INTERVISTA A GABRIELE BARBATI – HO IMMENSAMENTE VOLUTO – FUNAMBOLO EDIZIONI

INTERVISTA A GABRIELE BARBATI – HO IMMENSAMENTE VOLUTO – FUNAMBOLO EDIZIONI

Gabriele Barbati

Abbiamo da poco recensito il romanzo “Ho immensamente voluto” di Gabriele Barbati, edito dalla Funambolo Edizioni e abbiamo la possibilità di scambiare con l’autore quattro chiacchiere.

 

  • Ciao Gabriele, benvenuto sulle pagine de I Gufi Narranti, possiamo darci del tu? D’altra parte vengo da tre anni negli Stati Uniti e ora sono a Roma, due posti dove si usa sempre e solo il “tu”!

 

  • Innanzitutto essendo il tuo romanzo tratto da una storia vera, come ne sei venuto a conoscenza? Ho vissuto in Cina cinque anni e mezzo. Andiamo a ritroso con i miei traslochi: Roma, Washington, Gerusalemme e, il primo e più avventuroso, Pechino. Lì nel 2006, appena arrivato praticamente, ho conosciuto la protagonista del libro, Zeng Jinyan. Fu per un’intervista, la prima di tante a lei e a Hu Jia. Già allora erano due voci critiche del governo. Iniziai a seguire i loro blog, dove raccontavano sia le vicende pubbliche sia quelle private, e poi i loro profili social. Con Zeng, più tardi, ho cominciato le conversazioni per approfondire la sua vita, tante in dieci anni, anche dopo che ho lasciato la Cina.

 

  • Perché hai deciso di farne un libro? Sai all’epoca, in Italia, la Cina veniva descritta in pochi tratti: merci a basso costo, lavoratori sfruttati, scandali di contraffazione, censura dei giornali e di Internet, arresti degli oppositori. Una volta arrivato a Pechino, invece, si percepiva il fermento di un paese che con le Olimpiadi del 2008 si preparava a celebrare il benessere raggiunto in trent’anni di capitalismo. Soprattutto, c’era un’intera società che si rivelava. Che cosa pensavano gli impiegati che affollavano il mio autobus ogni mattina? Davvero ignoravano il prezzo che il Partito stava imponendo a individui, famiglie e interi villaggi in nome del progresso? E che ne era di quanti chiedevano maggiori libertà e diritti oltre al miracolo economico? L’incontro con Zeng Jinyan mi dava l’occasione di andare a fondo. Ero di fronte a una donna che la pensava diversamente dalla linea ufficiale, che provava a cambiare la realtà e che ne parlava apertamente su un blog e sui social media. Allora ho pensato che, attraverso la sua storia, la Cina potesse diventare per gli Italiani qualcosa in più di un titolo di giornale, un posto di persone in carne e ossa, con le sue sfumature culturali e le sue profonde contraddizioni, tanto più se presentata sotto forma di romanzo.

 

 

  • Ci sono cose che hai preferito non riportare nel tuo libro rispetto alla storia realmente accaduta? Il materiale da cui sono partito, come detto, è autobiografico, raccolto dalle parole della protagonista o dai suoi scritti. Certo, immagino che Zeng Jinyan abbia tenuto per sé qualcosa della propria intimità e che abbia anche cercato di dimenticare qualcosa della sofferenza vissuta. Io, vuoi per la mia formazione, ho lasciato tutto lo spazio che ho potuto alla verità. E forse sì, nell’ultimo capitolo accenno a un fatto profondo della vita della protagonista, che lei mi rivelò tra le lacrime un pomeriggio a Hong Kong e su cui però non è mai più voluta tornare nelle nostre conversazioni successive.

