ALCHIMIA NEL MOSAICO DELLA CHIESA DI SAN SAVINO – PIACENZA

ALCHIMIA NEL MOSAICO DELLA CHIESA DI SAN SAVINO – PIACENZA

La chiesa di San Savino si trova a Piacenza nel “Giardino Merluzzo” in via Alberoni, 35. Per raggiungerla bisogna scendere una scalinata.

La storia di questo luogo sacro è molto complessa in quanto inizia nel lontano 420 d.C., quando fu costruita una piccola e primitiva chiesa dedicata ai Santi Apostoli, circondata com’era abitudine da un cimitero.

La zona cimiteriale era nota con il nome di Le Mose ma non ha alcun collegamento con la zona omonima  alle porte della città.

Sui resti dell’antica chiesa dei SS. Apostoli, Savino fece costruire un altro edificio sacro all’interno del quale venne poi sepolto e per questo a lui dedicato.

Ma anche questa struttura non è quella che possiamo ammirare ai giorni nostri perché tra il XI e il X secolo, durante l’invasione degli ungari venne nuovamente distrutta.

Troverà in qualche modo pace nell’anno 1000 d.C., quando viene ricostruita grazie all’intervento del vescovo Benedettino che aggiunse alla struttura un convento per i monaci della sua confraternita.

Sarà il vescovo Aldo più di cento anni dopo, precisamente nel 1107 d.C., a consacrarla definitivamente. Da allora però la chiesa che ancora oggi e dedicata a Savino divenuto poi santo, subì nei secoli molti lavori di restauro.

Prima di addentrarci nelle meraviglie artistiche della struttura approfondiamo velocemente chi è Savino alla quale la chiesa è dedicata, Sabino nacque a Milano nel 330 d.C. durante la sua vita religiosa fu grande oppositore delle dottrine considerate eretiche.

Essendo vissuto per un periodo a Milano il vescovo Savino pare fosse amico di Ambrogio divenuto poi santo e protettore di Milano. Savino ebbe una vita decisamente lunga per quei tempi, in quanto morì il 11 dicembre 420,a centodieci anni. In vita fu per quarant’anni vescovo di Piacenza.

L’episodio che gli permise di essere proclamato santo è legato a una delle tante piene del fiume Po.

Pare infatti che mentre il fiume esondava Savino gettò tra le sue acque una lettera in cui intimava al fiume di ritirarsi. Così avvenne e a lui fu attribuito il merito. Il suo impegno nella conversione alla fede in Cristo fu motivo in più per farlo santo.

Per completezza segnaliamo che pur essendo morto l’11 dicembre la città di Piacenza lo festeggia il 17 gennaio portando come data di riferimento, non appunto la morte, ma il giorno in cui le sue spoglie furono deposte in chiesa.

La figura di Savino è importante per la città di Piacenza in quanto fece adottare alla città una nuova e personale modalità liturgica rimasta in vigore fino al Concilio di Trento.

 

L’interno della chiesa superiore si presenta con un pavimento bianco e nero mosaicato con le sembianze di onde marine, quella inferiore è costituita dalla cripta.

MOSAICO

Entrambe le aree hanno un fattore comune, il pavimento è a mosaico con tessere bianche e nere.

Ma vediamo di parlare della basilica che nel corso di secoli ha subito numerose modifiche analizzando la struttura odierna.

Entrando veniamo accolti da uno spazio diviso in tre navate tri absidate con una copertura alternata a crociera e a volta.

La muratura è di mattoni a vista e la struttura di archi e pilastri sono di pietra. In particolare si contano sette coppie di pilastri polistili, ossia formati a loro volta da più colonne.

Ad alcune colonne,  a cui viene attribuita maggiore importanza, sono formate da ben otto elementi (quattro spigoli e quattro semicolonne adornate) mentre quelle minori sono formate “solo” da quattro elementi (ci sono solo le semicolonne).

Il capitello, classico dall’arte gotica, sono decorate da creature fantastiche.

Le campate sono nove così divise: tre nella navata centrale, sei in quelle laterali.

Una delle campate (la terza) ospita il presbiterio che porta alla cripta sottostante attraverso delle scale, ai lati delle quali fanno bella mostra due leoni di pietra.

