Speranza racconto di Sandra Pauletto

Speranza

Era una sera come tante altre, e come tante altre volte Francesca stava alla finestra della sua camera e guardava fuori.

La luna splendeva nel cielo dando ai tetti quell’aspetto che li rendeva speciali.

Stava quasi rientrando per coricarsi, quando le parve di vedere, dietro le tapparelle abbassate della casa di fronte, uno spiraglio di luce.

Non ci sarebbe stato nulla di strano se l’appartamento non fosse stato da tempo disabitato.

Quella luce vera o immaginaria che fosse, mise nel cuore di Francesca una gioia immensa.

Quante volte aveva sperato che una mattina affacciandosi avrebbe trovato le tapparelle di quella finestra alzate!

La rattristava ancora il ricordo del giorno in cui Lucia, la sua migliore amica, aveva dovuto cambiare paese per seguire il marito, costretto a trasferte continue per lavoro; certamente non sarebbe stata lei a riprendere il suo appartamento, ma l’idea che qualcuno andasse ad abitarlo la rincuorava.

Continuò per un po’ a fissare quella finestra tendendo l’orecchio nel silenzio, per cercare di capire se lì ci fosse qualcuno, ma senza alcun risultato:

“Sarà stato un riflesso” si disse.

Distesa sul suo letto faticava ad addormentarsi. Aveva la testa piena di ricordi che pur sforzandosi non riusciva ad allontanare.

Fissando il soffitto, davanti ai suoi occhi ritrovò le stanze di quella casa in cui aveva passato parecchie giornate assieme alla sua amica, ricordava con piacere il giorno in cui si erano messe in testa di fare una pizza… che disastro… .Nessuna delle due aveva la più pallida idea di come si facesse… “Non ci vorrà mica tanto” era convinta Lucia con un grosso libro di ricette sotto il braccio “seguiamo le istruzioni e il gioco è fatto!” Magari!

Non riuscivano neanche a leggere per le risate… La farina volava da tutte le parti, e la faccia disgustata di Francesca, che mescolava l’impasto appiccicoso, faceva sghignazzare Lucia che ormai avrebbe riso per qualunque cosa.

Il risultato non fu deludente come previsto, ma da quel giorno decisero che la pizza si comprava già pronta perché nel prepararla, avevano fatto un vero disastro visto che il pavimento sembrava bianco per la tanta farina caduta a terra… e come si scivolava… era peggio del talco! E poi quanto ci avevano messo per pulire tutto? Francesca ricordava benissimo di come passando con la scopa faceva tornar brillante il pavimento della cucina dalle curiose piastrelle rosa acceso. Quanto aveva preso in giro Lucia per quella scelta così bizzarra:

“Solo tu”, le diceva, “potevi decidere di scegliere un pavimento di questo colore!”

Lucia ne andava orgogliosa:

“Che c’è di male, è il mio colore preferito! La cucina è la stanza della casa dove passo la maggior parte del mio tempo, e poi”, diceva ridendo, “è in perfetta armonia con le mie ciabatte…vedi come s’intonano?” affermava muovendo alternativamente i piedi in aria e ridendo di gusto.

Francesca sorrideva nel buio con una punta di tristezza.

Chissà se chi fosse arrivato in quella casa avrebbe lasciato il pavimento di quel colore…

Probabilmente no, nessun altro avrebbe tenuto un pavimento rosa in cucina, a meno che non calzasse le stesse ciabatte che aveva Lucia, certo allora non avrebbe potuto non notare come le due cose si abbinassero perfettamente!

Lucia amava il rosa, era quasi un’ossessione. Tutto quello che poteva lo comprava di quel colore. Da quando Francesca la conosceva non era passato giorno che non le avesse visto indossare almeno un indumento di quella tinta. Anche Francesca aveva un suo colore preferito ma non aveva mai pensato di tingerne tutto il suo mondo.

Un pomeriggio, parlando del più e del meno, le chiese a bruciapelo:

“Ma come mai tutto questo amore per il rosa? Ci sono anche altri colori, non mi dirai che la chioma di quest’albero non ha un colore molto più appagante del tuo maglione?

Lucia guardò in alto, le sorrise ma non disse nulla. “Oppure”, insistette Francesca “ vedi questo cielo così profondamente azzurro, non puoi dirmi che non lo trovi meraviglioso da guardare!”

Lucia sospirò:

“Non puoi capire”, le disse soltanto, “quale significato abbia per me questo colore”.

