Nessuno deve sapere – racconto breve di Sandra Pauletto

Nessuno deve sapere

Mi chiamavano “Il cospiratore” o “Il matto”.

Tutto era inziato con le strisce nel cielo, li avevo messi in guardia, ma ridevano: “sono solo la condensa degli aerei, vecchio pazzo”.

Poi erano inziate le piogge torrenziali, le alluvioni, le bombe d’acqua ma ridevano ancora: “è colpa del dissesto idrogeologico”, così diceva la tv, mentre le cose che dicevo io si chiamavano Fake News e per loro erano un mare di balle, ero un vecchio pazzo, millantatore di terrore.

Una notte ci fu una scossa sussultoria tremenda, mentre dal cielo veniva giù acqua mista ghiaccio con chicchi così grossi da ferire la pelle. Dopo circa venti secondi tutto cessò di colpo: il terremoto e la pioggia. Assieme. Era palese che non potesse essere un caso: Chi aveva i mezzi per farlo avendo la casa lesionata decise di trasferirsi, io rimasi li, praticamente da solo. Mi aggirai in quel povero piccolo paese per vedere i danni: le strade avevano crepe larghe centimetri, ma la parte peggiore era il cimitero. Era tornato tutto su. Cadaveri e bare facevano capolino dalla terra con corpi marcescenti e decomposti. Una vera apocalisse. Gridai la mia rabbia al cielo con tutto il fiato che avevo in corpo. Tremavo dalla testa ai piedi. Sapevo che era opera loro, li odiavo con tutte le mie forze. Non avevano rispetto neanche per i nostri morti.

Non sopportavo quello scempio e verso mezzogiorno tornai al cimitero, con una pala, diverse paia di guanti e degli stracci, da mettermi davanti alla bocca, per ridar pace a quelle povere anime.

Iniziai con il lavoro più osceno: ricomporre nelle bare quanti erano mezzi usciti fuori.

Cominciai cercando di fare più in fretta possibile e senza pensare assolutamente a quello che stavo facendo. Si rimise a piovere forte, ma non avevo intenzione di fermarmi, tuoni squarciavano quel macabro silenzio rombando forti nel cielo. Li consideravo quasi una benedizione. Erano uno dietro l’altro.

Sarà stato per causa loro, o della pioggia che grondandomi addosso mi rendeva difficile vedere,in tutti i casi, qualunque fosse stato il motivo, me ne resi conto soltanto quando fu tardi.

I morti erano usciti dalle loro tombe, e in piedi, con i vermi che cadevano dai loro corpi e dalle orbite vuote, mi circondavano. Avevano posture sbilenche, dondolavano, e nel loro movimento colava dagli arti un liquido verde-marrone. Vomitai, e questo peggiorò la situazione: l’odore acido me li attirò addosso come le api sul miele. Alcuni erano ai miei piedi a leccare quella pozza di cibo mal digerito, altri avevano iniziato a leccarmi le scarpe poi la maglietta, fino ad arrivare alla bocca, più salivano e più vomitavo. Non so quanti ne avessi addosso, ma caddi a terra sotto il loro impeto. La paura mi paralizzava e quando sentii i loro denti affondare nella carne, e la vita sciovolare via, vidi passare un aereo in cielo, che oltre alla solita scia chimica, trascinava dietro a se un messaggio: “Ora non potrai più dirlo a nessuno!”

nessuno

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