La memoria della bicicletta Racconto di Alberto Zanini. Edizioni Sensoinverso

“La memoria della bicicletta”. Racconto di Alberto Zanini incluso nell’antologia “Precipitare in libertà” edito da Sensoinverso edizioni

bicicletta.

 

L’insegna “La boutique della bicicletta” gli sembrava di buon auspicio, anche se a pensarci bene, un po’ presuntuosa.

Nel negozio la luce era tenue, un neon tremolava. L’arredamento era spartano ed essenziale.

Si fermò sulla soglia indeciso se entrare o allontanarsi velocemente. Dietro il bancone c’era un uomo vestito di scuro, alto e robusto, con un naso aquilino e i capelli a spazzola, seduta su una sedia, con una coperta sulle gambe, una donna con corti capelli bianchi, il viso segnato da un reticolo di rughe, labbra sottili e occhi azzurri chiarissimi, quasi bianchi.

“Avete borse per la bicicletta?” chiese avvicinandosi al bancone.

“Sei sicuro di averne veramente bisogno?” rispose la donna “se fossi in te comprerei una catena più robusta”.

“La mia catena va benissimo, mai avuto dei problemi”

“Credo che in questo momento non stia facendo il suo dovere” replicò ancora la donna

Una leggera preoccupazione invase Luca che uscì dal negozio: effettivamente la bicicletta non c’era più; guardò tutto intorno, inutilmente.

Rientrò in negozio visibilmente preoccupato.

“Come faceva a saperlo? Chi l’ha presa?”

“I miei occhi ormai vedono solo delle ombre, però percepisco cose che agli altri sono negate”

“Mi hanno rubato la bicicletta” disse sottovoce come se volesse rendersene conto.

La voce roca della donna infranse il silenzio che per un attimo era sceso nel negozio.

“In attesa di vedere se riesci a ritrovarla, posso prestartene una”

Luca, visibilmente disorientato, valutò l’offerta e fece si col capo. D’altronde non è che avesse molta scelta. Accettare o tornare a casa a piedi.

“Glauco, vai a prendere Mnemosine, per favore” chiese la donna.

L’uomo fece un breve cenno e poco dopo ritornò spingendo rumorosamente una vecchia bici rossa scolorita.

“Certo non è una bellezza, ha qualche ammaccatura, ma provvisoriamente andrà bene” concluse la donna.

Luca, dopo aver bofonchiato un ringraziamento, spinse la bici fuori dal negozio, alzò il sellino montò in sella e dopo pochi istanti non fu più visibile.

Arrivato all’altezza del ponte lo imboccò lentamente ripensando alla sua disavventura. Riusciva a vedere l’isolotto lambito dal fiume indolente. Pioppi bianchi e molte cannelle palustri ricoprivano la sabbia chiara, mentre due aironi rossi zampettavano pigramente. Appollaiato su una canna sporgente un Martin Pescatore, dal ventre arancione il dorso azzurrino e il lungo becco, era in attesa di piccoli pesci.

La bici sferragliava rumorosa, con la catena che batteva contro il carter ammaccato.

Luca scorse, in lontananza, una macchina che sbandava senza riuscire a mantenere la tenuta di strada. Vide qualcosa volare e infrangersi contro un albero. Non riuscì a trattenere una imprecazione. La macchina si fermò vicino al ciglio della strada, ma dopo pochi istanti riprese la marcia. Giunse sul posto quando la vettura era ormai irraggiungibile, ai piedi di un albero vide un corpo rannicchiato in una postura innaturale, immobile e apparentemente senza vita.

Scese dalla bicicletta che senza più sostegno rovinò per terra. Nello stesso istante il corpo svanì all’improvviso. Luca temette di aver avuto un’allucinazione “non è possibile” disse a bassa voce; controllò con attenzione ma del corpo non vi era più traccia.

Perplesso raccolse la bicicletta per riprendere la strada e il corpo riapparve ai piedi dell’albero. “Cazzo, cosa sta succedendo? Sono impazzito?”

Si avvicinò lentamente, scese dalla bicicletta appoggiandola ad un albero e l’immagine svanì di nuovo. Confuso, appoggiò una mano sul sellino e l’immagine ritornò nitida e reale; si mise a carponi e tirandosi dietro la bicicletta, si affiancò al corpo che si rivelò di una donna. Il sangue rappreso aveva incollato i capelli alla testa e ricoperto gran parte del volto, le accostò l’orecchio alle labbra della donna che si lamentava debolmente. Il forte e acuto odore che promanava dalle radici affioranti si mescolava con quello del sangue. Luca sentì uno sgradevole stordimento. Si domandò se la donna fosse a piedi ma gli era sembrato di vedere volare anche una bicicletta. Nei pressi non riuscì a vederla.

Prese il cellulare per chiamare il 118, ma non c’era campo. Si mosse febbrilmente in tutte le direzioni, niente da fare.

La frenata di una macchina attirò la sua attenzione. Era un’ambulanza che qualcuno aveva chiamato; i sanitari, dopo un primo accertamento immobilizzarono la donna applicando anche un collare cervicale; la caricarono sull’ambulanza e presero la direzione della città. Nel frattempo arrivò anche una volante della polizia che si fermò sul ciglio della strada. Luca spingendo la bicicletta si avvicinò all’agente che scese dalla vettura.

