Metallica – …And Justice For All – Vivere è morire.

Metallica – …And Justice For All

Anno: 1988

Paese di provenienza: USA

Genere: thrash metal

Membri: James Hetfield – chitarra e voce; Jason Newsted – basso; Kirk Hammett – chitarra; Lars Ulrich – batteria

Casa discografica: Elektra Records

  1. Blackened
  2. …And Justice For All
  3. Eye Of The Beholder
  4. One
  5. The Shortest Straw
  6. Harvester Of Sorrow
  7. The Frayed Ends Of Sanity
  8. To Live Is To Die
  9. Dyers Eve

I Metallica che si affacciano sul 1988 sono ormai i nuovi astri nascenti del mondo metal. Master Of Puppets li ha consolidati tra il grande pubblico e ha aperto loro l’ingresso alle grandi arene. Sulla strada verso un futuro che può promettere grandissime cose si staglia il buio di una tragedia: la morte di Cliff Burton, avvenuta in Svezia, durante il tour europeo, in quella sciagurata notte in cui il bus si rovesciò producendo una sola vittima. Per sopperire alla scomparsa di uno dei più talentuosi bassisti degli anni ’80, Hetfield e soci arruolano Jason Newsted, già messosi in mostra nei fantastici Flotsam And Jetsam. Al nuovo membro viene data subito la possibilità di sfogare le sue abilità in The $5.98 E. P.: Garage Days Re – Revisited (1987), mini album di sole cover che omaggia i gruppi simbolo della formazione musicale dei Metallica. Nonostante la brevità del prodotto Newsted dimostra già di essere un ottimo bassista, magari non estroso ed eclettico come Burton, ma dalla grande tecnica e con una peculiare conoscenza dello strumento, come si noterà soprattutto nelle lunghe tournèe.

Ora però è il momento di dare un seguito a quell’album capolavoro che sconvolse il metal nell’86. Saranno riusciti i Metallica a bissare quel grande successo? Il thrash ormai ha dichiarato a gran voce la sua spinta distruttiva (e gli Slayer ne sono stati i massimi esponenti con Reign In Blood, sempre dell’86), perciò là dove l’impatto ha già detto la sua, sono la tecnica e la struttura ad emergere. …And Justice For All è un campione di tecnica e struttura. E’ un arzigogolo possente e continuo di riff sinistri, scuri, talvolta insensibili e glaciali, granitico e maestoso come la copertina pietrosa e acromatica. C’è qualcosa di drammatico e decadente dietro, un messaggio nichilista e distruttivo: la Dea bendata sta crollando (e lo farà anche sul palco in tutte le date del tour) e dalla bilancia cade una cospicua quantità di verdoni. Sotto, sbombolettato in nero su bianco, …And Justice For All. Attacco al potere? Denuncia sociale? Il modo in cui lo fanno i quattro californiani è adeguato: stentoreo e ficcante, brutale ed intransigente. Il quadro completo rende …And Justice For All, se non il disco migliore della loro carriera, il più affascinante, completo e creativamente straripante. Un’opera thrash progressiva ed imprevedibile, che riesce a farsi apprezzare nonostante la linea di basso inesistente, misteriosamente cancellata in studio (sarà la prima avvisaglia di una rottura tra i vecchi membri e il nuovo entrato Newsted, che all’epoca venne inspiegabilmente bersagliato dai compagni). Si può sindacare sulla freddezza generale, sulla riluttanza a proporre pezzi più orecchiabili, ma qui la qualità è alta ed è soprattutto la musica a parlare. Ci sono comunque momenti rimasti indelebili nella storia del gruppo, come l’emozionante dissolvenza che apre Blackened. Traccia che ha il diritto di rimanere un punto fermo nella storia del thrash grazie al suo urto cervellotico ed insistente. Un palleggio efficacissimo di galoppate e rallentamenti che istigano ad un mosh selvaggio. Un’ode scurissima che declama la fine della nostra madre Terra distrutta dal fuoco, violata e mutilata e l’annientamento della razza umana, cancellata e terminata. Ad emergere è sicuramente la qualità del testo (caratteristica diffusa in tutto il disco), composto da parole efficaci, profetiche e raggelanti. Per non parlare dell’assolo di Hammett, fluviale, sibilante ed inappuntabile. …And Justice For All, come da tradizione, se nomina il disco deve essere un pezzo poderoso e colossale. Quasi dieci minuti di composizione che cerca di non dare punti di riferimento e che forse, a tratti risulta troppo esasperata, ma il meccanismo è studiato con una perizia tale ed è carico di una così prorompente epicità, che va a sostituire la furia ceca di Blackened, che si può soltanto rimanere estasiati fino al finale di rara emotività. Un gigantismo simile ben si adatta alla denuncia che i Metallica rivolgono ad una società guidata dal dio denaro. Eye Of The Beholder conferma che nel’88 il gruppo non era minimamente interessato a proporre facili ascolti. La mitragliata comincia anche qui in dissolvenza e si evolve in un crescendo tetro e malvagio. E’ un pezzo negativo e sfacciato, senza secondi fini o attrattive commerciali. Una mancanza compensata all’ennesima potenza dal fascino oscuro che ne scaturisce. Secondo quanto dice la storia, One è diventata per contraltare, il pezzo più popolare del disco, grazie alla sua partenza melodica e alla sua struttura tutto sommato più semplice. Questo non ne intacca la qualità. L’arpeggio che poggia su quattro strofe semplici e brevi coglie il tono giusto per descrivere gli orrori della guerra (che troverà una giustificazione visiva nel primo videoclip dei Metallica, dove verrà omaggiato il film E Johnny Prese Il Fucile). Il finale poi è una drammatica sinfonia di schitarrate telluriche, che con la sua linea vocale asciutta e declamata non può che essere considerato un classico del genere. Diretto e inequivocabile come gli assoli di Hammett, sempre pronto a dare quel tocco in più a dei pezzi già importanti. Da pelle d’oca. Canzoni semplici e dirette. Tutto quello che non è The Shortest Straw. Un vortice continuo dove si fa’ rivedere una ritmica più sostenuta e puramente thrash, rispetto alle mastodontiche esibizioni precedenti, annegate per lo più nei mezzi tempi. D’altronde la peculiarità del metal dei Metallica non è mai stata la velocità della batteria, bensì quella della chitarra ritmica che si solleva spesso in riff iper compressi, grattati e fulminei. The Shortest Straw mantiene comunque una durata importante, attestandosi sui sei minuti abbondanti. Minuti ricchi di capovolgimenti, scatti, interruzioni, riprese e impreziositi da un ritornello palindromo, che attacca in maniere differenti disorientando e sorprendendo l’ascoltatore. Un piccolo gioiello.

