Quale confine – Silloge di Gabriella Grasso – analisi e intervista di Eloisa Ticozzi

Quale confine – Silloge di Gabriella Grasso – analisi e intervista di Eloisa Ticozzi

 

“Quale confine” è una silloge scritta da Gabriella Grasso e pubblicata dalla casa editrice Kolibris nel 2019. La silloge consta di 87 pagine. Nelle pagine finali c’è un accenno alla biografia dell’autrice. Nella silloge troviamo una dedica a Carlo Levi, che ha voluto immaginare le onde del mare come le esistenze degli uomini, apparentemente immobili e senza scopo apparente ; nella seconda dedica a Josephina Dautbegovic, troviamo la condizione fuggitiva dell’uomo nei confronti delle sue responsabilità (vale a dire comprendere lingue e sentimenti diversi dai propri). Si tratta dell’universalità dell’amore e della comprensione verso i propri simili, verso la natura e verso l’universo. Infine la poetessa Grasso vuole ricordare il padre accomunandolo alla poesia, fondendo quest’ultima con le loro personalità. La silloge è suddivisa in queste sezioni : Tra me e te, Tra l’albero e il cielo, Tra il falso e il vero, Tra il concreto e il mistero, Tra ieri e domani e Tra il vetro e le mani.

“Il figlio dell’uomo/è in continuo vagare sotto i cieli del mondo”, così l’uomo, nel suo dinamismo errabondo in una condizione spirituale e mentale, ricerca qualcosa che nemmeno lui conosce, qualcosa che lo renda uomo, in una visione onnipotente della vita. Secondo il racconto biblico, Caino uccide Abele, e nella versione classica, l’omicida è la persona iniqua, malvagia, codarda. Ma secondo i Cainiti (in Demian vengono ricordati come facenti parte di una setta gnostica), Caino è colui che osa e che sa, quasi un prescelto, col marchio impresso in fronte da Dio, vaga alla ricerca della sua dimora e condizione. Questo è il peso che deve sopportare: di essere “l’unico” fra tanti, di essere perseguitato dall’umanità.  Come in Delitto e castigo, il protagonista commette un omicidio, perché pensa di essere superiore alla morale, alla giustizia, liberando il mondo da qualcuno che arreca danno al popolo, accorgendosi poi che, solamente tramite l’umiltà e l’amore, si può liberare l’umanità dal vincolo del male (per i cristiani tramite la figura di Cristo).

Nella poesia “Quale confine”, ecco che la poetessa Grasso traccia il polimorfismo dell’umanità che tuttavia discende da un unico progenitore. Tutto riconduce alla stessa cellula, alla stessa radice, alla stessa origine universale e primordiale. Le persone che diventano luoghi, quasi topoi di un lungo divenire, di una perdita e di un ritrovo, di un rimescolamento etnico ed emotivo. Il sangue inganna, la carne inganna, ma ciò che ci rimane è l’emozione, il sentimento, il divenire persone umane che ascoltano e assecondano le diversità.

In “Rosa alta” si ritrova il sentimento di annichilimento e di lotta verso la natura, che non comprende fino in fondo i sentimenti dell’uomo (“Non conosci tu il pianto”). Possiamo supporre che anche la natura faccia parte di un disegno divino, per chi crede, o karmico o evolutivo, per chi non crede, in cui ogni elemento ha una sua precisa collocazione spirituale o animale. La natura seduce e annienta l’uomo fino alla morte, con dolore, senza scopo apparente. E l’uomo, che viene descritto come una rosa che cresce su una scala di spine, stagliandosi verso l’alto, verso l’Assoluto, ci fa pensare all’Araba Fenice che risorge dalle sue ceneri. Pensiamo a qualcosa che risorge dopo dolori: la poetessa Grasso parla di “incontro con la morte”, quindi l’incontro con la parte profonda, misteriosa e oscura della vita.  Ma dietro questo buio c’è la ripresa, il coinvolgimento delle proprie risorse : al di là di un profondo abbruttimento, c’è una resurrezione d’anima e di personalità.

Nella poesia “Foglio di cielo”, c’è un invito a non fuggire più , a restare, a meditare. La preghiera, come la meditazione riescono ad aprire il cuore o l’anima verso l’Infinito. Ecco che contemplando la natura, in una visione quasi mistica ed estatica, si può comprendere la terra. La terra mediterranea e generosa della Sicilia, offre ampi paesaggi, assolati e profondi, ricordandoci che quando l’Italia meridionale era parte della Magna Grecia, si preannunciava la filosofia. E così la poetessa Grasso ci offre vari spunti naturali in questa silloge (“Azzurra notte ai piedi del vulcano”; “Conchiglia”, “Fossile” quest’ultimo che esprime duro dolore; “La cenere di lava e i lapilli”).

In “Ci sarà sempre un luogo” la poetessa Grasso si vuole sentire parte di un insieme, di un’umanità generosa, che generosa sempre non appare. Ecco l’invito a non demordere, a cercare la sensibilità e il coraggio, a riprendersi dopo le cadute e allo scoppiettare del cuore. Il luogo interiore a cui ritornare è sempre suo, personale, malgrado le incombenze e i soprassalti, malgrado i dolori, malgrado i rimandi alla sofferenza.

In “Peccato originale” la poetessa Grasso delinea il mare, come emblema di pace e tranquillità (“Riserva di pazienza”); le montagne appaiono invece madri forti ed eterne; la natura permane come simbolo che intreccia legami con l’uomo, in un mistero solenne nel quale cui ogni creatura che vive, che respira ossigeno, si accomuna, pur nella diversità, a un altro.

