Metallica – Master Of Puppets – Sofferto, intenso ed emozionante.

Metallica – Master Of Puppets

Anno: 1986

Paese di provenienza: USA

Genere: thrash metal

Membri: James Hetfield – chitarra e voce; Kirk Hammett – chitarra; Cliff Burton – basso e voce; Lars Ulrich – batteria

  1. Battery
  2. Master Of Puppets
  3. The Thing That Should Not Be
  4. Welcome Home (Sanitarium)
  5. Disposable Heroes
  6. Leper Messiah
  7. Orion
  8. Damage Inc.

Casa discografica: Elektra Records

1986. Nel pieno degli anni ’80 il thrash metal diventa un fenomeno certificato. I suoi esponenti americani attirano l’attenzione delle case discografiche che si preparano a lanciarli come rivali del radiofonico hair metal. Alcuni dei fenomeni esplosi in questa annata manterranno le promesse (Slayer, Megadeth e Metallica navigano ancora oggi nei soldoni), altri rimarranno fieramente nell’immaginario collettivo (Kreator, Destruction, Dark Angel ecc..), altri finiranno nel dimenticatoio ai più ma comporranno la sterminata pletora dell’ascoltatore più fine ed appassionato (Necronomicon, Sentinel Beast, Dètente ecc..).

Se il metal più veloce e violento germina in contrapposte aree geografiche, è certo che i punti di riferimento più significativi rimangono gli Stati Uniti e la Germania che portano avanti, sia in termini di qualità che di quantità, le compagini più significative. In America, in particolare sulla costa ovest, i Metallica sembrano i padri assoluti del genere. Intuiscono per primi, guadagnano il consenso di un pubblico sempre più vasto e sembrano possedere una capacità interpretativa del genere più fruibile ed appetibile degli altri. Il 1986 è un anno importante della loro carriera perchè li vede consegnare uno dei loro dischi più amati in assoluto. Un capolavoro difficilmente eguagliato ed eguagliabile: Master Of Puppets.

Una chitarra tetra e malinconica che si eleva in termini di decibel in un’esplosione melodica ma irruenta allo stesso tempo. L’inizio di Battery è la rappresentazione sonora di ciò che erano i Metallica in quel momento. Un gruppo di metal aggressivo che non vuole rinunciare alla classe e al buon gusto. Tra le scorribande inarrestabili di questo pezzo si ha modo di percepirlo nuovamente, quando la chitarra si stoppa lasciandoci ad una dissolvenza stratificata quasi poetica e di grande espressività. Lo stesso momento in cui Hammett decide di ripartire con un assolo preciso, chiaro e di fattura semplicemente inappuntabile. A posteriori la traccia d’apertura per antonomasia. Ai tempi un esempio da seguire per imparare a suonare veloce e bene. La sorella più matura di Fight Fire With Fire. Allo stesso modo si può dire che la seguente Master Of Puppets ci convince di un percorso maniacale e metodico del gruppo, che segue tappe precise nella scaletta dei propri dischi. La traccia che nomina il disco, come Ride The Lightning, è lunga, mai troppo veloce, ma attentamente composta. Quasi 9 minuti di un’epopea che parla di droga e dei suoi effetti su chi la usa, ridotti a marionette sotto il comando appunto di un burattinaio. Ciò che non fa’ la batteria, che in maniera molto modesta scandisce un mezzo tempo prevedibile ma di comprovata efficacia, lo fa’ la chitarra, grattando a più non posso le corde comprimendo il suono fino all’ultra velocità. A metà il cambiamento di ritmo tra assoli celestialmente melodici, riff granitici e pesanti come macigni e altri assoli passati alla storia. Una manna per le teste dei metallari di tutto il mondo che si agitano e si preparano a correre nel mosh pit per scontrarsi contro il primo che capita. Un caposaldo stentoreo, solido ed impossibile da abbattere come le croci di marmo sulla copertina, bianche ed austere. Per quanto The Thing That Should Not Be sia un brano notevolmente più cupo e minimale, è un logico proseguimento in termini di tono perchè conserva la stessa fisicità e il medesimo clima oppressivo e malato. Ora l’attenzione del gruppo si sposta sulla letteratura dell’orrore di Lovecraft. The Thing That Should Not Be è un’immersione profonda nell’abisso di Chtulhu in cui le chitarre drammatiche e gravi dominano accompagnando il cantato chiaro e indimenticabile di Hetfield, favorito dal ritmo lento ed oppressivo. Un viaggo spettrale di grande effetto, dove gli assoli sembrano urlare in un’oscurità perenne, che rivendica la discendenza da quella Black Sabbath incisa nel 1970 da un gruppo piuttosto conosciuto. Un amore per i classici che rimane scritto nel DNA dei Metallica anche nella successiva Welcome Home (Sanitarium), introdotta da un arpeggio dal chiaro sapore settantiano, e quindi scritto per forza di cose da gente cresciuta con Pink Flyd, Nazareth e compagnia bella. Un crescendo armonico e sofferto che prende un fascino quasi radiofonico, che risentiremo qualche anno più tardi da gruppi più mansueti e ruffiani come gli Skid Row, pur senza questo alone di negatività che caratterizza Master Of Puppets e lo rende unico. Semi ballata speculare di Fade To Black, con una fase iniziale più tranquilla ma maggiormente elaborata e un finale cavalcato ed emozionante affidato alle linee chitarristiche fantastiche di Hammett. Quando sembrava che ormai del thrash metal non ci fosse più traccia, momentaneamente ammansito per un approccio più tradizionalmente hard rock, ecco esplodere la miglior composizione a memoria di metallaro di Master Of Puppets: Disposable Heroes. I Metallica tornano su di un minutaggio mastodontico con un’armata flagellante e carica di riff grattati e minacciosi che incorniciano un racconto bellico che, come War Pigs dei Black Sabbath, condanna la guerra per la sua brutalità e spiega senza giri di parole cosa fanno i militari: “I was born for dying”. In Disposable Heroes il tasso tecnico e l’abilità compositiva sono di alto livello, oltre alla capacità di immaginare un brano così tortuoso ed ispirato che lo rendono forse l’episodio più pesante, massiccio e necessario dell’album. Da brividi gli assoli così come l’insistito finale.

