INTERVISTA A SAHARA ROSSI – “PASSI DI POLVERE” – AUGH! EDIZIONI

INTERVISTA A SAHARA ROSSI – “PASSI DI POLVERE” – AUGH! EDIZIONI

 

 

Abbiamo da poco recensito “Passi di polvere”, scritto da Sahara Rossi, edito da Augh! Edizioni e abbiamo ora la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con l’autrice. Buongiorno, grazie essere passato a trovarci, possiamo darci del tu?

Ciao, assolutamente. Grazie per avermi concesso questo spazio.

 

  • Come mai hai scelto una tematica così delicato?

“Passi di polvere” nasce da diverse riflessioni personali. Fin da quando sono bambina ho sempre avuto un rapporto particolare con la morte; mi spaventava, certo, temevo che arrivasse troppo presto per prendersi con sé le persone a me più care. Non ho mai temuto la morte per me stessa, ma per gli altri, perché essa genera assenza. È il vuoto che si crea in chi rimane che logora e provoca dolore, ed io avevo il terrore di sperimentare quel vuoto. Come è normale che sia, alla fine è capitato. Posso dire però che, anche nei momenti di sofferenza e mancanza più estrema, l’assenza delle persone amate mi ha permesso di riflettere a lungo e di mettere a fuoco diverse cose. La morte è inevitabile, ed è quanto di più naturale possa esistere. La vita, con tutto ciò, acquisisce meno valore? “Passi di polvere” parla di questo. I personaggi delle mie storie sono personaggi che hanno vissuto pienamente ed intensamente, nella felicità e nei dolori, e che hanno avuto a che fare con la morte o direttamente o sotto altre forme. I loro, i nostri percorsi, non sono altro che passi impressi nella terra, che un giorno svaniranno. Ma solo perché un domani la polvere cancellerà le orme, ciò non significa che esse non siano esistite. Abbiamo tutti vissuto, e continuiamo, in un modo o nell’altro, a vivere anche nel cuore di chi rimane. “Passi di polvere” tratta della morte ma in realtà è un inno e celebrazione alla vita, è un’accettazione della fine con amara ma matura consapevolezza. E, soprattutto, senza timore.

  • Ci sono dei racconti che ti sono stati ispirati da fatti vissuti da vicino?

Tutti i racconti presenti in “Passi di polvere” sono scaturiti da esperienze di vita personali, luoghi e città che ho visitato, persone che ho conosciuto. Giusto per citare qualche esempio: “La casa delle ombre di carta” si svolge ad Heidelberg, città del sud-ovest della Germania dove ho vissuto alla fine del 2019. La sera, quando mi recavo all’istituto dove seguivo delle lezioni di tedesco, passavo sempre accanto ad una villa che a prima vista sembrava abbandonata, dove al centro del cortile v’era una fontana priva di acqua. Sul bordo di pietra stava seduta una statuina di donna, abbigliata con un costume anni ’50 ed una cuffietta in testa. Mi colpì molto quel particolare, e, da quel semplice oggetto, ha cominciato a diramarsi nella mia mente tutto il racconto.

“Le Isole del Vento” invece si svolge a Roma, alla stazione di Anagnina, nella periferia della città. Io ho studiato e mi sono laureata all’Università di Tor Vergata, ed anni fa, quando mi recavo a lezione, prendevo sempre l’autobus numero venti che faceva capolinea ad Anagnina, e lì vedevo spesso un anziano signore che chiedeva l’elemosina in sedia a rotelle accanto alle aiuole. Dopo svariati mesi, un giorno non lo trovai più. Il primo ed istintivo pensiero fu che probabilmente fosse passato a miglior vita; quella considerazione mi rattristò talmente tanto che anche qui decisi di scriverci un racconto, e, poco a poco, nacquero le mie Isole del Vento.

