Recensione film: BERLIN SYNDROME – IN OSTAGGIO
Titolo originale: Berlin Syndrome
Lingua: Inglese/Tedesco
Paese di produzione: Australia
Anno: 2017
Durata: 112 minuti
Genere: Thriller/Drammatico, Orrore
Regia: Cate Shortland
Soggetto: Melanie Joosten
Sceneggiatura: Shaun Grant
Produttore: Polly Staniford
Produttore esecutivo: Naima Abed, Scott Otto Anderson, Angie Fielder, Emilie Georges,
Nicholas Kaiser, Oliver Lawrence, Troy Lum, Tanja Meissner, Cecilia Ritchie
Florence Tourbier
Casa di produzione: Aquarius Films, DDP Studios, Entertainment One, Film Victoria, Fulcrum Media Finance, Memento Films International, Screen Australia
Fotografia: Germain McMicking
Montaggio: Jack Hutchings
Musiche: Bryony Marks
Scenografia: Melinda Doring
Cast: Teresa Palmer, Max Riemelt, Matthias Habich,
Franka Hummels.
Il film di cui vi vado a raccontare è “Berlin Sybdrome – In ostaggio”, di produzione Australiana diretto da Cate Shortland e basato sull’omonimo romanzo di Melanie Joosten. Narra la storia di Clare, una giovane ragazza che ama girare il mondo, e arrivata a Berlino si ferma per un po’ di tempo data la sua passione per la fotografia. Un giorno conosce Andi, professore di inglese con cui finisce a letto nel giro di un paio di giorni. L’uomo peraltro la accoglie di buon grado a casa sua e lei approfitta volentieri ma una mattina, al suo risveglio, la povera Clare, scopre di essere chiusa a chiave nell’appartamento di Andi che è uscito per andare al lavoro ma precedentemente ha ben pensato di sbarrare porte e finestre. Inizialmente Clare non si spaventa pensando che forse Andi ha dimenticato di lasciarle la chiave ma molto presto scoprirà che l’apparentemente amabile professore non ha intenzione di liberarla e la povera ragazza si ritrova ad essere prigioniera e senza telefono, non avendo così alcuna possibilità di chiedere aiuto.
Il titolo anticipa l’argomento del film, difatti si parla di una sorta di sindrome di Stoccolma; sin dai primi minuti del film aleggia lo spettro della claustrofobia in uno scenario che non lascia dubbi e dove quello che sembra un rapporto consensuale tra due persone adulte e consenzienti, si trasforma rapidamente in una vera e propria ossessione. L’uomo che cattura i sensi della povera Clare, da persona gentile e dolce diventa un vero e proprio aguzzino e la ribellione che sorge nella ragazza, non fa altro che acutizzare la violenza carnale e psicologica del professore.
Un film che non è molto lontano da certe realtà. Queste “sindromi” esistono e purtroppo, proprio grazie a queste personalità diciamo “particolari”, coloro che ne soffrono, mietono vittime senza alcuno sforzo.
La storia che viene raccontata, è stata creata direi egregiamente. Gli attori interpretano il loro ruolo, immedesimandosi nella parte in modo eccelso a mio parere: questo pensiero lo esprimo per il fatto che in questa pellicola, appena la storia si evolve, sorgono sensazioni di vera claustrofobia, prova che il cast ha recitato in modo perfetto. Complimenti sia al regista che ha sapientemente girato il film nel modo giusto, sia all’autrice del romanzo che ha affrontato un argomento spinoso, in quanto, questa “malattia” esiste; devastante per chi la vive ma anche per chi sta accanto a questo tipo di persona.
Personalmente, penso che valga la pena di vedere “Berlin Syndrome” e il mio voto per questo film un 9+.
Teresa Breviglieri