Racconto Un giorno, una vita di Alberto Zanini

Un giorno, una vita

 

i racconti di cultora

Alba.

Le prime luci di un’alba primaverile rischiaravano la cima dell’albero, mentre più in basso la penombra incominciava a diradarsi. Alcune radici emergevano lievemente, solcando il mare d’erba, e in mezzo alle radici, bagnata dalla rugiada, una figura in posizione fetale si muoveva singhiozzando, rompendo il silenzio mattutino. I movimenti disordinati accompagnavano gemiti sincopati, e il corpo nudo era scosso da lunghi brividi. Convulsamente boccheggiava alla disperata ricerca di ossigeno. Lentamente il respiro diventò normale, e faticosamente cercò di alzarsi, ma la debolezza lo fece desistere. Si mise a quattro zampe, appoggiò le mani sul tronco dell’albero e aiutandosi riuscì ad ottenere la posizione eretta. Rimase lunghi attimi con la fronte appoggiata al ruvido tronco, quindi con equilibrio precario si staccò dall’albero e si avviò verso la radura, ormai illuminata dal sole del mattino primaverile. Camminando giunse ad un fiume dove si immerse completamente sfidando i brividi di freddo. Rimosse la terra che gli incrostava il corpo, e riprese il cammino con passo più sicuro, senza una precisa meta. Giovani arbusti costeggiavano la linea ferroviaria che lui seguiva, quando improvvisamente vide una bassa costruzione delimitata da un muro di cemento, lo seguì fino ad arrivare ad un cancello di ferro battuto, da dove intravide un percorso lastricato di beole, che attraversava il prato per raggiungere un patio coperto da un gazebo in legno. Una donna uscì da una porta finestra e raggiunse il tavolo apparecchiato, vi pose un vassoio con delle brocche e dei piattini, alzò lo sguardo e lo vide dietro il cancello, nudo. Rientrò in casa e fece scattare l’apertura elettrica. Il bambino spinse il cancello e varcò la soglia avvicinandosi cautamente al patio. Adesso riusciva a vedere la fontana e più distante un magnifico albero frondoso, elegante, imponente, grigio e con un’ampia chioma. Una bambina giocava a terra all’ombra dell’albero. La signora uscì dalla casa con dei vestiti piegati in mano e li appoggiò su una sedia, quindi disse:<< Cecilia, vieni a fare colazione>>. La bambina aveva i capelli corvini, un nasino piccolino e largo, profondi occhi neri, un sorriso enorme che si apriva su dei denti bianchissimi e una pelle scura e lucente. La donna invitò con un cenno il bambino, che nel frattempo si era vestito, a sedersi con loro. <<Avrai fame>> disse la donna. Con gli occhi che accarezzavano la tavola imbandita, il bambino prese immediatamente una fetta di pane con la marmellata e se la mise avidamente in bocca, quindi riempì una tazza di latte fumante immergendovi un cucchiaio di miele. Fecero colazione senza dire una parola e alla fine Cecilia prese il bambino per mano e lo condusse vicino all’albero. <<Ti piace?>> chiese la bambina. <<E’ magnifico>> rispose il bambino accarezzando la dura corteccia. <<Io gli parlo tutti i giorni>> continuò Cecilia. <<E lui risponde, a volte pianissimo che si fa fatica a sentire, altre volte sono gli uccellini che parlano per lui, e altre ancora anche con il silenzio, ma noi ci capiamo>> Cecilia si avvicinò all’albero e lo abbracciò poggiando la faccia sulla corteccia. Scese il silenzio in quella mattina primaverile, si udiva solo il lieve stormire delle fronde. Anche lui si avvicinò all’albero e lo abbracciò congiungendo le sue mani a quelle della bambina. Stettero così in silenzio per qualche istante, quindi si staccarono e gli occhi del bambino incontrarono quelli della donna che sorrise. Lentamente lui si avviò verso il cancello e quando lo aprì sentì Cecilia dire:<<Olmo>>, allora si girò e chiese: <<Come?>>

<<Olmo, tu sei Olmo>>

<<Bene,  rispose a Cecilia sorridendo, a presto>>

<<Ciao Olmo, non dimenticarti di me>> Il bambino varcò la soglia e senza voltarsi alzò il braccio in un cenno di saluto e s’incamminò senza una meta.

