Recensione: Shirley Jackson – L’ incubo di Hill House

Recensione: Shirley Jackson – L’ incubo di Hill House

Hill HouseChiunque abbia visto qualche film del terrore con al centro una costruzione abitata da sinistre presenze si sarà trovato a chiedersi almeno una volta perché le vittime di turno non optino, prima che sia troppo tardi, per la soluzione più semplice – e cioè non escano dalla stessa porta dalla quale sono entrati, allontanandosi senza voltarsi indietro. A tale domanda, meno oziosa di quanto potrebbe parere, questo romanzo fornisce una risposta. Non è infatti la fragile e indifesa Eleanor Vance a scegliere la Casa, prolungando l’esperimento paranormale in cui l’ha coinvolta l’inquietante professor Montague. È la Casa – con le sue torrette buie, le sue porte che sembrano aprirsi da sole – a scegliere, per sempre, Eleanor Vance.

« Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà; perfino le allodole e le cavallette sognano, a detta di alcuni. Hill House, che sana non era, si ergeva sola contro le sue colline, chiusa intorno al buio; si ergeva così da ottant’anni e avrebbe potuto continuare per altri ottanta. Dentro, i muri salivano dritti, i mattoni si univano con precisione, i pavimenti erano solidi, e le porte diligentemente chiuse; il silenzio si stendeva uniforme contro il legno e la pietra di Hill House, e qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva sola. »

(Shirley Jackson, L’incubo di Hill House (1959), traduzione di Monica Pareschi)

E’ così che comincia un lavoro molto noto nella narrativa dell’orrore, considerato una pietra miliare fra gli esperti e gli appassionati del settore (come Stephen King per citarne uno, vedansi ad esempio i suoi romanzi Carrie, Shining e la miniserie televisiva Rose Red, di cui ha scritto la sceneggiatura): L’Incubo di Hill House o Gli invasati, della scrittrice e giornalista statunitense Shirley Jackson.

Il Professore Montague, uomo di cultura laureato in filosofia ed antropologia, è fortemente appassionato dell’argomento delle manifestazioni del paranormale e come altre persone interessate a queste cose (la signora che nel XIX secolo affittò Ballechin House per un’estate e vi diede numerose feste, con balli, gioco del cricket e caccia ai fantasmi fra le attrazioni principali) intende affittare per tre mesi Hill House, dimora costruita circa un’ottantina di anni prima per volere di un uomo di nome Hugh Craine ed al momento abbandonata da due decenni, per effettuarvi, nel massimo rigore scientifico possibile, ricerche che eventualmente attestino la veridicità di chi afferma che esista una dimensione dell’esistenza oltre quella del materiale e dell’immanente.

Per raggiungere questo scopo, si fa coadiuvare da alcune persone che, chi più chi meno, abbiano avuto a che fare col mondo del soprannaturale e quindi, con occhio clinico e presunte doti insolite, possano favorire e riconoscere i suddetti fenomeni, esse sono: Eleanor Vance, ragazza molto chiusa ed inibita, che per una vita ha badato alla madre vedova malata e dopo la sua morte è andata a vivere con la sorella, il cognato e la nipotina di cinque anni (coi quali il rapporto è abbastanza cattivo) ed è in cerca di riscatto e di definire quale sia il suo posto nel mondo; da bambina, lei e la sorella sono state testimoni di una sorta di fenomeno di poltergeist che si manifestò come pioggia di pietre contro la propria casa, creduta, dalla madre, come conseguenza della malignità del vicinato ma probabilmente legata invece ad Eleanor in qualche maniera misteriosa (per un po’ di tempo, le ragazze si trasferiscono altrove e la sassaiola cessa); Theodora (detta Theo), artista giovane e ribelle, di insinuate tendenze saffiche, dotata di una fortissima capacità di percezione; Luke Sanderson, nipote dell’attuale proprietaria di Hill House e futuro erede di essa, sua zia accetta di far occupare la casa a patto che lui, reputato un perdigiorno ed uno scapestrato, sia presente per vigilare su di essa.

I tre sono gli unici che hanno risposto all’invito del professore e si recano alla dimora di montagna, che nel frattempo è stata dotata di elettricità, acqua corrente, telefono e materassi nuovi; essa, su ordine della signora Sanderson, riceve un minimo di manutenzione ad opera dei signori Dudley (lui giardiniere e lei cuoca e governante fortemente abitudinaria e ligia al dovere) ma viene per il resto accuratamente evitata (soprattutto di notte) dalla coppia come dagli altri abitanti del vicino villaggio di Hillside: come detto più tardi dal professor Montague ai convenuti, l’abitazione è stata teatro, direttamente o indirettamente, di fatti tragici, ad esempio quelle delle tre mogli del primo proprietario per, rispettivamente, un incidente in carrozza nei pressi, una non meglio definita caduta e consunzione, in Europa. Era molto tetra e fatta costruita dal signor Hugh Crain in modo bizzarro (senza il rispetto delle giuste misure e proporzioni), ciononostante fece presa sul cuore delle due figlie di quest’uomo, che dopo la sua dipartita se la contesero pesantemente; la più grande, ad un certo punto, tornò a viverci, assieme poi ad una giovane dama di compagnia scelta fra il popolo del villaggio (la più piccola era andata in sposa, aveva rinunciato in cambio di beni mobili preziosi, a suo dire mai ricevuti). In seguito alla sua morte, per polmonite, la ragazza divenne erede unica di Hill House, con grande scorno della sorella minore che mise in atto una vera e propria campagna persecutoria contro di lei, a base di cause legali, botte e, a detta della poverina, anche continui furti compiuti di notte; non solo la sua gente, si suppone per invidia, prese ad odiarla e ad alimentare pettegolezzi malevoli nei suoi confronti. Finì che la giovane si suicidò (per impiccagione) nella torre della costruzione ed essa passò ai suoi parenti più prossimi, i Sanderson.

Senza scendere troppo in particolari posso dirvi che, se siete amanti di storie ricche di particolari espiciti, meglio se truculenti e da subito (teste mozzate, draghi a due teste, lenzuoli ambulanti con tanto di catene, zombies ecc. ecc.), resterete delusi: questa è quella classica narrazione del brivido nella quale non succede quasi nulla per tutto il tempo, la scrittrice, lungi dall’utilizzare tecniche di facile paura, preferisce instillare inquietudine goccia dopo goccia mediante insinuazioni, allusioni, non-detti, particolari sfumati; il romanzo parla di risatine, scuotimenti di porte e pareti, correnti d’aria fredde, porte che si chiudono da sole ma tutto quì. Insomma, una vicenda molto raffinata, da salotto direi, che non prende allo stomaco ma ti serpeggia delicatamente negli abissi della psiche, con un finale incentrato sulla figura di Eleanor che lascia aperte varie possibilità (il sottoscritto si è fatto comunque una sua idea), che genera interrogativi sul fatto che quanto visto e sentito sia accaduto davvero ad opera di entità soprannaturali oppure sia il frutto di menti sovreccitate dall’aria sinistra di Hill House.

Adattamenti per il cinema

Gli invasati (The Haunting), di Robert Wise1963

Haunting – Presenze (The Haunting), di Jan de Bont1999

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