“E la curva di queste mie labbra/capricciosa mentre sceglie la terra”, il corpo e l’anima scelgono la terra che muta, la Madre Terra, l’origine, non in senso patriarcale, ma in senso spirituale. Non esiste solo il sangue in questa scelta, ma vengono messi in risalto valori come amicizia, amore, senso di appartenere alla polis, la condivisione di progetti e di legami, anche al di là della semplice e pura parentela. L’amore per la famiglia, il rimando all’ingenuità infantile, intesa in senso quasi puro e ideale, delineano la poesia della poetessa Grasso in questa commistione unica.

Ho apprezzato molto la passione per la sua terra d’origine, l’affetto familiare, la profondità di pensieri e di sentimenti. Nel verso libero, non vincolato dalla rima, ho amato molto gli enjabement e le similitudini, riferite quest’ultime spesso agli elementi naturali. La natura spesso veicola i sentimenti della poetessa Grasso (i cerchi concentrici d’aria che saranno un’eco di persone umane), diventando antropomorfa. Consiglio la silloge per la dolcezza e per la capacità di universalizzare sentimenti intimi, rendendoci partecipi delle vicende quotidiane o più esclusive dell’autrice . “Ogni volta è rinascere sempre” così scrive la poetessa Grasso in questo paradosso, con sentimenti parossistici: perché ogni volta che l’uomo si rende partecipe del mistero della vita ,in ogni sua forma universale, è una nuova creazione di patos.

 

Eloisa Ticozzi

 

Dopo aver analizzato la silloge “Quale confine” possiamo scambiare quattro chiacchiere con la poetessa Gabriella Grasso.

Ciao Gabriella, possiamo darci del tu? Certo.

 

D: Hai un legame speciale con la terra dove sei nata? Intendo non solo un legame di origini, ma anche un comune sentire di emozioni e pensieri?

R: Sento molto il legame con la mia terra, anche in riferimento al fatto di abitare in un’isola, che mi pare rappresenti una condizione particolare. La Sicilia e il territorio etneo esercitano suggestioni uniche: come scrivo in “Cortocircuito”, sono stati, e sono tuttora, un crocevia straordinario e un bacino di forme archetipiche. Riguardo al comune sentire, non saprei. Io sento forte la mia appartenenza ad una comunità (nella quale però non vivo più), in modo quasi paradossale, tenero o ridicolo, dipende dai punti di vista, se consideriamo il mondo globalizzato in cui siamo.

 

 

D: Pensi che la mancanza di una persona cara possa trasformarsi in possibilità? Per possibilità intendo una nuova resilienza e paradossalmente una nuova apertura alla vita.

R: Non avrei mai pensato che la mancanza di una persona non solo cara, ma che ha rappresentato la mia finestra sul mondo e una compagna di vita, quale era mia sorella, potesse essere vista come una possibilità. Per me, all’inizio, ha rappresentato il capolinea, la fine di tutto. Le poesie di Quale confine non sono quelle relative a questo momento, sono quelle venute dopo, quando qualcosa dentro di me ha iniziato a sgorgare. Che siano il segno di una nuova apertura alla vita, non saprei. Lo spero, ho bisogno di crederci.

 

 

D: Quali emozioni ti comunica leggere e scrivere poesia?

R: Leggere e scrivere poesia è qualcosa di molto naturale, per me, è quasi un atto fisiologico. Con ciò non voglio dire che sia un’esperienza facile, tutt’altro. Implica sempre uno sforzo (forse il termine è impreciso, ma non saprei dirlo meglio), un lavorìo sulla mia ricettività, sulla mia capacità di comprensione (per la poesia altrui) e di espressione (per la mia poesia) non indifferenti. Molte volte l’ho vissuto come un sottrarre tempo ed energia ai miei affetti e ho pensato di smettere. Non ci sono riuscita. Del resto, ho ricevuto tantissimo dalla poesia e dall’arte in genere.

 

 

D: Quanto dovrebbe incidere secondo te la poesia sulle persone e sulla società?

R: La poesia dovrebbe poter esistere, avere le condizioni per farlo: spazi di silenzio, di ascolto, tempi per accogliere, indagare o lasciar sedimentare. La poesia ci costringe a questo, quando non è asservita alla legge del mordi e fuggi contemporaneo. Una sua grande lezione per tutti noi mi sembra questa.

 

 

D: Come vivi la natura, la intendi viva e animata da una qualche divinità? Potremo pensare al panteismo ad esempio.

R: Non sento la natura animata da qualche divinità, o perlomeno non ne sono consapevole. Alcuni hanno parlato di panteismo, relativamente alle mie poesie, ma non mi riconosco in questa definizione. La natura è parte di me e io sono parte di lei, sento come un continuum. Ecco, mi sento più creatura tra le creature.

 

 

D: I luoghi a te cari passati, assumono quell’interiorità così importante anche nel presente?

R: Sì, sono visceralmente legata a tutti i luoghi per me importanti. Ho un continuo dialogo con loro e mi parlano sempre. Sono popolati da dettagli, da presenze, da brani di conversazioni, in un continuo presente. Mi rivelano, anche a distanza di tempo, aspetti inediti di me e persino del presente.  I luoghi sono protagonisti nella mia scrittura; come la natura, vivono in me e io in loro quasi senza soluzione di continuità. Non saprei dire se ciò rappresenti una risorsa o una dannazione: certe volte non vorrei portarmeli tutti dentro, certe volte pesano un po’.

 

Grazie a Gabriella Grasso per la disponibilità, arrivederci a presto sulle pagine de I gufi narranti

 

Eloisa Ticozzi

 

 

 

 

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