Più grezza e snella Leper Messiah è maligna come una siringa caricata dal germe virale del thrash. Come nessun altro brano di Master Of Puppets questo rappresenta la malattia fatta a musica grazie alle sue note acide e negative. Il gruppo non lascia nulla al caso e si preoccupa giustamente di infarcire, dove possibile, la composizione con cambi di ritmo e assoli assassini tenendo sempre un tono piuttosto grave. Non una canzone straordinaria ma che sa intimorire e rendere bene l’idea della critica effettuata nei confronti dei tele – predicatori. Se nel disco precedente il quartetto californiano aveva impressionato con la superba stranezza di The Call Of Chtulhu, questa volta colpisce con la strumentale Orion.

In questo caso stilisticamente l’approccio è più chiaro, alternandosi tra blues, rock e metal, ma anche qui la fattura è di un livello che i gruppi metal ai tempi non conoscevano ancora. I nostri passano con facilità irrisoria ed intelligenza smisurata dal metal, con i suoi riff nichilisti e gravi, ad un rock spaziale che torna a farsi metal con chitarre serrate per poi lasciarsi andare ad un languido blues che diventa quasi sinfonico. Una suite in bilico tra due mondi, sorretta da una classe musicale impareggiabile, che rappresenta il sogno. Maturità, complessità, ispirazione. In Orion c’è tutto. I nostri pensieri sembrano ancora persi nell’etere galattico quando il basso distorto e bizzarro di Burton introduce Damage Inc. Il ricordo che vogliono lasciare i Metallica questa volta però non sarà poetico ma aggressivo, come successe tre anni prima con Metal Militia. La conclusione di Master Of Puppets è violenta, intransigente e nella sua efficacia e crudezza un piccolo gioiello. Un martirio che ricorda le radici hardcore del gruppo e il crossover quadrato dei Broken Bones. Con un rapido rintocco di tom si chiude uno dei viaggi più belli della storia del metal. Dopo aver toccato un apice del genere, cosa faranno i Metallica?

Voto: 10

Zanini Marco

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