Intervista a Marco Badini – “L’ombra sul Colosso” (Todaro Editore)

Intervista a Marco Badini – “L’ombra sul Colosso” (Todaro Editore)

 

Abbiamo da poco recensito “L’ombra sul Colosso” (Todaro Editore) di Marco Badini e abbiamo ora la possibilità di scambiare con lui quattro chiacchiere per conoscere meglio lui ed il suo nuovo romanzo

 

Buongiorno Marco mi permetto, se sei d’accordo, di darti del tu. Partiamo con le domande:

  • Essendo la prima volta che ti recensiamo e che di conseguenza ti intervistiamo, ci piacerebbe sapere un po’ chi è Marco Badini uomo per poi andare a scoprire chi è Marco Badini scrittore. Puoi farci un tuo ritratto per conoscerti meglio?

 

Anzitutto grazie per l’invito. In realtà il Marco Badini uomo non è particolarmente interessante, conduco una vita piuttosto ordinaria. Tra le mie passioni più grandi ci sono la storia e la letteratura, che insieme mi hanno portato all’idea e alla stesura del romanzo. Oltre a questo sono un grande appassionato di musica, strimpello la chitarra e ascolto quasi di tutto, da Händel ai Led Zeppelin.

 

  • La cornice in cui si svolgono i fatti che ci racconti è quella di una Brescia anno 1932, in trepida attesa della visita del Duce: Benito Mussolini. Perché hai deciso di ambientare questo romanzo in questo contesto?

 

La scelta deriva in buona misura dalle mie letture: i gialli che preferisco sono ambientati quasi sempre nella prima metà del Novecento o poco prima. Si tratta di un momento storico particolare, la prima parte del “Secolo Breve”. Un’epoca densa di avvenimenti, capace di affascinare il lettore contemporaneo e di fornire vaste potenzialità narrative all’autore. Sono convinto sia tra le ambientazioni che meglio si prestano alla creazione di una trama deduttiva di tipo classico, essendo un punto di giuntura ideale tra il crescente progresso scientifico e la necessità di una più tradizionale speculazione logica.

Nello specifico, l’idea di collocare la mia storia negli anni Trenta è derivata da un fatto di cronaca locale di qualche anno fa: l’ipotesi della ricollocazione in Piazza Vittoria del colosso scolpito da Arturo Dazzi aveva animato un dibattito piuttosto acceso in città, richiamando la mia attenzione e spingendomi a cercare di saperne di più sulla piazza in generale e sulla statua in particolare.

 

  • Il titolo di questo romanzo è “L’ombra sul colosso”. A cosa ti riferisci di preciso?

 

Il “Colosso” ha tre significati: due sono fisicamente tangibili e riconducono a Piazza Vittoria, rispettivamente la scultura del Dazzi e il Torrione INA. La prima è la grande statua posta a ornamento della piazza, il secondo assume una funzione più simbolica: al momento della costruzione era l’edificio in cemento armato più alto d’Europa, motivo d’orgoglio per il fascismo. Vi è poi un terzo significato, ovvero il Colosso inteso metaforicamente come il regime stesso. L’ombra allude a un’insidia, un po’ come il vento dell’est impiegato da Arthur Conan Doyle nell’epilogo de “L’ultimo saluto di Sherlock Holmes” per significare la minaccia dell’Impero Tedesco nella Prima Guerra Mondiale.

 

  • Sicuramente il lavoro di ricerca e preparazione è stato fatto in maniera molto attenta, molto precisa ed accurata al punto che sembra davvero di passeggiare a Brescia nel 1932, in vie che oggi sicuramente si presentano assai diversamente, ci fai godere a pieno dell’atmosfera della città, ci cali proprio dentro alla vita quotidiana delle persone dell’epoca. Cosa ti ha lasciato a livello emotivo e di conoscenza questo lavoro di studio e ricerca?

