Nomadland – I nomadi non si dicono mai addio. Si rivedono lungo la strada.

Nomadland

Anno: 2020

Titolo originale: Nomadland

Paese di produzione: USA

Regia: Chloé Zhao

Produttore: Frances McDormand, Peter Spears, Mollye Asher, Dan Janvey, Chloé Zhao

Cast: Frances McDormand, David Strathairn, Linda May, Swankie, Bob Wells, Peter Spears, Derek Endres, Tay Strathairn, Gay DeForest, Patricia Grier, Angela Reyes, Carl R. Hughes, Douglas G. Soul, Ryan Aquino, Teresa Buchanan, Karie Lynn McDermott Wilder

Fern, rimasta vedova e disoccupata, prende il suo van, lascia il Nevada e decide di attraversare gli Stati Uniti vivendo da nomade. In questo viaggio eterno Fern incontra e stringe amicizia con altre persone che hanno intrapreso questa strada.

Nomadland significa Oscar per Chloé Zhao (pseudonimo di Zhao Ting) premiata quest’anno a miglior film e miglior regia. La regista è di Pechino ma affascinatissima da Hollywood; anche la sua penultima opera The Rider – Il Sogno di Un Cowboy (2017) lo faceva capire. Se aggiungiamo poi l’atteso nuovo capitolo degli Avengers che porterà la sua firma… L’indagine nel mito americano è pressochè capillare.

A proposito, è con termini simili che nel film la sorella di Fern parla del nomadismo. E’ evidente però che c’è qualcos’altro. La prospettiva stessa di Zhao nel trattare l’argomento è sufficiente a capirlo. I lunghi silenzi e l’espressività della McDormand bastano a descrivere l’impetuosa emotività nascosta di una comunità intera di persone che, volenti o nolenti, hanno abbandonato o sono state abbandonate dalla società. Nomadland preferisce non sbandierare uno stile di vita in maniera boriosa (laddove poteva averlo fatto Captain Fantastic [2016] di Matt Ross), ergendolo al di sopra di chi vive sotto ad un tetto, ma lo accetta rassegnatamente come l’esito di qualcosa che è andato storto. E’ stata colpa del sistema? Forse. E’ stato un trauma più profondo e personale? Forse. L’allontanamento dalla città, dalla metropoli e dal suo caos permette a Zhao di inondarci con una marea di paesaggi mozzafiato, che si parli di vastissime zone brulle, di lunari siti paleontologici, di foreste incontaminate o di suggestive zone aride tagliate da bellissimi tramonti, che diventano inevitabilmente aree di soste per nomadi. Spettacolari panorami naturali che si riappropriano dei propri abitanti più rispettosi (“non buttare niente per terra” dice la McDormand all’amico Dave).

Nomadland
Fern (Frances McDormand) si sposta all’interno del Badlands National Park.

Persone che riscoprono il bello del vivere in mezzo ad ambienti che sicuramente ricordano di più la natura degli agglomerati urbani sporchi ed inquinati. Questa necessità si avverte soprattutto quando Fern si isola in una location boschiva e si immerge in un torrente completamente nuda. Presa di coscienza, quella del nomadismo, che viene raccontata evidenziando tutte le difficoltà del caso. Con una macchina come casa il primo disguido può essere fatale, come una ruota bucata in mezzo al nulla o un danno al motore ancora più grave. Ma anche in questi casi lo spirito di solidarietà, di cui Nomadland è sanissimo portatore, risolve tutti i problemi. Il ricongiungimento con una vita primitiva fa’ riaffiorare usanze andate inevitabilmente perse come il baratto: i proprietari dei van si radunano ed espongono la merce di cui si vogliono disfare che non viene acquistata ma viene scambiata con qualcos’altro. I nomadi attraversano il continente, si danno appuntamento in una landa desolata e fanno ciò che farebbe chiunque (o verrebbe anche da dire che fanno molto di più e molto di meglio di tutti): si divertono, vanno al pub, ballano, visitano parchi e lavorano. Fern e i suoi amici si spostano e cercano nuove occupazioni di conseguenze, perché tutto ciò che importante è avere i soldi necessari ad avere una casa su ruote e muoversi. Finita la festa infatti ognuno prende la sua strada in vista del prossimo appuntamento, come dice il guru in carne ed ossa Bob Wells: “Ci incontriamo sulla strada.”.

Una scelta, quella di Fern, difficile da estirpare e ben espressa nel passaggio più emblematico del film: lei viene invitata a stare da Dave, che sembra aver deciso di prendersi una lunga pausa dalla vita nomade, e alla prima notte passata su un letto, si alza, esce di casa e va a dormire nel van. Un’anima condannata al viaggio eterno su un terreno disastrato ma tenuto in piedi da una volontà di ferro, come ormai McDormand ci ha abituati a vedere incarnata nei suoi personaggi. Le immagini di Nomadland sono potenti ed emozionanti, e testimoniano una rinascita già avvenuta, ma che si porta dentro tutta la sofferenza da cui è scaturita; un chiaro esempio è Fern che nel finale attraversa la sua vecchia casa, esce dalla porta sul retro e si perde in una landa sconfinata delineata in lontananza da montagne innevate. L’operato di Chloé Zhao in definitiva è altamente suggestivo per quanto riguarda il corredo fotografico, la cui storia (tratta dal libro di Jessica Bruder Nomadland – Un Racconto D’Inchiesta [2017]) potrebbe fungere un po’ da ruffiano pretesto (puzza un po’ l’apparizione dei magazzini Amazon in un contesto fatto di Bob Wells e stile di vita fuori dagli schemi). Nomadland rimane comunque uno spettacolo a cui vale la pena assistere.

Zanini Marco

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