Recensione silloge: “Le scarpe del flâneur” – con intervista al poeta J. Rizzo – Ensemble edizioni

Recensione silloge: “Le scarpe del flâneur” – e intervista al poeta J. Rizzo – Ensemble edizioni

 

“Le scarpe del flâneur” è una silloge scritta da Jonathan Rizzo, pubblicata nel 2020, a cura della casa editrice Ensemble. La prefazione della silloge, spiegata da Marco Incardona, descrive il sarcasmo del poeta Rizzo, l’utilità spirituale e sociale della poesia, di quanto un poeta prenda il dolore del mondo per farlo proprio e anche viceversa perché la realtà dopotutto assume un po’ la sofferenza dello scrittore; scrivere e “fare poesia” vuol dire dare un senso alla vita e alla morte, perpetuare quel silenzio che annienta l’uomo, rendere l’impossibile possibile. il poeta Rizzo dedica la silloge a Charles Baudelaire e a Serge Gainsbourg.

“Sorrido a una bambina/lei ride/e anch’io mi sento leggero”, il poeta Rizzo sorride: ma un sorriso è una forma di pathos che crea empatia, una comunione di commozione e di leggerezza. Egli si sente “leggero” perché ha comunicato con un altro essere vivente, una bambina, l’essere più puro nella scala dei viventi.

“Sacchetti di plastica/scoppiano/nell’indifferenza dell’universo”, un universo forse che non ascolta chi prega, non presta attenzione ai dolori altrui, ma è solo in apparenza, perché c’è un perdurare di vita e di morte regolate da leggi naturali e cosmiche. Per il poeta Rizzo, il nichilismo è una lettura solo superficiale, perché nella sua poesia egli fa riferimento, a volte in tono ironico, a una certa spiritualità che richiama sentimenti e anime.

“Quando la morte arrivò/non trovò più nessuno/solo il conto da pagare”: certamente per le religioni e le filosofie di vita, chi compie azioni discutibili, “pagherà il suo conto”, espierà la sua colpa. Ma la colpa è la vita stessa; quando nasciamo, siamo destinati a morire, ma in questo lasso di vita possiamo dirigere l’esistenza al meglio e nel pieno delle nostre forze. In questi versi, si riprende in parte il nichilismo del poeta, che cerca comunque attraverso l’ironia, di smussare i dolori e le mancanze della vita, delle persone, dei cicli violenti naturali che si ripetono senza alcuna sosta.

“Tu vai/sei leggero come l’anima/non hai bisogno/ di una carta d’identità”, tutti gli esseri viventi sono uguali spiritualmente e fisicamente, senza distinzione alcuna, senza un documento cui fare riferimento. Il creato è una formazione perfetta, anche essendo fallace, è una forma d’energia che si abbevera a leggi cosmiche, a volte spietate, ma comunque naturali.

“Parigi è viva/e io con lei”, Parigi è sempre stata la città degli artisti, una capitale con un flusso vitale alto, crescente nei pensieri e nei talenti; “Parigi è ancora viva, respira”, ogni città rappresenta una storia e una cultura, un crescendo di lingua e di tradizioni, certamente Parigi è una città cosmopolita e attiva, una terra di rifugio per politici, artisti e scienziati.

“Noi siamo immortali/perché sorridiamo/e amiamo la vita/le sue figlie e i suoi figli”, il poeta vuole comunicarci l’importanza del sorriso e dell’ironia: attraverso la serenità e la pace comunichiamo sentimenti rilassati, con rilascio di endorfine secondo la scienza, che ci rendono liberi da ogni forma di pessimismo.

L’immortalità dell’anima, declamata da Socrate e Platone, in questa silloge, riveste una certa importanza, perché l’anima è leggera, si rivolge al cosmo e alle sue leggi. L’anima attraverso il mondo delle Idee, cerca degli archetipi e dei simboli, ancora prima di incarnarsi, di prendere possesso di un corpo fisico, ancora prima di esistere materialmente.

“Se conti fino all’infinito/tu uomo finirai il fiato/prima di averlo minimamente sfiorato”, il poeta vuole ricordarci che l’uomo non riesce mai a sfiorare l’infinito, quindi la divinità. Ma forse l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, è una piccola divinità anch’essa, senza subordinarsi del tutto alla Provvidenza, quell’energia che dona misericordia e aiuto, come scriveva Alessandro Manzoni.