“Buongiorno sono l’agente Cei”

“Buon giorno io sono Luca Rado”

“E’ qui che hanno investito qualcuno? Lei è un testimone?”

“Si ho assistito all’incidente ma ero un po’ lontano. Comunque una vettura scura, credo fosse blu ha investito una donna, ma temo di non potervi essere molto d’aiuto. L’auto sembrava guidata da un ubriaco perché non riusciva a tenere la strada. Si è fermata un attimo dopo l’impatto ma poi è ripartita immediatamente”

“E’ riuscito a vedere la targa?”

“Era sporca ma gli ultimi numeri mi sono sembrati: 948”

“Ok. Se dovesse venirle in mente qualcos’altro passi in centrale”

“D’accordo”

Mentre gli agenti iniziarono i rilievi tecnici dell’incidente, Luca prese la direzione della città, ma giunto sul ponte si fermò. Mise le mani sul parapetto e si perse ad osservare il lento scorrere del fiume.

La rabbia del furto della bicicletta aveva lasciato il posto al turbamento dell’incidente.

Montò su Mnemosine e ritornò verso la città. Giunto sotto casa preferì non lasciare la bicicletta in strada memore del furto del mattino. Spinse la porta dell’ingresso del palazzo e con fastidio vide l’ascensore fuori uso; imprecando salì i tre piani caricandosi la bicicletta in spalla. Il monolocale dove viveva era ordinato, ma la lettiera del gatto aveva diffuso un odorino poco invitante. Cambiò la sabbia ed aprì le finestre; mise a scaldare il bollitore dell’acqua. Il gatto incominciò a strofinarsi sulle sue gambe miagolando. Era tutto nero aveva una macchia grigia sul muso come una grande virgola che partiva dall’occhio e scendeva fino alla bocca. Sembrava una cicatrice.

“Scarface vuoi mangiare?” disse mentre prendeva la scatola dei croccantini. Davanti alla ciotola il gatto, soddisfatto, iniziò a mangiare voracemente.

Quando il bollitore si mise a fischiare Luca scelse una bustina di the al bergamotto e con la tazza colma di liquido ambrato e profumato si sedette sul divano e socchiuse gli occhi.

Era il giorno del suo compleanno e sua madre era stata la prima a fargli gli auguri per telefono. Se avesse saputo che la giornata avrebbe preso quella piega inattesa forse sarebbe stato a casa. Sì, decisamente non sarebbe uscito.

Ero in piedi sui pedali della bicicletta e vedevo in lontananza il cielo plumbeo che minacciava pioggia.

Il rumore di una macchina che arrivava da dietro mi allarmò; feci appena in tempo a girarmi che l’urto mi tolse il fiato e mi scaraventò verso un albero. Il dolore dell’impatto mi fece perdere i sensi. Quando mi risvegliai il silenzio era assoluto, sembrava che la natura rispettasse la mia sofferenza. Avevo la sensazione di avere il corpo attraversato da migliaia di aghi. Con uno immenso sforzo riuscii a rimettermi in piedi: mi appoggiai all’albero sentendo la ruvida corteccia graffiarmi la fronte. Con lo sguardo offuscato cercai la bicicletta e la vidi poco lontano. La raggiunsi faticosamente. Mi fermai per riprendere fiato, la rimisi in piedi e vi montai cercando di riprendere la pedalata. La ruota era leggermente piegata e mi faceva sbandare vistosamente, feci pochi metri quando il rumore di una frenata precedette un nuovo impatto e venni sbalzato; il volo fu liberatorio e con un agghiacciante rumore di ossa mi schiantai sull’asfalto. Il buio mi avvolse senza che me ne rendessi conto.

Un urlo straziante ruppe il silenzio. Luca si ritrovò sul divano con la tazza di the, ormai freddo, rovesciata addosso e Scarface che lo fissava incuriosito. Il ragazzo si rese conto che era stato solo un sogno, brutto e spaventoso, ma per fortuna solo un sogno.

L’indomani, di buon ora, Luca si presentò al triage del pronto soccorso e chiese dove fosse ricoverata la donna dell’incidente.

“Qui non risulta nessun arrivo” rispose l’infermiere dell’accettazione, mentre controllava i ricoveri del giorno prima.

“Dove sarebbe successo questo incidente?”

“Dopo il ponte, alle porte della città”

“Mi dispiace ma qui non è mai arrivata; provi a cercarla negli ospedali della provincia o in qualche clinica” concluse l’infermiere.

Luca, a quel punto, decise di andare in Questura, dove chiese di poter parlare con l’agente Cei. Il poliziotto dietro il bancone rispose che non lavorava.

“Quando sarà in servizio?” insistette Luca.

“Forse non mi sono spiegato bene” replicò l’agente “Non presta servizio qui”

Luca rimase perplesso e malgrado avesse voglia di insistere, chiese se poteva parlare con qualche dirigente.