Mezzogiorno

L’ultimo giorno di scuola Olmo decise di tornare a casa a piedi, seguendo la vecchia strada interna ormai in disuso. Era una bella giornata d’estate e camminava da un po’ lungo la ferrovia, quando ad un tratto vide uno spiazzo dove un piccolo animale, con una lunga coda, correva verso degli alberi. Incuriosito si avvicinò senza riuscire a ridurre la distanza, ma ormai si trovava a ridosso di un bosco e fu attirato da uno strano odore. Gli alberi alti e verdi erano sufficientemente distanziati. S’inoltrò nel bosco, ma presto si rese conto che il cammino si faceva sempre più difficoltoso, si fermò per cercare di orientarsi, guardò in alto e vide la luce filtrare dal fogliame degli alberi, mentre un forte odore di muschio e di terra umida gli entrò nel naso. Sentiva anche odore di funghi, senza però riuscire a vederli. Si sedette ai piedi di un albero rimanendo immobile per alcuni minuti, quindi si rialzò, riprese il cammino difficoltoso aggirando ostacoli, e perdendo di fatto l’orientamento. Gli alberi sempre più vicini tra loro con i rami che si incrociavano e attorcigliavano divennero uno sbarramento insormontabile, aveva le mani sanguinanti e le braccia solcate da profondi graffi. Il respiro si fece affannoso e il cuore batteva all’impazzata, un po’ per la fatica e un po’ per l’angoscia che lentamente stava prendendo il sopravvento. Un ramo sottile lo colpì come una scudisciata sul viso, lasciando una traccia bruciante e rossastra. Gli insetti attirati dal suo sudore gli ronzavano vicino, mentre gli uccelli rumoreggiavano in alto. Gli parve di sentire anche dei sibili sinistri e paurosi. La luce si era ridotta notevolmente e con essa diminuì anche la temperatura, il sudore gli parve congelarsi sulla pelle e i brividi divennero incontrollabili. Inciampò, cadde e con la testa colpì il tronco di un albero e perse i sensi. Quando si risvegliò era prono con la bocca sporca di terra e un occhio semichiuso. Cercò faticosamente di alzarsi, ma riuscì a muoversi appena, sputò la terra e da quella posizione vide un varco a pochi metri da lui fra due alberi. A fatica si rialzò e lentamente si diresse verso il passaggio, oltre il quale gli parve che il bosco si diradasse leggermente e che anche la volta alberata facesse filtrare più luce. Gli parve di sentire uno scroscio d’acqua in lontananza, seguì il rumore e poco dopo, infatti, vide un corso d’acqua, lo segui fino a quando gli apparve un ponte con delle macchine che vi transitavano. Sporco, lacero e sanguinante fu felice quando una macchina si fermò e gli diede un passaggio. Si fece portare davanti a casa, ringraziò per l’aiuto e salendo le scale capì che dopo la scuola, la vita sarebbe stata una prova ancora più impervia.

Pomeriggio

Incominciò a lavorare in un bar da giovane, e in breve dimostrò notevoli capacità, sia tecniche che manageriali, e presto si rese conto che lavorare sotto padrone non lo soddisfaceva, quindi con i pochi risparmi e un prestito della banca, decise di avviare una sua attività aprendo un bar. I sacrifici e il lavoro non lo avevano mai spaventato. Il bar era piccolo ma sempre pieno di clienti, e al mattino apriva prima degli altri. Le sue brioche calde erano un richiamo irresistibile per i nottambuli, e per chi iniziava presto a lavorare. Dopo averlo avviato presto cedette l’attività realizzando un buon guadagno. Trovò un locale in crisi, e dopo poco tempo lo risollevò rilanciandolo grazie alle sue capacità. Continuò con questa politica parecchie volte facendo levitare notevolmente i suoi guadagni. Ormai poteva permettersi di condurre una vita agiata ma non era felice.

Quel giorno d’autunno sotto il getto bollente della doccia che zampillava sulla pelle,pensava, mentre il vapore offuscava la cabina. Amava sua moglie e sua figlia, amava il suo lavoro, aveva raggiunto una posizione economica invidiabile e rassicurante, ma…C’era sempre un ma. Era arrivato il momento di parlarne a casa e lo avrebbe fatto quella sera. A tavola lei lo vide distratto e pensieroso e gli chiese il motivo. <<Abbiamo lavorato sodo>> iniziò lui <<abbiamo fatto ogni genere di sacrifici, e per fortuna abbiamo anche raggiunto una tranquillità economica. Abbiamo comprato una grande casa dove viviamo, e un’altra al mare. Possediamo ogni sorta di diavoleria tecnologica che in pratica non usiamo mai o quasi. Abbiamo stipato oggetti in eccesso negli scatoloni che non sappiamo più dove tenere. Lasciamo le macchine fuori dal garage perché pieno di cose. La nostra vita è condizionata da cose superficiali e inutili. Questa corsa al consumismo porterà il nostro pianeta alla distruzione, senza considerare che molte cose che compriamo sono prodotte da manodopera sfruttata. Creiamo diseguaglianze sociali e distruzioni ambientali>>. Il silenzio scese come una pesante cappa scura. <<Non credo di sentirmi felice>> continuò con tono mesto.<<Penso che si possa vivere con meno, molto meno e essere felici ugualmente>> concluse lui.