Senza volere andare a scomodare significati esoterici o mistici dove il leone richiama o rappresenta il sole, è più probabile che la coppia di animali sia una sorta di firma dei Maestri Comancini, il cui leone è il loro simbolo.

Più curiosa la presenza accanto al leone di un asta a forma di serpente. Potrebbe rappresentare, come il bastone di Asclepio, la rinascita sfruttando la muta dei serpenti che cambiando pelle a loro modo rinascono, così gli esseri umani risorgono secondo  la religione cristiana dopo la morte, motivo per il quale la figura del serpente sarebbe stata posta prima dell’entrata alla cripta, luogo classico per la sepoltura di alcuni defunti.

Sula balaustra, che porta ai sotterranei, sono presenti delle lastre di marmo con decorazioni celtiche e nel rosone centrale campeggia il fiore della vita, anche detto “rosa celtica”.

 

Nella basilica è presente un crocifisso ligneo meglio noto con il nome di Cristo Triumphanas, le caratteristiche che lo differenziano dai “normali crocefissi” sono la leggera inclinazione della testa del Cristo verso sinistra e gli occhi aperti.

Sempre nella zona dell’altare fa bella mostra sul pavimento un rettangolo di 3.5 X 4.5 metri circa all’interno del quale sempre con tessere bianche e nere c’è un mosaico formato da un doppio cerchio sostenuto da una cariatide il tutto contenuto in un quadrato.

Al centro del rettangolo è raffigurato un trono sul quale è seduto un uomo dalla lunga barba. Le mani aperte a raggere da una parte il sole, dall’altra la luna. La figura, molto probabilmente, è il signore del tempo che governa la luce e le tenebre. Attorno a lui che rappresenta in qualche modo il centro del mondo, sono raffigurati dei felini e dei grifoni.

Sono presenti anche delle figure umane in posa plastica. L’insieme degli uomini dovrebbe rappresentare la ruota del tempo di cui, come detto, la figura sul trono è il signore.

Volendo leggere il tutto in chiave alchemica/esoterica, sono raffigurati tutti i fondamentali per compiere la “Grande Opera”, ossia la realizzazione della “Pietra Filosofale”.

Prima di inoltrarci nella cripta segnaliamo la presenza nella basilica di un organo a canne dell’800, costruito dai fratelli Lingiardi e successivamente ampliato da Giovanni Tamburini.

Recentemente lo strumento è stato restaurato grazie al contributo della Banca di Piacenza.

Se come detto la basilica ha il pavimento interamente ricoperto da un mosaico raffigurante le onde del mare su tasselli bianchi e neri, discorso diverso e ben più ampio va fatto per il pavimento della cripta, anch’esso mosaicato ma con molteplici figure dai più significati. Rappresenta nel suo insieme un labirinto di cui però rimangono solo alcune tracce.

Si è a conoscenza della presenza di una scritta in latino:

 

Hunc mundum tipice laberinhus denotat iste intranti largus, redeunti set nimis srtus sic mundo captus, viciorum mole gravatus vix valet ad vite doctrinam quisque redire

 

Traduzione: “Il labirinto” è un luogo largo per chi vi entra, ma stretto per chi prova a liberarsi dai vizi per uscirne. Simile concetto viene espresso da Minosse a Dante nel quinto Canto dell’Inferno:

“Guarda com’entri e di cui tu ti fide; non t’inganni l’ampiezza de l’intrare”.

La volta della cripta è sostenuta da colonne dal fusto sottile e terminanti con capitelli in cui tra le altre cose si possono individuare il nodo di Salomone, a volte singolo altre volte curiosamente intrecciato.

Nella cripta dove si posa l’occhio c’è qualche meraviglia da guardare ma il “pezzo forte” come abbiamo detto è il pavimento che ora analizziamo.

È curioso specificare che il mosaico della cripta sorge sullo stesso punto in cui abbiamo descritto quello della basilica. Le immagini del mosaico sotterraneo rappresentano un calendario perpetuo, quasi a completare la divisione del tempo iniziata nella basilica.

I disegni sono dodici come i mesi dell’anno ma purtroppo solo tre sono ancora ben visibili.

Sembra che rispetto alle tessere usate nel piano superiore che abbiamo detto essere solo bianche e nere, nella cripta ci sono tracce di alcune pigmentazioni.

