La creatura – Racconto edito di Sandra Pauletto

La creatura – Racconto edito di Sandra Paulettocreatura

Fergus correva via. Il cuore in gola, gli occhi annebbiati dalle lacrime, una fitta al fianco sinistro, ma continuava a correre.

Le gambe andavano senza bisogno di controllarle, veloci come mai avrebbe pensato. Più volte rischiò di perdere l’equilibrio sull’asfalto pieno di buche della periferia, ma cadere era un lusso che non poteva permettersi, la cosa gli sarebbe stata addosso in un attimo, ne era sicuro.

Il cuore gli pompava nel petto troppo velocemente, il respiro era troppo corto, e le gambe iniziavano a rallentare per quanto lui cercasse di accelerare ancora.

Alle sue spalle non sentiva nessun rumore, ma non osava girarsi.

Se doveva morire divorato dalla creatura voleva farlo colto di sorpresa, senza aggiungere all’orrore della morte, quello di rivederla.

Le gambe cedettero, il respiro per un attimo si fermò, il mondo si fece buio e lui cadde a terra.

Il sapore asprigno del sangue fu l’ultima cosa che sentì prima dell’oblio.

Quando riaprì gli occhi ricordava poco o troppo. L’immagine della creatura era viva nella sua testa al punto di farlo tremare, ma il resto era vuoto. Si sentiva debole, con una strana sensazione molliccia dentro la bocca, dove alcuni denti erano caduti.

Improvvisamente una luce si accese, spezzando di colpo l’oscurità.

Questo cambio repentino ed inaspettato di luminosità gli ferì gli occhi, al punto che si portò le mani al viso per proteggerli, trattenendo un gemito di dolore.

Ti sei svegliato finalmente” gracchiò una voce. L‘ uomo tolse le mani dal volto e socchiuse lentamente gli occhi. Un vecchio stava in piedi davanti a lui.

Dove sono ?” cercò di dire Fergus, ma ne uscì un suono strascicato e solo parzialmente comprensibile. Il vecchio si portò l’indice davanti alla bocca per invitarlo a stare in silenzio.

Ti ho trovato a terra e ti ho soccorso. Stai tranquillo qui sei al sicuro. ” Fergus cercò di mettersi in piedi ma il mondo prese a girare vorticosamente. L’uomo lo aiutò a stendersi.

Non è ancora il caso che ti alzi, ti servirà qualche giorno di riposo.” Il ragazzo sentì le parole in lontananza, chiuse gli occhi, la stanchezza ebbe il sopravvento e si addormentò.

Si svegliò di colpo urlando. Un dolore assurdo alla schiena bloccava il corpo, inarcato in maniera eccessiva. Il vecchio arrivò di corsa, non era credente, ma d’istinto si fece il segno della croce.

Fergus urlava e il suo viso sdentato era una maschera spaventosa.

Così com’era arrivato, il dolore sparì, ed egli si accasciò sul letto come un sacco vuoto.

Il respiro ancora corto e veloce si fece via via più profondo e regolare, mentre gocce di sudore gli scivolavano dalla fronte al collo.

Credo sia più grave del previsto ragazzo” disse il vecchio mentre con delicatezza spingeva l’uomo su un fianco. Gli sollevò la maglietta scoprendo la schiena. Una bolla putrescente gli occupava gran parte della pelle, ma con gran sorpresa, mentre l’osservava, si restrinse fino a sparire del tutto. L’uomo indietreggiò.

“Molto più grave del previsto, decisamente molto più grave” borbottò fra sé.

C’è qualcosa?” chiese Fergus preoccupato.

“Sì e no” rispose il vecchio. “Ora cerca di dormire perché temo che il dolore tornerà.”

Il ragazzo rimase solo. Non riusciva ad addormentarsi, ma a parte la paura si sentiva molto meglio.

Si alzò dal letto e mosse qualche passo non troppo incerto.

Aveva fame. Lo stomaco gli brontolava a gran voce.

Quando il vecchio tornò, si sorprese di vederlo in piedi. Fergus lo salutò semplicemente dicendo: “Ho fame”.

La frase gli uscì pulita dalla bocca nonostante neanche un’ ora prima non riuscisse quasi a parlare.

“Molto interessante” – affermò il vecchio – “Vedo che stai meglio, mi fa piacere, ma non credo sia ancora il caso che tu mangi.”

Fergus sentì una rabbia ingestibile salirgli alla testa, con un balzo di proporzioni esagerate fu addosso al vecchio e lo prese per il collo: “Ho fame” sibilò.

L’uomo per un attimo credette di venir ucciso, ma il ragazzo staccò le mani di colpo, le guardò terrorizzato e iniziò a piangere.

“Non volevo, non so che mi è preso” – disse Fergus tremando.

Il vecchio tossì mentre l’aria tornava a riempirgli i polmoni.