Francesca rimase in silenzio sperando che continuasse e infatti:

“Hai ragione, quando dici che questo cielo azzurro è stupendo, e che il colore degli alberi, con il riflesso del sole, non può essere paragonato alla bellezza di nient’altro. Ma quando ero bambina, mia madre, mi ha sempre vestito di rosa. Quel colore lo adorava, rappresentava per lei la femminilità, la maternità, il cielo al tramonto, la delicatezza dei fiori del pesco, insomma quanto ci sia di più bello al mondo. E’ il colore della mia infanzia, e per me ha sempre rappresentato l’incanto della giovinezza, la spensieratezza che avevo da ragazzina, il sorriso di mia madre. Mi tiene ancorata ad un tempo in cui i sogni erano sogni e si credeva di poterli realizzare, il futuro era speranza e progetti per il domani”.

Lucia abbassò per un attimo lo sguardo e lo tenne basso, smise di parlare per alcuni minuti, intanto Francesca alternava un sentimento di vergogna e di tristezza. Non avrebbe mai dovuto farle quella domanda, non aveva mai visto la sua amica con quello stato d’animo, di solito era sempre così solare e ora non sapeva assolutamente come comportarsi.

“Ma non lasciamoci rovinare la giornata da questi pensieri” disse finalmente Lucia prendendo Francesca e trascinandola letteralmente in una gelateria.

Così nel suo letto Francesca, lasciandosi cullare dai ricordi, passò dalla veglia al sonno senza neanche accorgersene.

Nel portone a casa di Lucia, c’era ancora quell’odore di cantina e di muffa tipico delle vecchie case, il corrimano era coperto di polvere ma era lo stesso di un tempo, e Francesca lo accarezzò come se di trattasse di qualcosa di prezioso.

Salì lentamente le scale, una dopo l’altra, guardando ogni tanto verso l’alto per vedere quanti piani mancassero per arrivare a destinazione.

Finalmente raggiunse l’ultimo piano, aveva il respiro affannato, un po’ per la fatica un po’ per l’emozione… quanto tempo era che non metteva piede lì?

Quando giunse davanti alla porta di quella che un tempo era stata la casa di Lucia, si sentì un’ idiota: e ora? Che avrebbe fatto? Sulla vecchia porta in legno chiaro spiccavano al centro due forellini, tracce indelebili dell’assenza della targa con il cognome dell’amica, quei due fori come due occhi la guardavano con tristezza.

Francesca respirò l’aria a pieni polmoni, quell’odore che la riportava indietro nel tempo le faceva bene.

Rimase in silenzio e ferma davanti a quella porta, indecisa sul da farsi, niente faceva pensare che nell’appartamento ci fosse qualcuno, quindi con un sospiro ritornò sui propri passi.

Mentre scendeva le scale incrociò una donna carica di pacchi della spesa che andava nella direzione opposta.

Francesca la salutò per educazione, questa rispose con tono sofferto per la fatica, le braccia piene di sacchetti con pane, frutta e roba varia, riusciva a malapena a vedere dove stava mettendo i piedi. Le due donne si trovavano circa al terzo piano, quindi esattamente a metà edificio che ne contava in tutto sei.

Lucia vedendo la donna in difficoltà pensò di aiutarla:

“Posso darti una mano?” provò a chiederle.

“Magari!” rispose la donna.

Il passaggio da una mano all’altra fu un po’ impacciato, tanto era ingombra di pacchi la donna, ma dopo qualche secondo erano riuscite a dividerseli più o meno equamente: a Francesca era toccato il pacco forse meno pesante ma più voluminoso, e ora era lei a non vedere davanti al suo naso.

I gradini scorrevano sotto i suoi piedi uno dopo l’altro.

“Sei stata molto gentile” le disse la donna mentre si fermò per prendere le chiavi e aprire la porta di casa, “vieni dentro che ti offro un caffè”.

“Non disturbarti” si affrettò a dire, ma ormai la porta era aperta e a Francesca non rimase che seguire la sconosciuta.

All’interno c’era un buon profumo di mughetto e l’ambiente era tiepido

“Scusa il disordine” si giustificò la padrona di casa.

Francesca rimase sola nel corridoio mentre la ragazza con un rapido “scusa un secondo” spariva dietro ad una porta.

Francesca era timida e si sentiva a disagio a casa di una persona che non conosceva, non prestava attenzione alle sue parole, voleva solo depositare quell’ingombrante sacchetto e tornarsene a casa.

Chissà se c’erano novità nella casa di Lucia, se qualcuno aveva aperto le tapparelle, o se quella specie di luce era stata solo il frutto della sua immaginazione.

Avrebbe potuto chiederlo alla donna, sembrava disponibile, e poi le doveva un favore visto che non era ancora riuscita a posare il pacco sul tavolo.

Venne distolta dai suoi pensieri dalla voce proveniente da una stanza:

“Vieni appoggia pure qui”.

Francesca entrò nella stanza da dove arrivava la voce e appoggiò finalmente il pacco sul tavolo.

“Mi chiamo Simona” disse la donna tendendole la mano.