Il mosaico, nella sua totalità, è racchiuso in un riquadro non completo nel senso che su tre lati c’è una cornice geometrica, su quello restante il limite è dato non dalla cornice ma da una serie di combattimenti tra dei cavalieri, un unicorno e una figura femminile, forse riconducibile ai maccabei e al racconto biblico.

I dodici mosaici, che abbiamo detto rappresentare anche i dodici mesi, sono iscritti in uno spazio rotondo (clipeo) il tutto “appoggiato” idealmente nello spazio marino (come nel piano superiore) dove qui e lì fanno capolino dei pesci ma anche un tritone e una sirena.

Se il pesce è per primo significato in una chiesa la rappresentazione del cristianesimo, non possiamo dire lo stesso per le altre due figure che invece vanno interpretate in una chiave alchemica dove il tritone e la sirena rappresenta l’unione tra lo zolfo e il mercurio.

Alla luce di questo segnaliamo che il pesce potrebbe anche essere letto come la raffigurazione della pietra filosofale in quanto secondo la tradizione sia la pietra che il pesce nascono e vivono nell’acqua.

Dice Fulcanelli: “La sirena, mostro favoloso e simbolo ermetico, risultante dall’unione di una donna e un pesce, serve a caratterizzare l’unione dello zolfo nascente, che è il nostro pesce, con il mercurio filosofico o sale di saggezza.

Il nome Seirèn , termine contratto di Seir, sole e Mène, luna, indica anche la materia mercuriale lunare combinata con la sostanza solforosa solare”.

Analizziamo mese per mese il mosaico del calendario perpetuo che raffigura sia i segni zodiacali che le attività agricole indicate per quel periodo dell’anno.

