Intervista a Stefano Peiretti – Non voglio morire – Echos Edizioni 

Intervista a Stefano Peiretti – Non voglio morire – Echos Edizioni 

Abbiamo da poco recensito il volume di Stefano Peiretti “Non voglio morire”, edito da Echos Edizioni e ora abbiamo l’onore di scambiare quattro chiacchiere con l’autore.

 

Ciao Stefano, grazie per essere passato a trovarci, possiamo darci del tu?
Ciao carissima. Vi ringrazio in primis per il vostro interesse a un tema davvero importante come quello delle morti sul lavoro e della sicurezza. Il dramma sociale trattato è di stringente attualità e questo libro vuole riaffermarne la centralità, nel contempo facendo memoria di un evento che ha pesantemente segnato la città di Torino e l’Italia tutta.  Sin da quando è avvenuta la tragedia l’Italia si è promessa “Mai più un’altra Thyssen”, motto che a distanza di quindici anni non rispecchia ancora la realtà.

 

D: La prima domanda è quella che mi son fatta man mano che leggevo il tuo volume: È stato facile trovare un editore coraggioso disposto a pubblicarti o hai trovato delle resistenze?

R: Molti editori erano interessati a questo manoscritto, ma ho dovuto fare una selezione. Ti posso confidare che un editore tra i big mi avrebbe pubblicato il manoscritto, ma a determinate condizioni che mano a mano cambiavano durante la contrattazione molto difficile, ma gestita benissimo dal mio agente. Proposte senza senso che partivano dalla richiesta di un saggio sul tema, lontano anni luce dalla mia scelta stilistica, e che spesso sarebbero andate contro il responso della Magistratura. Sono rimasto però fedele ai miei principi e al progetto iniziale che consisteva nel mettere nero su bianco i ricordi dei famigliari facendo risaltare le loro vere emozioni. Un altro grande editore l’avrebbe pubblicato senza modifiche al testo, ma alla fine ho scelto un editore torinese con cui avevo collaborato precedentemente e che mi ha garantito la mia scelta stilistica.

 

D: Nel tuo libro usi un escamotage per raccontare i fatti, tu come sei venuto a contatto con la vicenda della Thyssen?

R: Il racconto è condotto da un personaggio di fantasia, un ragazzo appena entrato nel mondo del giornalismo che vuole rappresentare soprattutto la parte umana di questo mestiere che sa interrogarsi e vivere passioni civili. Quasi tutti ricordiamo qualcosa di quel momento tragico. Io avevo 19 anni e la notte tra il 5 e il 6 dicembre me la ricordo al finestrino della macchina, ribaltato poi sullo schermo del televisore del salotto di casa. Si vedevano fiamme e fumo che contornavano quella struttura, una fabbrica che all’apparenza era abbandonata, senza vita, e che non avresti mai pensato che avrebbe aperto una ferita così grande per Torino e l’Italia.

 

D: Nel tuo volume ci sono anche testimonianze dei parenti delle vittime, vuoi raccontarci meglio come hanno accolto la tua iniziativa?

R: Sono amico della zia di uno dei ragazzi coinvolti nella tragedia e tramite lei ho conosciuto tutti gli altri familiari. Con loro si è concretizzata l’idea di rendere indelebili le loro testimonianze inedite. In quei due anni e mezzo di progettazione e stesura del libro, ho vissuto, anche insieme al mio staff, un’intensa esperienza che mi ha catapultato a quella notte quando passai davanti a quella fabbrica in fiamme. L’aspetto di cui sono orgoglioso è di aver dato voce anche a chi non ha mai potuto esprimersi in questi quindici anni. La memoria è quella che accomuna me e i familiari in questo progetto. Ho voluto così stimolare una presa di coscienza sempre più forte sulle morti sul lavoro sensibilizzando soprattutto le nuove generazioni alle quali consegno la memoria, la battaglia e la vita che i familiari conducono da anni.

 

D: Nei tuoi piani c’era anche quello di sentire qualche responsabile della Thyssen?

