Quella che vedete è la copertina di un libro da cui è impossibile staccarsi. Uno psico thriller che non teme il confronto con nessun autore straniero da milioni di copie vendute.
I gufi narranti hanno il piacere di intervistarne l’autore: Stefano Bonazzi, classe 1983, già presente in libreria in alcune antologie, e dal 22 ottobre anche nell’antologia Fucsia assieme ad altri autori. (Trovate l’immagine a fine intervista)
D – Intanto ti ringraziamo per la tua disponibilità e partiamo con la prima domanda praticamente obbligatoria: qual è il tuo rapporto con i Lego?
R – Sono cresciuto con quei mattoncini colorati. Non era un semplice passatempo, erano una porta sull’infinito. Potevi creare qualsiasi cosa con quei blocchi. Io ne possedevo una cesta enorme, più grande di me, a ogni compleanno o festività volevo che mi regalassero solo quelli, alla fine mi ritrovai ad averne talmente tanti e di ogni tipo che poi le combinazioni di cose costruibili diventavano pressoché illimitate. Giocare con i Lego all’epoca era come una palestra per la mente, penso che la maggior parte della creatività e dell’immaginazione che oggi mi porto dietro la debba a loro, poi arrivarono Photoshop, le reflex, i tablet, ma questa è tutta un’altra storia.
D – La figura del nonno evoca a tutti solitamente un senso di protezione, per questo l’hai scelto come protagonista?
R – Certo. Invertire i ruoli tipici di una figura famigliare crea nel lettore un senso di spaesamento e inquietudine. Era quello che volevo. Quando descrivi realtà difficili o borderline devi ribaltare i ruoli, creare un terreno arido e ostico per i personaggi, spesso giocando anche sull’inversione di ruoli che in genere diamo per scontati. Non penso sia la regola, ma a me piace fare così e spero di esserci riuscito anche in A bocca chiusa.
D – Perché tutte le donne nel romanzo hanno un ruolo di vittime?
R- Non è una presa di posizione maschilista e non intendevo certo lanciare nessun messaggio sociologico o di denuncia, semplicemente volevo che la storia si concentrasse sul rapporto tra nonno e nipote, quindi tutti gli altri personaggi dovevano restare in secondo piano. In questo caso si è quindi trattato di una semplice esigenza pratica di narrazione.
D – Il libro è esattamente come l’avevi pensato all’inizio o hai cambiato progetto in corso d’opera?
R – In gran parte è rimasto invariato. Ho avuto la fortuna di lavorare con un editor davvero in gamba che ha capito e rispettato il cuore del manoscritto: A bocca chiusa nasceva come un diario di un disagio e penso che il cuore del libro sia rimasto pressoché invariato. Io non sono un giallista e quindi la parte thriller/investigativa è ridotta al minimo, mentre la seconda parte della storia ha mantenuto tutti gli elementi “visionari e stranianti” a cui tenevo molto ma che forse un altro editor avrebbe censurato per esigenze commerciali.
D – Considerando alcune parti del tuo romanzo, mi chiedo se la tua stagione preferita non sia l’inverno…
R – Adoro l’inverno, infatti la mia città preferita è Londra che ti permette di indossare maglioncini anche in agosto! In realtà però il libro è diviso in due parti nette: la prima è calata in una torrida estate, umida e afosa. Mi serviva questo clima ostile perché è proprio in situazioni di stress fisico che spesso si compiono le azioni peggiori. Mentre la seconda è ambientata durante un tipico inverno settentrionale dove brina e nebbia regnano sui palazzi e le persone cristallizzandole in un letargo dei sensi che mi sembrava perfetto per concludere la storia.
D – Il silenzio è una presenza costante nel tuo libro; sei una persona solitaria?
R – Molto. Adoro stare lunghi periodi in completo isolamento, adoro la musica minimale, i suoni bassi, le vibrazioni appena percettibili, le compagnie di amici ridotte a pochi elementi. Non soffro la solitudine, anzi spesso mi ci trovo a mio agio.
Ringraziamo Stefano Bonazzi ancora una volta per la sua disponibilità e invitiamo tutti a leggere il libro A bocca chiusa, vi farà restare….a bocca aperta 😉