MOSAICO

  • Gennaio, mese che traghetta dall’anno vecchio all’anno nuovo è solito essere rappresentato da un uomo vecchio (anno passato) e uno giovane (anno iniziato). Questa ambivalenza richiama alla figura del Giano bifronte e in alchimia al doppio mercurio, base del lavoro filosofale. A gennaio lo zodiaco raffigura il capricorno, animale che richiama alla capra di Amaltea che secondo la leggenda nutrì con il suo latte il piccolo Zeus il quale come ringraziamento rese le sue corna capaci di esaudire qualsiasi desiderio. Amaltea è il nome della ninfa che custodì la capra.
  • Febbraio, (mosaico parzialmente rovinato), in questo mese lo zodiaco rappresenta l’acquario in quanto Februare (da cui deriva il nome del mese) significa purificare. La figura dell’acquario infatti fa sgorgare l’acqua purificatrice dall’anfora.
  • Marzo, (mosaico integro), sul mosaico essendo integro è possibile leggere la seguente scritta: “procedunt duplice sin marcia tempora pisces”, tradotto significa “se poi è marzo i pesci procedono in due”. Oltre al testo il mese di marzo è raffigurato da un uomo che potrebbe venire inquadrato come il Dio Pan poiché indossa un berretto con la punta piegata in avanti (frigio). Si pensa al Dio Pan perché l’uomo suona il corno. Ma forse il significato è un altro visto che suona in direzione dei due pesci (quasi fosse un incantatore). Segnaliamo che come ricorda il nome “marzo” è dedicato a Marte.
  • Aprile, non ci sono scritte riconducibili né al mese né al segno che però è ben visibile nel mosaico che raffigura infatti un ariete che osserva un uomo il quale stringe tra le mani i rami di due giovani alberi. Per gli alchimisti la figura dell’ariete ha un valore enorme; l’alchimista Ireneo Filalete, la cui opera maggiore è “Introitus apertus ad occlusum regis palatium” (entrata aperta al palazzo chiuso del re), sostiene che il fuoco segreto dell’opera si può trovare nascosto nel ventre dell’ariete. Filalete specifica che “per indicarlo ancora più precisamente aggiungeremo che questo ariete nasconde in sé l’acciaio magico, porta con sé ostentazione del suo emblema, l’immagine del sigillo ermetico, stella con sei raggi”. Se alla luce di quanto sopra analizziamo nuovamente l’immagine del mosaico del mese di aprile notiamo che sono esattamente sei i rami che l’uomo stringe tra le mani.
  • Maggio, nella stagione cristiana è il mese mariano che volendo leggere in chiave alchemica rappresenta la dea madre ancestrale. Nel mosaico sono raffigurati un cavaliere, un uomo che nutre il proprio cavallo. A completare la scena con il segno zodiacale troviamo un toro che a sua volta mangia parte del cibo del cavallo. In chiave alchemica tornano sempre in aiuto le parole di Fulcanelli “Il toro e la vacca, il sole e la luna, lo zolfo e il mercurio sono dei geroglifici di identico significato, indicano la natura primitiva prima della loro congiunzione”. Per gli alchimisti il mese di maggio ha un valore particolare in quanto il suo nome richiama la dea Maya, che secondo la mitologia romana, è la dea della fecondità, ma per gli alchimisti è importante in quanto madre di Mercurio, indicato come il padre dell’alchimia nonché, ovviamente, simbolo del mercurio filosofico, ossia la sostanza di cui era formata l’anima del mondo.
  • Giugno, sfortunatamente il mosaico non è arrivato a noi integro e la scritta che accompagna le immagini è illeggibile. Nonostante questo è possibile notare una differenza rispetto ai mosaici dei mesi precedenti. È la prima volta che compare sia il nome del mese che il nome del segno zodiacale di appartenenza, che in questo caso sono i gemelli o gemini. Il mosaico infatti raffigura due bambini intenti a guardare chi lavora i campi; le due figure sono riconducibili ai “dioscuri” (figli di Zeus”), Castore e Polluce gemelli concepiti da Leda. La leggenda però per quanto siano catalogati come figli di Giove racconta che la donna la stessa notte si unì con il dio che con il marito generando così due gemelli uno immortale e uno mortale. Qui ci sarebbe da aprire più di una parentesi sulla contrapposizione dei due che genera il tutto, (lo yin e lo yang) ma ci limitiamo così a farlo presente significando che in alchimia possono essere visti come le due nature fondamentali dell’opera.
  • Luglio, anche questo mosaico è danneggiato e incompleto. Curioso che la scritta del mese è un tutt’uno con quella del segno: ivliumsca cer. Luglio dal latino “iulius” viene spesso ricollegato alla figura di Giulio (Julius) Cesare, ma volendolo leggere in chiave alchemica è probabile che si rimandi a Giove, considerato Padre del Magistero Alchemico. Il mosaico è diverso dai precedenti in quanto gioca sulla contrapposizione di bianco e nero (bicromia). La figura di luglio è bianca su sfondo nero e raffigura un uomo che taglia le spighe utilizzando un falcetto.
  • Agosto, mosaico completo solo parzialmente. Il mese è risaputo essere dedicato all’imperatore Augusto di cui il Ferragosto sono appunto le ferie augustee (potete saperne di più nel nostro articolo “Ferragosto origine”). Nel mosaico è visibile un uomo che si prepara per la vendemmia del mese successivo. C’è anche un tranquillo leone (segno del mese) che lo osserva.
  • Settembre, mosaico solo parzialmente visibile. È andata perduta la raffigurazione del segno della Vergine. Rimane soltanto un uomo che vanga con una mano, mentre con l’altra fa qualcosa ma il mosaico purtroppo manca. Facciamo notare una curiosità secondo il calendario romano antico l’anno non iniziava a gennaio e settembre era il settimo mese e infatti quello dopo è …
  • Ottobre, mosaico quasi totalmente perduto, è visibile solo in parte il segno del mese: la bilancia.
  • Novembre, mosaico completamente assente purtroppo.
  • Dicembre, mosaico quasi totalmente illeggibile. Facciamo notare come secondo il calendario romano fosse appunto il decimo mese. Di questo mosaico è visibile un uomo che squarta un animale appeso, mentre del sagittario, segno del mese, sono rimasti solo l’arco e le frecce.

 

Con dicembre si conclude il giro dei mosaici e anche il giro nella Basilica di San Savino di Piacenza e la sua cripta.

Riportiamo di seguito quanto necessario a voi per visitarla e vedere il tutto con i vostri occhi.

 

San Savino (PC)

Via Alberoni, 35

Tel. 0523-318165

Dal lunedì al venerdì dalle 09.30 alle 12.00 e dalle 16.00 alle 18.00

Sabato dalle 09.00 alle 10.00 e dalle 16.00 alle 17.00

Nei giorni festivi dalle 09.00 alle 10.30 e dalle 16.00 alle 17.30

Sandra Pauletto

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