Francesca si presentò, la ragazza aveva una faccia simpatica, portava un paio d’occhiali rotondi e i capelli raccolti sulla testa, doveva avere circa la sua stessa età.

“Siedi” la invitò, “metto su un caffè, sarà pronto in un attimo”.

Francesca si sedette, fuori dalla finestra il paesaggio le era famigliare… in fondo la casa era la stessa, e qualche piano di differenza rispetto alla vecchia abitazione di Lucia neanche si notava.

Il soggiorno dove stavano era un po’ scarno ma essenziale, l’ampio tavolo in legno era l’unica cosa che riempiva veramente la stanza, era privo di tovaglia e come centrotavola aveva il pacco che aveva deposto prima lei stessa.

Simona andava avanti e indietro per apparecchiare alla meno peggio con dei tovagliolini, le tazzine da caffè e lo stretto necessario preso fuori da degli scatoloni sistemati vicino alle pareti.

Parlarono di cose di poco conto, come avviene spesso per rompere il ghiaccio.

Francesca stava aspettando il momento buono per chiederle, senza sembrare eccessivamente curiosa, e senza dover dar troppe spiegazioni, se avesse notizie di nuovi arrivi all’ultimo piano dello stabile, ma non poteva chiederglielo a bruciapelo, allora cominciò a portare il discorso dove voleva lei:

“Stai traslocando?” le chiese

“Già scusami ancora per il disordine ma è un periodo particolare”

Francesca annuì, si ricordava perfettamente quando Lucia aveva dovuto lasciare la casa e lei era andata ad aiutarla a fare gli scatoloni, e ogni volta qualcosa la riprendevano fuori perché serviva al momento, proprio come aveva fatto Simona.

Gli occhi le si fecero tristi: tutte quelle promesse sul fatto che la lontananza geografica non le avrebbero divise non erano poi state mantenute.

In un primo momento avevano continuato a sentirsi al telefono, ma poi si sa, la vita ti rapisce con mille impegni, e anche le telefonate erano state via, via, sempre meno frequenti, fino alla perdita pressoché totale dei contatti.

Le ultime notizie, che aveva di Lucia, erano state una cartolina con gli auguri di Natale dalla Francia, ma risaliva ormai a più di un anno fa, e l’ultima lettera che lei le aveva spedito non aveva avuto risposta.

Il caffè era fumante, Francesca continuava a girarci dentro il cucchiaino, immersa nei ricordi.

“Tutto bene?” la interrogò Simona vendendole in viso quell’aria assorta.

“Penso di sì” rispose Francesca poco convinta. Stare lì, assieme ad una persona che non conosceva le sembrava strano, eppure quell’ambiente le era così famigliare che non aveva più nessuna fretta di andarsene.

“Sei stata davvero gentile ad aiutarmi” Disse Simona, tanto per riprendere la conversazione.

“Figurati” rispose Francesca mente pensierosa cercava di ricordarsi il viso di Simona, che le pareva sconosciuto nonostante passasse molto tempo affacciata.

Per un attimo, le scappò quasi di dirle che le sembrava strano non averla mai vista, ma poi pensò, che la gente fraintende quando uno racconta che sta spesso alla finestra a guardare le case e le vite degli altri, solo per cercare in qualche modo di farne parte, o per alleviare il senso di solitudine, che spesso si accompagna a quello d’ inutilità.

“Vuoi dei biscotti ?” continuò Simona

“No grazie, il caffè mi basta” rispose Francesca finendo di berlo.

Tutto nella mente di Francesca si fece più chiaro “Ora ho capito” pensò “deve essere la compagna del ragazzo del quinto piano”.

Un’altra sberla di ricordi la invase, si ricordò come se il tempo non fosse mai passato, di quando una mattina presto le avesse telefonato Lucia:

“Vieni qui prima che puoi, ho bisogno del tuo aiuto!” la comunicazione si era interrotta ancor prima che Francesca avesse potuto chiedere spiegazioni.

Si era vestita di corsa ed era andata come un fulmine a casa dell’amica, ancora con il fiatone le aveva chiesto allarmata: “Si può sapere cos’è successo?”

Lucia le rispose sorridendo “Mi son cadute un paio di mutandine nel balcone del ragazzo che abita al piano di sotto!”

Francesca non credeva alle sue orecchie! Le aveva fatto venire un mezzo infarto per un paio di mutande?!?

La guardò con lo sguardo duro “Tu devi essere impazzita” l’attaccò “Ma ti sembra il caso di farmi spaventare per così poco?”

“Così poco?” quasi urlò Lucia “come sarebbe così poco? Che figura faccio???? Dai, mi vergogno!!! Aiutami ti prego” fece Lucia con tono piagnucolante.

“Aiutarti?” disse Francesca incredula “e come?”