 

  • Non temi ritorsioni per il tuo romanzo? La mia preoccupazione è sempre per chi è sul campo, non per me scrittore o giornalista straniero che oggi ti parla da Roma. Credo che Zeng Jinyan, come evidente nel romanzo, abbia già pagato dazio con il governo cinese. Quanto a Hu Jia rimane un nemico pubblico, per tutte le dichiarazioni e le critiche contro il Partito comunista cinese che ha continuato a pubblicare in questi anni. Permettimi di rivolgere un pensiero proprio ai tanti cinesi – giornalisti, blogger e scrittori, cittadini coscienziosi, medici – che hanno tentato di raccontare quest’anno la verità sul Covid19 e sull’inizio della pandemia salvo finire quasi tutti arrestati o messi in un modo o nell’altro sotto silenzio.

 

  • Credi che internet in Cina possa in qualche modo aiutare la divulgazione di notizie o è solo utopia? Guarda la Cina ha portato all’estrema conseguenza la situazione di dieci anni fa. Allora, l’avanguardia di persone che compare nel romanzo – attivisti, avvocati, critici, dissidenti se vogliamo chiamarli cosi – poteva ancora aggirare i controlli della polizia e la censura di Internet e ottenere dei risultati, seppure con enormi sacrifici personali. Oggi invece il sistema autoritario cinese si avvale di migliaia di telecamere per le strade, di tecnologia avanzata sul riconoscimento facciale, della geolocalizzazione dei cellulari connessi a Internet e a apps onnipresenti come WeChat. Le autorità hanno usato questi strumenti per individuare ogni singolo caso sospetto di COVID su un territorio vastissimo e con oltre un miliardo di abitanti. Ma anche per identificare chi dice, fa o scrive qualcosa di sgradito al governo. Sono strumenti efficacissimi per un controllo di massa. I social media in Cina, peraltro, non sono i Facebook, Twitter o Instragram che abbiamo noi, ma piattaforme tutte cinesi che praticano una censura rigorosa a monte sui contenuti pubblicati dagli utenti.

 

  • Credi che in Cina ci siano tante persone caparbie e determinate come la protagonista del romanzo? Purtroppo, la generazione raccontata nel romanzo è stata spazzata via, tra chi è in carcere, chi è scappato all’estero e chi è morto. Ma in Cina le persone non hanno smesso di amare, di soffrire o di sognare un futuro diverso. Vedi, il patto imposto dal Partito comunista cinese alla popolazione è chiaro: io ti dò benessere economico e sicurezza, specialmente quando si tratta di salute pubblica come in questi mesi, e in cambio tu rinunci ad alcune libertà, in primo luogo quella di espressione e di scelta dei leader politici. Ora che accade però a chi non vuole starci? Per esempio agli abitanti di Hong Kong che protestano per le leggi illiberali varate da Pechino o alla minoranza della provincia dello Xinjiang a cui viene negata la propria identità linguistica e culturale? O a chi ha subito torti da parte di funzionari del Partito e vuole giustizia oppure a chi, come i protagonisti del romanzo, vuole migliorare li proprio paese, non solo in termini economici ma anche di diritti individuali? Vengono sottomessi, piegati, annullati, ecco quello che accade. Ancora l’anno scorso, almeno una decina di persone è stata messa in carcere o ai domiciliari per sovversione. Sono giovanissimi studenti impegnati per la parità di genere, attivisti per i diritti dei lavoratori, professori universitari che proponevano riforme e cittadini che denunciavano ingiustizie.
  • Visto che è la prima volta che ci incontriamo vuoi parlarci di qualche tuo progetto passato o futuro? Il mio libro precedente (un ebook, Trappola Gaza. Nel fuoco incrociato tra Israele e Palestina) raccontava i miei giorni di guerra nella Striscia di Gaza nel 2014 e l’esperienza degli anni da giornalista a Gerusalemme in cui ho cercato di raccontare rimanendo nel mezzo, in modo laico se mi permetti il termine, il conflitto tra Israeliani e Palestinesi. Ora vivo in Italia e il mio prossimo progetto, sempre al confine tra documentazione della realtà e scrittura narrativa, riguarderà con tutta probabilità il nostro Paese.

 

Ringraziamo Gabriele Barbati per il suo romanzo “Ho immensamente voluto” e per la sua disponibilità augurandoci di rivederlo presto sulle pagine de I Gufi Narranti.

Sandra Pauletto

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.