Ci sono racconti che invece sono tratti, come dicevo poco fa, da esperienze di vita strettamente personali e più dolorose. “L’eco dei papaveri” è la storia di mia nonna, che per molti anni ha sofferto di Alzheimer, per poi spegnersi nel 2017; in questo testo ho cercato di immedesimarmi in lei, e di narrare la storia dal suo punto di vista, analizzando a fondo la malattia, ed addentrandomi nella sua mente colma di nebbia, zone d’ombra e frequenti tuffi nel passato.

“Mignon”, infine, è un racconto breve scritto sotto forma di lettera, d’un padre che parla alla figlia che soffre di anoressia, e che, svegliandosi in piena notte in preda all’orrore, teme la sua morte. In quella lettera c’è mio padre che sta scrivendo a me, poiché anche noi abbiamo vissuto quell’incubo ben sei anni fa, e non esiste per me giorno in cui non ricordi la sensazione ed il tormento provato in quel cubo periodo della mia vita. Alla fine, attingere anche da esperienze di vita così toste mi ha permesso di affrontare il trauma, di mettere nero su bianco l’angoscia, di renderla più concreta e di toglierle potere. La scrittura, a volte, sa essere davvero salvifica.

  • Qual è il tuo rapporto con la religione e l’aldilà?

E’ complicato da spiegare. Non mi sono mai ritenuta credente, non ho nemmeno nessun sacramento alle spalle. Eppure non mi sento di avere una visione così nichilistica del mondo, secondo cui quando una persona muore, semplicemente è nulla, svanisce per sempre. Io credo fermamente che le persone che ci lasciano divengono energia. Già nel processo di decomposizione c’è uno sciogliersi ed un ritornare alla terra. Ho una visione panteistica della morte; penso che chi si spegne torna a far parte dell’Uno, di qualsiasi cosa ci permea: il vento, la pioggia, il cielo, gli alberi, e così via. Rimane una potente energia, una vibrazione, che è sempre attorno a noi. E, come ho detto prima, per quanto mi spaventi, io ho cominciato ad accettare la morte e l’aldilà, come normale conseguenza della vita. Ciò che io stessa ho imparato, attraverso i miei lutti e le mie esperienze, è che la morte non annulla ciò che siamo stati. E nessuno muore mai davvero, se resta nel cuore di chi vive. Attraverso l’amore, le parole, i gesti, gli insegnamenti. Queste cose sono eterne.

  • Nei tuoi racconti i protagonisti sono a volte soggetti “particolari”. Quali difficoltà hai incontrato nel calarti nei loro panni?

Nessuna, perché in ognuno di loro c’è una parte di me. Sento di voler loro un gran bene, come se fossero persone realmente incontrate e conosciute nell’arco di tutti questi anni. alla fine ad ognuno di loro ho donato frammenti della mia persona: i miei dolori, i miei pensieri, le mie gioie, i miei ricordi. Calarmi nei loro panni è stata un’azione estremamente naturale e spontanea, talmente forte e intensa è la connessione.

  •  Sahara Rossi Hai mai pensato di fare uno dei tuoi personaggi il protagonista di un romanzo intero?

Sì, con “Cuore di terra”, racconto che scrissi nel 2016 e che inizialmente doveva proprio essere un romanzo. Era la prima volta che mi mettevo alla prova con un racconto, avevo intenzione di partecipare al Premio Campiello nella sezione giovani, per cui decisi di tentare a cimentarmi in un nuovo tipo di scrittura, nonostante sapessi sarebbe stato estremamente complesso per me, poiché sono sempre stata una persona con scarso se non nullo dono della sintesi. Dopo svariati mesi di lavoro e tagli qua e là, riuscii nel mio intento, e “Cuore di terra” arrivò finalista. Da quel momento ho iniziato a sentire sempre più vicina e congeniale la forma del racconto, ho continuato a scrivere, e non l’ho più abbandonata.

 

Grazie mille per la disponibilità, arrivederci a presto sempre sulle pagine de I Gufi Narranti.

Matteo Melis

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