<<Olmo, non sono del tutto convinta, ma se credi che questa tua decisione sia quella giusta e che ti farà stare meglio, allora faremo come desideri tu>> Cambiarono la casa con una più piccola, ridussero notevolmente il superfluo, ridimensionarono i consumi scegliendo una vita più semplice. Olmo continuò a lavorare con sua moglie nel bar, raggiunse un equilibrio soddisfacente e appagante, consapevole che il momento di riposarsi era vicino.

Sera tardi

Il vento gelido della sera sferzava le vie della città, un uomo curvo con un cappotto nero, un cappello e una sciarpa svolazzante camminava in compagnia di una donna a ridosso delle case. Un ubriaco e pochi stranieri occupavano il piazzale della stazione. La coppia di anziani varcò l’ingresso, un’occhiata al tabellone degli orari e si avviò verso il binario. Riprese a nevicare, piccole falive sospinte dal vento s’intrecciavano disordinate. Salirono sul treno che silenzioso era entrato in stazione, che poco dopo ripartì lentamente. Cullato dal pigro avanzare del treno, l’uomo guardò fuori dal finestrino i campi innevati. Il suo viso riflesso gli sembrò quello di uno sconosciuto, con i tratti tirati e la barba incolta, mentre i pensieri affollavano la sua mente. Ricordi che si accavallavano confusamente come schegge impazzite. Lo sguardo vagò per la campagna buia e silenziosa, solo qualche luce in lontananza, mentre una mesta consapevolezza s’insinuò nella sua mente. “Nella mia vita ho fatto quello che volevo, compresi gli errori. Quelli sono serviti a fare esperienza, per il resto nessun rimpianto. Adesso è arrivato il momento di chiudere i conti. <<Olmo?>> la voce della donna lo riportò alla realtà mentre le luci di una stazione squarciavano il buio della notte. Confuso e impacciato sembrò ridestarsi da un sonno pesante. Uno stridio di freni avvisò che il treno era giunto a destinazione. Furono gli unici a scendere, e mentre si avviavano verso l’uscita si fermarono a guardare la neve che continuava a scendere silenziosa. Uscirono sul piazzale candido di neve, dove le pochissime macchine producevano un rumore ovattato. Lentamente si avviarono verso una stradina che costeggiava la stazione e dopo una mezz’oretta, arrancando nella neve fresca, costeggiarono una lunga fila di alberi, che tanti anni prima erano giovani arbusti desiderosi di crescere, e che lui stentava a riconoscere. Camminarono senza fermarsi, mentre un piccolo squarcio in cielo fece filtrare un raggio di luna, mentre la neve cessò di scendere. Poco dopo la falce di luna illuminò una bassa costruzione, delimitata da un muro e da un cancello arrugginito. Proseguirono il cammino ormai esausti fino ad una radura. Alberi imponenti nel buio della notte, appena rischiarati dalla luce lunare, incutevano paura e rispetto. Un fruscio di ali e una macchia chiara si staccò da un basso ramo. Una civetta gridando planò su un topolino maldestro ghermendolo e portandolo con sé in volo. Olmo, ormai stanchissimo, si appoggiò ad un tronco nodoso e si fece scivolare ai suoi piedi, allungò le gambe e si tolse il cappello appoggiandolo sulla neve.<<Mi piacerebbe giocare>> disse a sua moglie. <<A che cosa?>>chiese lei.<< Non ha importanza. Nella mia vita ho sempre lavorato e non ho avuto molto tempo per giocare. É arrivato il momento>> Appoggiato al tronco mise la mano sinistra dietro la schiena e toccò l’albero, mentre la destra la mise sul cuore, alzò il viso scarno e rugoso e guardò la luna ormai libera di brillare. Negli occhi e sulla bocca comparve un sorriso dolce e sereno, I profondi occhi neri di Cecilia si velarono mentre appoggiava una mano sul volto di Olmo, che lentamente, piegò la testa e chiuse gli occhi.

 

Alberto Zanini

Racconto Un giorno, una vita scritto da Alberto Zanini e pubblicato nella raccolta I racconti di Cultora Historica Edizioni 2015

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