Lucia ritrovò il sorriso, e raccontò rapidamente il suo piano all’amica, che dopo pochi minuti si trovò davanti alla porta dell’ inquilino del quinto piano a suonare il campanello.

Nessuno rispose, stava quasi per andarsene tirando un sospiro di sollievo, quando la porta si aprì e un giovane si presentò all’uscio:

“Sì?” chiese con un tono incuriosito

Francesca avrebbe voluto non aver risposto al telefono quella mattina…

“Ehm” tossicchiò Francesca “scusami, sono la cugina di Lucia, la ragazza che abita al piano di sopra, sono ospite da lei per un paio di giorni… e mi son cadute un paio di mutande nel tuo balcone” mentre diceva questo sentiva il sangue colorarle le guance, avrebbe voluto sprofondare.

Lui alzò le sopraciglia sorpreso: “Aspettami qui che vedo”

Il ragazzo tornò quasi subito con un paio di mutande piene di merletti color rosa shocking in mano “Sono queste?” chiese divertito. Francesca rimase impietrita, Lucia questa me la paga! pensò con odio.

Sibilò un timido “Sì, grazie” coperta di vergogna quasi gliele strappò di mano, e corse come un fulmine su per le scale senza voltarsi.

Tempestò di pugni la porta dell’amica per farsela aprire e corse dentro.

Stava per dirgliene di tutti colori, quando la vide di fronte a lei ridere con le lacrime agli occhi….

“Che hai da ridere?” le disse furente, ma lei non aveva fiato per rispondere, rideva e rideva da non poterne più, e quando Francesca le buttò in faccia le mutande, Lucia sprofondò sul divano contorcendosi dalle risate. Francesca rimase per un po’ immobile a guardarla, e dopo un po’ si fece contagiare e cominciò a ridere anche lei senza ritegno, ripensando alla figura fatta e alla faccia incuriosita di quello con quelle mutande in mano

A Francesca scappò da ridere, e quasi spruzzò in faccia il caffè a Simona.

“Che hai ora?” chiese sorridendo incuriosita.

Francesca era indecisa se raccontaglielo o meno, ma si fece coraggio “tanto se ne va” pensò

“Mi è tornata in mente una cosa che è successa alcuni anni fa proprio qui…” disse quasi ridendo.

Raccontò il fatto più o meno per com’era accaduto e anche Simona si mise a ridere.

A Francesca sembrò per un attimo di ritrovarsi assieme a Lucia, e la tristezza per un attimo scomparve.

Chiacchierarono ancora qualche minuto poi Simona sparecchiò la tavola, mentre Francesca si preparava per tornare a casa.

Ferma davanti alla porta chiusa d’uscita le due si diedero la mano.

Mentre Francesca stava per andarsene Simona disse: “Divertente quella storiella delle mutande, ma spero che non ti rattristi sapere che non si trattava del mio balcone, perché qui siamo all’ultimo piano…”

Francesca spalancò gli occhi, si girò verso il corridoio e vide da sotto lo spiraglio della porta della cucina il caro pavimento rosa.

Rimase frastornata… allora quella luce fra le tapparelle era vera…

“Mi ha fatto piacere conoscerti, e se ti va, questo è il mio numero, sai sono nuova di qui e non conosco ancora nessuno” le disse Simona dandole un pezzetto di carta

Francesca ringraziò e scese le scale…

“Allora” pensò “quegli scatoloni che aveva visto in sala non erano per andarsene… e il trasloco di cui parlava non era da fare, ma appena stato fatto!”

Leggermente stordita uscì all’aria aperta e chiuse gli occhi.

La mattina dopo la sveglia suonò come sempre alle sette, Francesca si girava pigramente nel letto cercando di rimandare al più tardi possibile in momento di alzarsi.

Era sempre un sacrificio farsi strappare dal sonno nel bel mezzo di un bellissimo sogno.

Indugiò nel letto per altri dieci minuti poi si fece forza e si alzò.

Si lavò i denti e si preparò la colazione.

Mentre stava per uscire diede una sbirciatina fuori dalla finestra.

Le persiane della casa di Lucia erano chiuse.

Francesca uscì, mise le mani in tasca prese un foglietto e sorrise…

“La chiamerò più tardi, starà ancora dormendo”.

Racconto edito dalla Golden Press di Genova nel volume: Poeti e novellieri contemporanei ed 2008

speranza21

2 Risposte a “Speranza racconto di Sandra Pauletto”

  1. Bel racconto. Scritto assai bene. Descrive una storia in modo assai realistico, con particolari e dettagli molto verosimili. Magari è davvero accaduta a qualcuno che conosci.

    1. No, nessuno che conosco, ma il protagonista è femmina, me l’ero pure dimenticata. E’ il mio primo racconto lungo pubblicato. Forse si capisce.

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