“Sei stato infettato” – gli rispose quando la tosse passò. “Perdonami, ma per il bene di tutti dovrò legarti alla sedia.”

Fergus annuì e docilmente si sedette lasciandosi legare.

Mentre le funi gli passavano attorno al corpo, tornò il dolore alla schiena. Fergus urlò, ma il vecchio sordo alle sue grida, strinse le corde ancora più forte.

Arrivò la notte.

Il ragazzo si era da poco addormentato quando una specie di ululato lo svegliò. Gli si gelò il sangue nelle vene rendendosi conto che quel verso era lui a farlo, contro la sua volontà. Il vecchio gli era vicino e capì dallo sguardo che era spaventato a morte.

Non vorresti gridare vero?” Chiese a voce sostenuta per sormontare l’ululato del ragazzo, egli fece cenno di no con la testa continuando ad ululare.

Tre ululati di fila corti e secchi, poi smetteva, prendeva fiato e ricominciava in modo identico.

Questi versi son particolari” pensava il vecchio tra sé “è come se…”

Sbiancò.

Mise di colpo la mano davanti alla bocca del ragazzo per tentare di farlo smettere, ma questo per tutta risposta gliela morse con i denti rimasti fino a farla sanguinare L’uomo, con quella libera, gli dava colpi in faccia per fagli mollare la presa, ma inutilmente. Vinto dal dolore il vecchio prese slancio e gli diede una testata. Il colpo fu così forte che la sedia si rovesciò ed entrambi finirono a terra. Fergus perse i sensi.

Almeno così stai zitto” disse il vecchio avvolgendosi la mano ferita in uno straccio. “Speriamo che la creatura non abbia sentito il tuo richiamo”.

La mano ferita inzuppò presto la fasciatura d’emergenza.

Le tempie gli pulsavano, non avrebbe saputo dire se gli faceva più male la testa o la mano. Si diresse verso il freezer per metterci del ghiaccio, ma quando appoggiò gli occhi sugli hamburger surgelati, li prese, e ancora nella plastica, iniziò a morderli e succhiarli con bramosia.

Si rendeva solo parzialmente conto di quanto stesse facendo, sapeva solo che aveva fame.

Mentre era intento a sbranare tutto quello che trovava, dall’altra stanza tornò forte l’ululato. Tre versi forti e brevi, pausa, e poi ancora. Il vecchio con la bocca piena di cibo sbarrò gli occhi, ma con sua grande sorpresa per quanto corse nella stanza di Fergus per cercare di farlo smettere, iniziò ad ululare pure lui. Si tolse rapidamente la benda dalla mano. Una bolla putrescente gli copriva il palmo, ma pure questa come quella che c’era sulla schiena del ragazzo, iniziò subito a scomparire.

Il vecchio cercò di restare lucido prese del nastro isolante e se lo passò attorno alla bocca per tentare di bloccare il suono, e lo stesso fece con il ragazzo dopo averlo rimesso in sesto sulla sedia che stava ancora a terra. Spostò con la forza della disperazione un mobile, lo trascinò davanti alla porta. Chiuse le imposte cercando di legarle con quello che trovava in casa. Ora gli ululati per quanto continuassero ad intermittenza erano attutiti dal bavaglio occasionale. Per un po’ ci fu silenzio, un silenzio inquietante ed assoluto. Fergus sembrava addormentato e anche lui si sentiva pervaso da una strana apatia. Lottò contro quella sensazione continuando a metter delle barricate, finché cedette addormentandosi sul pavimento.

Riaprì gli occhi dopo un tempo che non sapeva quantificare, e trovò il ragazzo in piedi. Un braccio privo di una mano gli penzolava lungo il fianco. Il moncone a terra accanto alla sedia. La corda intrisa di sangue e brandelli di pelle penzolava sullo schienale di legno.

Tracce di sangue segnavano ogni suo spostamento. Vedendo quel orrore il vecchio ebbe un conato di vomito, ma avendo la bocca incerottata fu costretto a deglutirlo.

Il ragazzo, lo sguardo perso camminava avanti e indietro senza accorgersi del vecchio, ne del suo braccio monco.

C’era silenzio dentro e fuori dalla casa.

Fergus?” provò ad interagire l’uomo, ma il tentativo andò a vuoto.

Il ragazzo iniziò a strofinare la schiena contro lo stipite della porta. Sempre con maggior foga, finché preso dalla smania con la sola mano rimasta e mille difficoltà, si tolse la maglietta. Sulla schiena la bolla putrescente si era allargata. Pulsava. Spariva e riappariva a piacimento.

Il vecchio iniziò ad accarezzare l’idea di scappare, forse se si fosse fatto visitare da un medico avrebbero potuto fermare l’infezione da cui, ormai ne era sicuro, anche lui era stato contagiato.