Altro pezzo piuttosto celebre è Harvester Of Sorrow. Un brano velenoso, tutt’altro che veloce, ma che nel suo incedere ipnotico e pachidermico ricorda abbastanza da vicino The Thing That Should Not Be di Master Of Puppets. Infatti il grande pregio di Harvester Of Sorrow è l’atmosfera mortifera e malata che fluisce attraverso le chitarre infide di Hetfiled e Hammett. In un certo senso si può definire un brano simbolo dei Metallica, dove tutti gli elementi fondamentali confluiscono alla perfezione nello stesso punto, guidati dalla voce magnetica di Hetfield. Per un vero maniaco del thrash metal tecnico però il pezzo più interessante non può che essere The Frayed Ends Of Sanity. Innanzitutto c’è quel coro a metà tra l’inno piratesco e il ruggito misterioso, che di per se è già qualcosa di fenomenale. Poi la durata e il contenuto parlano da se. Sette minuti e quaranta secondi ricchissimi. Armonizzazioni, rintocchi di piatti studiati ad arte, evoluzioni chitarristiche morbose e nevrotiche, assoli spaziali. Una perla passata ingiustamente inosservata, forse troppo pretenziosa e sofisticata anche per il pubblico metal. Se The Frayed Ends Of Sanity è un episodio sottostimato, To Live Is To Die è l’oscuro componimento poetico completamente strumentale (fatta eccezione per pochissime parole parlate e non cantate), composto da Burton prima di passare a miglior vita. Un altro tomo di quasi dieci minuti strutturato in maniera lineare ma con una scelta dei riff pregevole, dal vistoso accento drammatico e da un’espressività incontenibile. Un epitaffio sofferente e da brividi. A questo punto pronunciare la parola fine non sarebbe per nulla disdicevole, ma i Metallica decidono di chiudere con un ritorno alle origini, martellante e furente. Dyers Eve è un buon pezzo, coinvolgente ed inarrestabile, piuttosto simile a Damage Inc., anche se non ha la stessa strafottenza e se ne percepisce anche una tonalità più matura. Comunque quanto basta per accontentare l’headbanger più sfrenato. Quest’opera monumentale si conclude così, con il brano più corto ed avulso (solo cinque minuti abbondanti). La crescita di questi musicisti li ha portati a toccare una vetta compositiva e creativa che nel loro circuito ha avuto pochi eguali. Il thrash metal da materia prima grezza e già superlativa si è evoluta in un traguardo ambizioso e strutturato, raggiungendo un’organizzazione perfetta. Quello che sarà dei Metallica all’indomani di …And Justice For All, all’inizio degli anni ’90, lo sanno in moltissimi. Dove un apice è stato raggiunto, qualcosa deve cambiare…

Voto: 10

Zanini Marco

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