 

La fase di ricerca e documentazione ha richiesto tempo e qualche sforzo, d’altra parte però mi ha permesso di avere una panoramica più accurata della vita di allora: scorrendo elenchi di marche di sigarette, visionando cartelloni e opuscoli pubblicitari dell’epoca per capire cosa fosse in vendita e per quali tasche, ho cercato di calarmi nel quotidiano della piccola borghesia cittadina degli Anni Trenta. Questo ha contribuito anche a rafforzare il rapporto tra me e i miei personaggi, facendomeli sentire più vicini, in qualche modo più reali. A fianco delle cose più ordinarie c’è stato anche l’approfondimento di aspetti relativi alla costruzione della piazza che conoscevo molto marginalmente; ad esempio il destino degli abitanti del preesistente quartiere, sfollati e collocati in sistemazioni provvisorie fino agli anni Sessanta.

 

 

  • Il commissario Fulvio Villata è sicuramente un personaggio ben costruito e molto ben caratterizzato. Per certi versi mi ha ricordato un pochino il commissario Maigret, e questo è stato davvero una bella sorpresa. Chi è Fulvio Villata e come nasce nella tua fantasia questo personaggio?

 

Hai colto nel segno: Fulvio è il risultato di una sintesi tra tutti gli investigatori che come lettore ho incontrato a particolarmente amato. Pur essendo stato influenzato principalmente dalla figura di Sherlock Holmes, nel corso delle diverse revisioni al testo ho cercato di smussare certe asperità di carattere del mio commissario. A tale scopo ho sviluppato maggiormente il suo lato umano prendendo a modello il Maigret di Simenon, con particolare riferimento alla splendida interpretazione di Gino Cervi nello sceneggiato RAI di tanti anni fa.

 

  • Quanto c’è di autobiografico nella figura di Fulvio Villata?

 

Questa è la classica domanda da un milione di dollari! Non credo ci sia moltissimo, ma a ben guardare qualcosa c’è… io e lui abbiamo in comune una visione disillusa e abbastanza pessimistica del mondo e della società in cui viviamo.

 

  • Insieme a Fulvio Villata ci sono altri due personaggi che lo aiutano a condurre l’indagine e sono il suo collaboratore Amilcare Ferri e l’anatomopatologo Riccardo Calligaris. I tre rappresentano bene secondo me i vari modi di approcciarsi a quello che era il periodo storico. Fulvio non è certo un grande sostenitore della causa fascista al contrario del suo amico e collaboratore Amilcare. Riccardo è un monarchico convintissimo. Sono tre persone molto diverse ma che insieme sono davvero una grande squadra. Quando hai pensato al romanzo avevi già in mente questo team oppure le cose si sono sviluppate via via che scrivevi?

 

Hai centrato perfettamente le mie intenzioni. I tre personaggi riflettono i diversi modi con cui gli italiani dell’epoca si rapportavano al regime, almeno nella maggior parte. Amilcare, anche per ragioni anagrafiche, è un fascista convinto, ha assorbito le istanze della propaganda ed è profondamente persuaso di vivere nel migliore dei mondi possibili. Allo stesso modo Calligaris, ben più anziano, ha vissuto in pieno il periodo dell’Italia umbertina, la sua stella polare è la monarchia e non è affatto felice di vedere l’astro della Corona offuscato dal Regime. Fulvio infine incarna quello che a mio avviso era l’atteggiamento più diffuso: una passiva e quasi fatalistica accettazione, non una convinta adesione ma nemmeno una repulsione. Fulvio ha una sfumatura di condanna più marcata, data dal suo non essere membro del partito, tuttavia a differenza degli altri due non si appassiona alle vicende politiche della nazione: le sue energie sono concentrate unicamente sul lavoro e sui suoi problemi personali.

 

  • Il Dottor Calligaris è un personaggio davvero molto interessante e secondo è una figura che, se continuerai a scrivere di Villata, potrebbe avere molto ma molto da dire. Ci fai un ritratto di Riccardo Calligaris?

 

Calligaris è stato uno dei personaggi più divertenti da tratteggiare: come ho detto poco sopra è un anziano medico di ferrea fede monarchica, nostalgico dell’Italia liberale prefascista, disprezza il Regime per via dell’invadenza con la quale si sovrappone alle istituzioni statali. Oltre a questo suo aspetto distintivo il dottore è anche un uomo di fegato, combattente volontario nella Grande Guerra. Inoltre in qualche rara occasione mostra anche di essere una persona di spirito.