R: Non è mai stato il mio obiettivo quello di contattare un responsabile Thyssen. Oltre ai familiari, ho intervistato degli ex operai per comprendere quali erano le condizioni in cui versava lo stabilimento e come si viveva in quella fabbrica, ma oltre a quello non mi sono interessato rimanendo fedele al progetto iniziale.

 

D: Quale è stata la parte del tuo lavoro più difficile da scrivere?

R: La parte più difficile credo sia stata la stesura del capitolo dedicato a Giuseppe De Masi perché racconta minuto per minuto l’agonia che il ragazzo ha vissuto fino al 30 dicembre di quell’anno. Emozioni che si sovrappongono, dalla speranza alla rabbia nel giro di poco tempo e che ti fanno comprendere davvero cos’è la vita.

 

D: Quella che racconti era, a tutti gli effetti, una strage evitabile. A tuo avviso poteva esser messa in preventivo dalle alte sfere o la casa madre è così lontana dalla struttura da non essersene resa conto?

R: Questa dinamica è raccontata nel libro dopo vari incontro che ho avuto con alcuni ex operai. Lo stabilimento di Corso Regina doveva chiudere e si stavano smontando alcuni impianti lasciando ancora operative le linee quattro e cinque, il laminatoio e alcuni piccoli impianti. La decisione risaliva già a marzo 2005, posticipata, per via dei giochi olimpici, all’estate 2007 e di conseguenza sarebbe stata dismessa completamente dal settembre 2008. Lo stabilimento era stato abbandonato totalmente da tempo e la mancanza di sicurezza si faceva sempre più evidente agli occhi di chi lavora in quel luogo.

 

D: Credi che il mondo dell’industria o del lavoro in genere abbia imparato qualcosa da questa tragedia?

R: Dopo questa tragedia, la sicurezza sui luoghi di lavoro è stata messa al centro della politica, dei sindacati e dei tavoli industriali. Nel 2008 è stato approvato il Decreto legislativo 81, detto Testo Unico sulla sicurezza, che regola la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro e sostituisce la 626. Si è imparato che non si può fare profitto tagliando sulla sicurezza e mettere così a rischio la vita dei lavoratori. Purtroppo ancora quest’anno la realtà ci fotografa una continua strage e un’Italia non pienamente pronta ad affrontare una volta per tutte il tema. Thyssen è una ferita indelebile per come le vittime hanno perso la vita in giovane età, ma ancor di più perché vi è stato un’evidente volontà di tagliare sulla sicurezza, trasferendo la produzione a Terni.

 

D: Il tuo personaggio è un giornalista, hai avuto modo di appurare quanto la carta stampata si è interessata alla vicenda soprattutto a livello internazionale?

R: Abbiamo fatto una ricostruzione sia a livello nazionale sia a livello internazionale partendo dal periodo in cui è avvenuta la tragedia e proseguendo fino ad oggi. Dal mio punto di vista molti giornalisti hanno operato solo per creare lo scoop del momento, altri invece sono stati veramente molto delicati a trattare il tema e a intervistare le famiglie.

 

D: Dopo esser entrato così dentro ad una vicenda tanto drammatica, si riesce veramente poi a passare a qualcos’ altro senza pensarci più?

R: Non è per niente facile passare semplicemente a scrivere un altro argomento. Le emozioni vissute anche durante la stesura del libro rimangono indelebili nella mente e nell’anima. È stato sicuramente difficile trovare la forza di scrivere un altro argomento per poter dare voce ad altri. Ma ora posso finalmente dire che ci sono dei progetti per il futuro narrativo.

 

D: Hai pensato di trasformare il tuo lavoro in un podcast o più semplicemente in un audiolibro?

R: Io e il mio staff ci stiamo pensando con l’obiettivo di aumentare il raggio delle persone che possono essere raggiunte da una storia così importante per la memoria e la prevenzione.

 

D:  Stai lavorando ad un nuovo lavoro?

R: Sì, ma purtroppo non posso svelare ancora il tema perché sono legato a un vincolo di segretezza. È un tema sociale che si basa sempre su una storia vera, realmente accaduta.

 

Grazie mille a Stefano Peiretti per la disponibilità e ti aspettiamo con il tuo prossimo lavoro sulle pagine de I gufi narranti.

 

Sandra Pauletto

 

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