Stava per iniziare a spostare i mobili a protezione della porta, quando sentì in lontananza un ululato, se così si poteva chiamarlo. Un verso agghiacciante, inumano e innaturale. Fergus iniziò a sbavare e a saltare, ululando a sua volta. Anche al vecchio stava salendo alla gola il richiamo, ma la bocca ancora incerottata lo rendeva flebile.

Un verso dall’esterno si faceva man mano più vicino. La velocità con la quale li stava raggiungendo era sbalorditiva, sembrava una sirena che correva all’impazzata.

Sempre più forte, sempre più vicina.

Il vecchio iniziò ad ululare contro la sua volontà. Il suono gli trapanava la testa. Si portò le mani alle orecchie per cercare di proteggerle dal frastuono, ma inutilmente. Quel verso che anche lui emetteva lo sentiva vibrare dentro di sé.

Fergus si diresse con convinzione verso il mobile che era stato trascinato lì dal vecchio con tanta fatica, e lo spostò con una mano come fosse di cartone.

Poi si diresse verso le finestre per togliere anche da lì quanto rendeva difficile l’accesso alla casa.

Il vecchio lottava contro la voglia di unirsi a Fergus, sapeva che, se la creatura fosse entrata, sarebbe stata la fine. Corse in cucina, prese al volo un coltellaccio nascondendolo dietro la schiena e si diresse verso Fergus che girato era intento a sciogliere con la mano e con i denti i nodi delle funi che bloccavano la finestra.

La ferita sulla schiena del ragazzo pulsava. Una bolla si stava gonfiando a vista d’occhio. Il vecchio in una frazione di secondo decise che lì avrebbe affondato il coltello. Quando arrivò abbastanza vicino al ragazzo, sollevò l’arma all’altezza del viso per affondare con maggior forza possibile.

Stava per colpirlo quando si sentì soffocare. Mollò il coltello e si portò d’istinto le mani alla gola, dove il moncone di Fergus, stringendo forte, gli impediva di respirare.

Quel pezzo di carne che avrebbe dovuto esser privo di vita aveva una forza sovraumana. Mentre il vecchio caduto a terra lottava per sopravvivere, cercando di liberarsi da quelle dita che gli serravano la gola, uno schianto fece fermare le azioni di tutti.

La porta d’entrata giaceva a terra spezzata come un fuscello in balìa del vento. Un odore marcio e putrescente invase la casa. Il vecchio, da terra, inizialmente sentì le viscere rivoltarsi a quel fetore, ma dopo poco quella sensazione passò e l’ odore divenne tutt’altro che spiacevole, quasi un profumo, buono, famigliare di cose antiche, ancestrali forse.

Respirò a pieni polmoni. Fergus, come in estasi, con un sorriso sdentato sul volto si diresse verso la porta per uscire, ma prima di farlo si girò verso il vecchio facendogli cenno di alzarsi per raggiungerlo. Il vecchio sentiva dentro di sé una pace estatica, e desiderava con tutto se stesso unirsi a quello che sapeva esserci fuori dalla porta anche se non riusciva ancora a vederlo. Fece forza sulle braccia ma la lotta precedente gli aveva esaurito le forze, e vista anche la sua età non riusciva ad alzarsi. Probabilmente nella colluttazione si doveva esser rotto qualcosa.

Si sentì invadere da una disperazione profonda, un’ angoscia che non provava dalla morte dei suoi genitori e si mise a piangere come un bambino al primo giorno d’asilo.

Mentre le lacrime gli annebbiavano la vista si sentì afferrare per una mano, quella ferita. Strinse i denti temendo di provare dolore forte, ma contro ogni aspettativa il contatto fu invece benefico. Il forte pulsare che aveva provato da quando era stato morso sparì di colpo, e aiutato riuscì a rimettersi in piedi. Fergus sorrise e uscì seguito dal vecchio che avanzava lentamente dando la mano al moncone del ragazzo che, come fosse un uomo intero, lo sosteneva aiutandolo.

Fuori c’era la Creatura. Enorme. Un ammasso di corpi brulicanti le davano una parvenza antropomorfa. Gli occhi gialli e tondi uguali a quelli di un lupo spiccavano come fanali in quell’agglomerato di corpi. Un buco nero e profondo al centro di quella che doveva essere la testa si dispose a formare un sorriso.

Il vecchio e il ragazzo camminarono senza fermarsi fino a raggiungere la Creatura e a fondersi con essa, andando ad unirsi agli altri corpi.

La Creatura fece un ululato lunghissimo, al quale rispose ogni singolo uomo da cui era formata. Se ne andò veloce com’era venuta tornando a nascondersi nella cantina di una vecchia casa abbandonata, dove Fergus era andato a curiosare risvegliandola dal suo sonno.

Ora sarebbe tornata a dormire, fino a quando il prossimo curioso non l’avrebbe risvegliata assieme alla sua fame.

La creatura è un racconto contenuto nell’antologia “I mostri non mangiano seitan” edito da Sensoinverso edizioni

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