LA POESIA “VINCE DI MILLE SECOLI IL SILENZIO” Prof. Martillotto

LA POESIA “VINCE DI MILLE SECOLI IL SILENZIO” Francesco Martillotto

foscolo

L’ orazione Dell’origine e dell’uficio della letteratura, che Foscolo scrive nel 1809, dopo il carme dei Sepolcri, per inaugurare il suo corso universitario a Pavia, chiarisce lo scopo ed il valore delia sua attività creativa. Anzitutto, per il poeta, la parola è conditio sine qua non della civiltà, strumento e veicolo della conoscenza, il tramite tra mente e cuore:

“senza la facoltà della parola le potenze mentali dell’uomo giacerebbero inerti e mortificate, ed egli, privo di mezzi di comunicazione necessari allo stato progressivo di guerra e di società, confonderebbesi con le fiere.” (1)

Se queste sono le premesse, la poesia, si comprende, allora, non è altro che il processo che porta a perfezionare sia “la facoltà di pensare” sia “i mezzi di abbellire e di perpetuare il pensiero”. Essa, di fronte alla presa di coscienza di una realtà materialistica, di fronte alla natura ed ai costumi che non sempre riescono ad ammaestrare positivamente e preservare la gioventù,

seguì a confortare con I’entusiasmo, con la pittura e con l’armonia le utili passioni degli uomini, ma concesse agli storici d’illuminarle con l’osservazione degli avvenimenti, ed agli oratori di persuaderle col calore della poesia, con l’esperienza della storia e con l’evidenza della ragione. Ne’ poeti dunque, negli storici e negli oratori contiensi Ia letteratura delle nazioni, la quale tanto è più pregna di bella eloquenza, quantè più derivata dai sentimenti del cuore, dalle ricchezze della fantasia, dal nerbo del raziocinio e dalla convinzione del vero.

I poeti hanno dunque, una funzione, che non è solo quella consolatoria e a livello individuale, ma sociale, cioè, con la loro attività, rendono possibile lo svilupparsi della civiltà e il progresso dell’umanità. Ogni nazione ha una sua storia la cui memoria va tenuta costantemente viva perché non vada persa la coscienza del proprio essere presente, un legame ininterrotto tra tradizione e tempo contemporaneo. Maggiormente il popolo  italiano,decaduto per Foscolo, ha particolarmente bisogno di riflettere sulle sue glorie e sugli esempi dei suoi padri; da quelle e da questi deve trarre validi insegnamenti e auspici affinché possa rigenerarsi e riconquistare la propria libertà. La nostra nazione, appunto ha un passato nobile e glorioso:

Né la barbarie de’ Goti, né le animosità provinciali, né le devastazioni di tanti eserciti, né le folgori de’ teologi, né gli studi usurpati da’ monaci, spensero in quest’ aure quel fuoco immortale che animò gli Etruschi e i Latini, che animò Dante nelle calamità dell’ esilio, e il Machiavelli nelle angosce della torfura, e Galileo nel terrore della inquisizione, e Torquato nella vita raminga, nella persecuzione de’ retori, nel lungo amore infelice, nella ingratitudine delle corti, e tutti questi, e tant’altri grandissimi ingegni nella domestica povertà. Prostratevi su’ loro sepolcri, interrogateli come furono grandi e infelici, e come l’amor della patria, della gloria e del vero accrebbe Ia costanza dei loro cuore, la forza del loro ingegno e i loro benefici verso di noi.

Emergono in modo netto ed inequivocabile, da questa orazione e dal commento alla Chioma di Berenice di Callimaco,(2)  gli alti e nobili valori morali e civili della parola poetica la quale li eterna e li tramanda e, ancor più, da essa si potrà trarre l’eterna condizione dell’ esistere umano.

La parola poetica, che poi è la parola per eccellenza, rende per Foscolo immortale la memoria dell’uomo e conferisce un senso al breve passaggio che abbiamo sulla terra.  Attraverso l’uso della parola, il poeta trova la strada che porta all’immortalità, la strada per far vivere in eterno ciò che pensa/narra/descrive. Essa congiunge autore e lettore di ogni epoca, senza ostacoli spazio-temporali, suscita in lui ricordi e emozioni che altrimenti il tempo involverebbe col suo oblio, col suo nulla eterno, perché la capacità di fermare ciò che scorre e fissare gli istanti del tempo che inesorabilmente fugge, perché è lo strumento della memoria. Solo memoria e non dà certezze assolute, in ispecie nella poesia novecentesca (si pensi a Montale): se il mezzo è del tutto umano, il fine è pienamente divino. (3)

Nell’eterna, ossimorica e dialettica, diade tra vita e morte, la paroIa poetica ha in sé la capacità di sottrarsi alle leggi della morte, essa è di ristoro ed eterna, in quanto concede all’uomo la possibilità di formarsi/ rappresentarsi una sua quiete onde sottrarsi alla fugacità del tempo e della morte:

