa ci fosse impresso il suo nome. Ammetto che per noi livornesi quelle costruzioni sul viale al mare hanno sempre avuto un fascino particolare, come dice anche Paolo Virzì nel film Ovosodo definendo quella strada un po’ come “Beverly Hills” proprio per la particolarità delle strutture; tra l’altro mi sono divertito a far dire una cosa simile a uno degli agenti proprio per omaggiare la pellicola del regista livornese. Quindi mi sembrava strano non aver mai visto quella scritta e ho contattato l’autore del blog, che mi ha confermato esserci veramente. Scettico, mi sono recato davanti alla villa e l’ho vista con i miei occhi. Mi sono chiesto come potesse essere così sotto gli occhi di tutti ma non l’avessi mai notata. Poi mi sono reso conto che era un po’ il senso della magia, dell’illusionismo. Inutile dire che da lì è scoccata la scintilla e ho cominciato ad approfondire la storia di Wetryk, incuriosito perché non l’avevo mai sentito tra gli illustri concittadini esistiti. Quella era proprio la chiave della vita del grande mago: la caduta nella dimenticanza. Calcola che Wetryk nel 1927 quando si ritira è conosciuto in tutto il mondo al livello di David Copperfield. Ho continuato ad appassionarmi e a cercare informazioni, ma più lo facevo e più non trovavo niente, e il mistero cresceva. C’è voluto molto lavoro per ricostruire la sua vita e senza l’aiuto di Luciano Donzella, giornalista, mago e presidente della scuola di magia La Corte dei Miracoli, che da anni si impegna a fare ricerca su di lui, non ci sarei mai riuscito. Un ruolo decisivo l’ha avuto Liliana, figlia del grande illusionista scomparso, che ha tramandato la storia del padre proprio a Donzella. Mio grande rammarico è stato non averla potuta incontrare perché purtroppo è venuta a mancare pochi mesi fa, ma la sua volontà di far tornare a risplendere la stella del padre era così viva e permeava così tanto il libro che con la casa editrice abbiamo voluto renderle omaggio dedicandole il romanzo.

D. Ti interessi di magia?
Mi piace, ma mi limito a esserne semplice spettatore. Amo tutto ciò che sa sorprendermi e regalarmi emozioni, per cui l’illusionismo è di sicuro una grossa attrattiva.

D. È l’ambientazione che fa nascere la storia o viceversa?
Direi piuttosto che sono complementari, ma la storia nasce soprattutto quando il narratore capisce la valenza di un racconto intuendone la profondità e la possibilità di utilizzarla come veicolo per mandare un messaggio. Nel caso delle storie di Botteghi, l’ambientazione della città di Livorno diventa essa stessa protagonista e la sua storia è l’elemento che arricchisce il romanzo, fornendo anche quegli appigli necessari alla parte di storia inventata per darle quell’ambivalenza di credibilità e veridicità.

D. Nei tuoi romanzi c’è sempre un fondo estremamente nostalgico, fa solo parte delle ambientazioni del personaggio Botteghi oppure lo sei anche tu?

Credo che in tutti noi ci sia una vena nostalgica, penso sia il motivo per cui questo aspetto di Botteghi lo fa entrare in empatia coi lettori. Botteghi ha una visione amara della vita per colpa del suo passato, ma anche sotto il cumulo di cenere di ciò che ha perso c’è sempre una scintilla di speranza che arde e vive. Non a caso, se lo si osserva nell’arco delle sue quattro avventure, si può notare una evoluzione, un’apertura nei confronti del mondo. Si tratta di un processo lento ma che sicuramente lo caratterizza. La vena più forte di nostalgia è sicuramente nei confronti di ciò che non c’è più, nei ricordi, negli affetti, nella città. Botteghi è parte integrante di tutto questo e le trasformazioni che lo snaturano sono viste con diffidenza. Ecco, in questo sì mi sento simile a lui, ma l’estrema tristezza del rimpianto con cui Botteghi si guarda intorno convinto di non appartenere più a ciò che oggi lo circonda, no, non mi è propria.

D. La taverna dove il commissario va a mangiare e la sua adorabile proprietaria esistono davvero?

Purtroppo no. Per gioco dico sempre che se mai un giorno volesi ritirarmi, farei bene a comprare un fondo in piazza Mazzini e aprire il ristorante La Boa. Penso che avrei tantissimi clienti.

D. Come ti è venuto in mente l’intervento del Mago Silvan per la prefazione del tuo libro?

Silvan è un grande estimatore di Wetryk. L’anno scorso la scuola di magia La Corte dei Miracoli ha indetto il primo Premio Wetryk ed è stato tributato proprio a Silvan, che è venuto a Livorno, ha visitato la villa di Wetryk e trascorso un piacevole pomeriggio con Liliana, figlia del grande mago. Da qui l’idea di fargli leggere, tramite Donzella il presidente della scuola di magia, la bozza del libro, e Silvan ne è rimasto affascinato; è stato allora che gli ho chiesto se aveva piacere di scrivere qualche parola e lui mi ha fatto questo grandissimo onore, anzi, mi ha ricoperto di complimenti. Silvan per tutti noi rappresenta la magia, non potrei descrivere quanto questo suo elogio mi abbia onorato.

D. Vuoi raccontaci del vostro incontro o contatto virtuale?

Purtroppo per adesso si è trattato solo di uno scambio epistolare, ma mi ha fatto sapere che avrebbe molto piacere di incontrami e per me sarebbe davvero fantastico. Io dico sempre che ogni romanzo è un viaggio, parte in solitaria e vive all’interno dell’autore nella prima parte, poi quando il libro esce comincia la parte più ampia, che ti porta attraverso luoghi, persone, emozioni, critiche, elogi, successi e soddisfazioni, ma a volte anche attraverso delusioni e fallimenti. Sono solo all’inizio di questa avventura, ma ammetto che fino ad ora è stata la più emozionante. Quando ho cominciato a lavorare sul testo la figura di Wetryk mi ha accompagnato come un fantasma per tutto il tempo e ho vissuto come un vero torto che il suo nome sia stato dimenticato, così mi sono dato l’arduo compito di provare a restituire il giusto posto nella storia della città a questo personaggio, ma per quanto io faccia non sarai mai quanto Wetryk ha fatto per me: mi ha permesso di raccontare una storia fantastica e di emozionare chiunque la legga. Quindi non finirò mai di ringraziarlo e continuerò a tener vivo il suo nome, dandogli il grande valore che merita.

Grazie per la disponibilità e la simpatia e alla prossima avventura del Commissario Botteghi sulle pagine dei Gufi Narranti.

Sandra Pauletto

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