 

  • Abbiamo parlato di Fulvio e di Riccardo. Manca il Buon Amilcare Ferri. Chi è e come nasce questa figura?

 

Amilcare è stato concepito per l’esigenza di affiancare una spalla all’investigatore, nel solco di tanti illustri predecessori letterari. Poi però, come è avvenuto anche con la figura di Fulvio, nel corso della stesura il personaggio ha acquisito uno spessore individuale tutto suo, iniziando quasi a muoversi di vita propria. Amilcare è sotto molti aspetti l’opposto del commissario: atletico uomo d’azione, esperto nell’uso delle armi da fuoco, possiede ciò che manca al suo superiore e naturalmente lo completa. Il rapporto tra i due poliziotti, di natura subordinata sul piano lavorativo, nella pratica è però una solida e schietta amicizia. Inoltre Amilcare è pazzamente innamorato della moglie la quale, dal canto suo, vuole molto bene al commissario, tanto da cercare continuamente di accasarlo con qualche sua amica o conoscente con risultati spesso tragicomici.

 

  • Abbiamo intervistato molti scrittori e devo dire che ognuno ha un suo metodo creativo. Marco Badini  sei uno di quelli che si mette a tavolino e scrive oppure si uno invece di quelli che lasciano che sia l’ispirazione a dettare i tempi della scrittura? Quando scrivi hai già tutta la trama in mente oppure lasci che si sviluppi man mano che vai avanti con la stesura?

 

Prima di tutto aspetto che arrivi un’idea: perché, per come sono fatto, se mi metto a cercarla so già che di certo non la troverò. L’idea però è soltanto uno spunto sul quale poi devo lavorare per ottenere un filo narrativo lineare, logico, che funzioni da cima a fondo. Non metto mano alla penna se prima non ho tracciato una linea sufficientemente solida. Considero la giallistica uno tra i generi più insidiosi, se si decide di scrivere affidandosi al flusso dei propri pensieri. Naturalmente questa è una mia personale opinione, certamente esistono moltissimi ottimi autori che adottano sistemi diversi dal mio con eccellenti risultati.

 

  • Hai mai pensato che questi tuoi personaggi potrebbero un giorno sbarcare in tv, magari come protagonisti di una fiction? Se un giorno dovesse succedere chi vedresti nei panni dei tuoi protagonisti?

 

Visto che me lo chiedi mi permetto il lusso di sognare un po’! Vediamo… pensare a chi potrebbe vestire i panni del commissario Villata è una sfida molto ardua, ma credo che un attore come Pierfrancesco Favino saprebbe incarnarlo egregiamente. Pensare a un interprete per Amilcare mi riesce più facile, anche perché l’ho connotato fisicamente in maniera più dettagliata, quindi senza esitazioni sceglierei Elio Germano, altro attore di grande spessore. Infine, per quanto riguarda il dottor Calligaris, vedrei molto bene Leo Gullotta: un attore che nella sua lunga carriera ha dato eccellenti prove in ruoli comici ma anche drammatici. Mi rendo conto di aver calato un tris d’assi, ma sognare non costa nulla. E poi, mai dire mai…

 

 

  • Il sottotitolo di questo romanzo è “la prima indagine del commissario Villata”. Questo mi fa pensare che ci saranno ulteriori romanzi dedicati a questo personaggio, spero a questo team. Hai già pensato ad una nuova indagine per i nostri eroi?

 

Nel corso della stesura del romanzo mi sono reso conto che i tre protagonisti si amalgamavano in maniera solida e convincente, offrendomi una formula efficace per concedere spazio a nuove avventure. Non ti nascondo di essermi affezionato ai miei personaggi come a delle persone care, perciò credo proprio che li rivedremo in azione, impegnati a sbrogliare una nuova intricata matassa o a sventare qualche losco crimine!

 

Grazie a Marco Badini per essere stato nostro graditissimo ospite e speriamo di averlo ancora presto qui sulle pagine de I Gufi Narranti

 

 

David Usilla

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