Precorre le ali del tempo, e al fuggitivo attimo presente congiunge lo spazio di secoli e secoli ed aspira all’eternità

L uomo a causa della sua finitezza e caducità, tramonta, come il sole e la luna, ma con Ia differenza che non risorgerà mai più; la parola poetica può, invece, rimuovere questa minacciosa paura della morte perché ci insegna a forgiare quella memoria nella quale I’uomo si proietta tra i vivi, nelle nuove generazioni, per dare senso e dignità, come detto, alla propria esistenza. La poesia è, in fin dei conti, un atto d’amore totale. O almeno verso questo è mossa e deve essere indirizzata. La poesia, tra le arti, è quella più alta in grado: ci fa rivivere le emozioni degli avvenimenti passati (si pensi al Cinque maggio manzoniano, agli stessi Sepolcri o, ancora, ai Poemi de ll Risorgimento e agli inni a Roma e Torino del Pascoli). Essa è inoltre, “armoniosa melodia pittrice” (Grazie, I,  v. 5), altra espressione per illustrare il fare poetico, inteso a replicare, nell’esposizione degli awenimenti e del loro significato l’evidenza delle immagini. Nei Principi di critica poetica scrive, infatti, che la poesia unisce:

l’armonia delle note musicali per mezzo della melodia, delle parole e della misura del verso e l’armonia delle forme de’ colori e delle proporzioni per mezzo delle immagini e delle descrizioni.

lnstaura poi, nei Sepolcri, una relazione tra Ia funzione ed il valore della poesia e quelli attribuiti ai sepolcri (si ricordi pure A Zacinto e ln morte del fratello Giovanni): se I’una e gli altri si prefiggono come compito e fine suprerno quello di serbare la memoria contrastando e rendendo nulla l’opera distruttrice del tempo e della natura, attraverso il ricordo eterno, possiamo pero attribuire alla tomba il compito di preservare la memoria della persona estinta, alla poesia il ruolo di ‘sepolcro” del pensiero, dell’emozione, della passione, perché il suo messaggio sarà imperituro. Ma la poesia è più potente: mentre il sepolcro col tempo incorrerà in una sua distruzione, Ia poesia vincerà di “mille secoli il silenzio” e, con essa, il suo autore o i protagonisti dei versi saranno resi immortali: basti citare solo Ulisse, Paolo e Francesca, il conte Ugolino o Catone per rimanere a Dante, o Clorinda e Tancredi tassiani.

La poesia è faro che guida in un porto di quiete e tranquillità chi si è trovato naufrago nella tempesta degli accadimenti: è il caso dello stesso Foscolo di Giacomo Leopardi e prima di loro di Torquato Tasso. lnfine, la parola riesce a rendere perenne ciò che, a prima vista, in vita può sembrare invisibile ed impercettibile: e non mi riferisco solo alle cose ma perlopiù agli uomini, i quali volti e chiusi in una coltre di oscuro e di incognito vengono resi degli anonimi agli occhi fugaci e caduchi del mondo.

Solo attraverso la letteratura, sia essa prosa o poesia, la loro memoria si serberà, custodita nella parola, in eterno.

 

1 Tutte le citazioni sono tratte dalla Edizione Nazionale delle opere di Ugo Foscolo: qui, nello specifico da VII. Lezioni, Articoli  di critica e di polemica (1809-1811), a cura di E. Santini, Firenze, Le Monnier, 1972.

  “Ora la poesia deve avere per istituto cantare memorabili storie, incliti fatti ed eroi, accendere gli animi al valore, gli uomini alla civilta, le città all’ indipendenza, gl’ingegni al vero e al bello. Ha perciò d’uopo di percuotere le menti col meraviglioso, ed il cuore con le passioni”  (VI Scritti letterari e politici dal 1796 al 1808, a cura di G. Gambarin, Firenze, Le Monnier, 1972)

3  Interessantissimi spunti, in tal senso, si ricavano da quella che e ritenuta l’ultima lettera di Torquato Tasso scritta poco prima della morte all’ amico Antonio Costantini. La riflessione sulla miseria della vita terrena è contrapposta all’elevazione ad una condizione ultraterrena (“Non è più tempo ch’io parli de la mia ostinata fortuna per non dire de l’ingratitudine del mondo, la quale ha pur voluto aver la vittoria di condurmi a la sepoltura mendico, quando io pensava che quella gloria che mal grado di chi non vuole, avrà questo secolo da i miei scritti. non fusse per lasciarmi in alcum modo senza guidardone”),  la netta opposizione tra un’esistenza condotta da “mendico”  e la grandezza della sua esperienza poetica, non sono altro che una prova di estrema confessione e sincerità di un poeta che ha compreso la “vera” vita e la “verace carità”. Ma soprattutto ha piena coscienza dell’immortalità della sua poesia.

 

Prof. Francesco Martillotto

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