Consiglio questa silloge per la mordace ironia, per i temi trattati, come l’amore, i sentimenti contrari alle logiche del mercato consumistico. Ho apprezzato anche l’immediatezza del linguaggio, che va diritto allo scopo, che dà una certa spontaneità di contenuti. Parigi, molto amata dal poeta Rizzo, resta una capitale alla moda, pur conservando il primato di quella Koinè di religioni, di nazioni e di pensieri.

Eloisa Ticozzi

 

intervista al poeta Jonathan  Rizzo – Ensemble edizioni

 

 

 

 

Ciao Jonathan, benvenuto sulle pagine de I Gufi Narranti, abbiamo analizzato la tua silloge e ora vorremmo conoscerti meglio con una breve intervista.

 

D: Il tuo spunto poetico è più ispirato dai sentimenti gioiosi o tristi?

R: Non credo ci sia differenza tra sentimenti. Arrivare a provarne uno fino a volerlo salvare o liberarsene imprigionando e liberandolo con la Poesia rende la gioia ponderata e la tristezza tenuta stretta tra le braccia.

 

D: Perché hai scelto le poesie come forma di comunicazione?

R: Perché non sono capace a fare altro.

 

D: C’è un poeta che fatto nascere in te l’amore per la poesia?

R: Piccolo Principe a scuola mi commuovevo a leggere Ungaretti. Crescendo molti       fratelli si sono uniti al bancone del bar a bere con me.

 

D: Quale potrebbe essere il mezzo per avvicinare i giovani alla poesia letta o scritta?

R: È un problema complesso atrofizzante fin dalle radici della questione. Ho l’impressione che i “giovani” siano interessati, attratti o semplicemente condizionati nel doversi interessare solo a ciò che sentono gli sia uguale e peggio a ciò che i professori gli dicono di studiare, come fossero dei meri impiegati che timbrano il cartellino della loro formazione e sete di conoscenza. Questo a grandi linee. La questione si fa sociale e culturale. Credendo di fare i ribelli rimanendo nella confortevole aurea zona della comunità civile la Poesia non può che rimanere qualcosa d’incompreso. Ma tu mi hai chiesto come sovvertire questo stato di cose. Non penso che il Poeta debba stare con il piattino in mano ad elemosinare attenzione da chi che sia, figuriamoci da chi arrogantemente non si offre aperto di spirito e cuore. È la classica trappola del “se devo spiegartelo non hai possibilità di comprenderlo”. Sei tu che senti attrazione per la Poesia, non deve essere Lei ad implorarti carezze. Già è venuta a te anche se non te ne sei accorto.

 

 

D: Il COVID è stato per te un momento creativo o come diversi scrittori, poeti, sei rimasto “bloccato”?

R:  Personalmente nella crisi mi esalto. Ho composto molto e c’era tanto da scrivere. Una guerra è occasione d’oro per guardarsi dentro e riconoscere tutti i propri limiti lì dove sono per arrivare a spostare la linea di confine un metro alla volta fino a cancellarla. Drammaticamente con l’evolversi della tragedia ho notato un aumento generalizzato d’egoismo da parte della società italiana in ogni suo strato, latitudine e longitudine, per cui il mio interesse si è volto solamente a quelle persone che una casa in cui nascondersi non l’hanno, abbandonando a loro stessi tutti i borghesi lamentosi a scavarsi fosse grosse come divani. Naturalmente nel primo doloroso caso parlo dei senzatetto che non sono scomparsi, ma solo scacciati dalle pagine dei giornali dall’ossessione egocentrica di ognuno di Noi. Ecco ho provato a dare voce a chi è afono, questo è il mio confinamento poetico.

 

D: Ti ricordi quando hai scritto la primissima poesia?

R: Mi pare alle elementari. Le ho fatte a Firenze purtroppo. Nevicava raramente, non come nelle fantasie librarie o cinematografiche, ma un inverno lo fece e la cosa fu talmente profonda nel mio immaginifico di bambino che nel tema del “lunedì”, dove raccontavamo come esercizio cosa avevamo fatto durante il fine settimana scrissi sulla neve. Tanto fu l’impatto che la maestra riscrisse il testo in forma poetica, in strofe. Quella probabilmente fu la prima poesia di troppe.

 Grazie per la disponibilità e arrivederci a presto sulle pagine de I Gufi Narranti.

Grazie a voi Gufi Narranti per la vostra disponibilità ed attenzione.

 

Jonathan Rizzo

 

 

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