“Può parlare con l’ispettore Ravazzi, in fondo al corridoio la terza porta a destra”

Dopo aver bussato alla porta attese qualche istante finché una voce disse “Avanti”

“Ispettore Ravazzi?”

“Si, sono Luna Ravazzi, prego in che cosa posso esserle utile?” Era una giovane donna, non molto alta, con dei capelli corvini che si appoggiavano sulle spalle incorniciando un bel viso. Indossava una camicetta color avorio, leggermente aperta davanti, dalla quale si intravvedeva all’altezza della scapola sinistra un piccolo pipistrello tatuato. Mentre raccontava, Luca non riuscì a nascondere l’interesse per quel particolare. L’ispettore ascoltò in silenzio tutta la deposizione mostrandosi interessata, quando Luca finì si fece dare le generalità e il numero di telefono assicurando che avrebbe cercato di fare luce sia sulla donna che sul fantomatico agente della volante. Mentre si avviava verso la porta Luca sentì la donna dire: “Sono sette signor Rado”

“Cosa, scusi?” disse Luca voltandosi

“I pipistrelli che ho tatuato e che l’hanno distratto durante il suo racconto” precisò Ravazzi con un sorriso sornione.

“Mi scusi, non volevo” rispose Luca confuso. Sembrava un bambino beccato con le mani nella marmellata.

Uscì in fretta richiudendosi la porta alle spalle.

Qualche giorno dopo le prime note di “Man with a Harmonica” annunciarono una chiamata in arrivo sul cellulare.

“Signor Rado?” Luca riconobbe subito la voce femminile

“Dica ispettore”

“Ha tempo di passare in questura? Volevo aggiornarla su alcune questioni”

“Sto uscendo per fare colazione prima di andare a lavorare, se ha voglia di bere un caffè possiamo trovarci al bar davanti alla Questura fra una ventina di minuti” rispose Luca.

“D’accordo”

Nel bar, in fondo al locale, trovarono un tavolino libero; dopo aver ordinato un latte e menta, l’ispettore, aspettò che il barista portasse l’ordinazione, quindi tirò fuori una busta con delle foto chiedendo a Rado se riconoscesse qualcuno. Luca dopo averle osservate attentamente alla fine ne indicò una con la mano.

“E’ sicuro?” chiese Ravazzi.

“E’ un po’ sgranata però credo che sia proprio l’agente che ho visto sul luogo dell’incidente”

“Ho fatto qualche ricerca ed ho trovato due Cei in polizia; uno alla Polfer in Liguria, giovane e che lavora da poco tempo ed un altro che non è più in servizio dal 1998 quando, purtroppo, morì per un infarto. Per quanto riguarda la donna investita, non abbiamo sufficienti riscontri per poterla individuare. Forse se lei riuscisse a ricordare l’auto e il numero della targa potremmo fare qualche passo avanti”

“La targa era sporca però gli ultimi numeri mi sono sembrati: 948, ma la macchina non sono riuscito a riconoscerla” disse afflitto Luca

“Quando ha un momento di tempo libero la pregherei di passare da noi. Le farò vedere le foto dei modelli delle macchine di qualche anno fa per un ulteriore controllo”

“D’accordo, adesso però devo proprio andare. Mi farò sentire. Arrivederci”

“A presto allora” concluse l’ispettore.

Qualche giorno dopo Luca si presentò in Questura.

Ravazzi gli fece vedere decine di foto di macchine e dopo aver sottolineato che quei numeri di targa potessero risalire agli anni 80, Luca credette di riconoscere una Fiat Ritmo.

“Ispettore, allora lei crede nel mio racconto, anche se appare un po’ inverosimile?” chiese Luca

“In effetti qualche perplessità l’avevo, ma dopo che lei ha riconosciuto nella foto proprio l’agente Cei, mi sono in parte ricreduta, e credo sia giusto approfondire la ricerca. Adesso, forse, con il riconoscimento dell’auto potremmo aver fatto un ulteriore passo avanti. Le farò sapere” disse l’ispettore alzandosi in piedi e accompagnandolo alla porta.

In quei giorni Luca era ossessionato da un particolare che gli sfuggiva e continuò a pensarci finché non gli venne in mente il dettaglio cercato.

Diede da mangiare a Scarface e andò a dormire.

L’indomani mattina Luca entrò nel negozio di biciclette e la donna seduta, sebbene non potesse vederlo, lo riconobbe subito. Il particolare turbò il ragazzo che comunque mascherò abilmente il suo stato d’animo.

“Mi dispiace non essere venuto prima a restituire la bicicletta, ma ho avuto qualche problema”

“Non preoccuparti, puoi tenerla finché ne avrai bisogno” rispose la donna

Quella mattina Luca voleva trovare le risposte agli interrogativi che lo assillavano. Esitante disse rivolgendosi alla donna: “Mi chiedevo se lei avesse avuto un incidente>>

“Anni fa ho subito una lesione traumatica alla dodicesima dorsale e alla prima lombare, ormai sono ventisette anni che sono paraplegica” rispose la donna con voce piatta.

Un silenzio denso e appiccicoso scese su di loro; fu Glauco a romperlo con la sua voce cavernosa: “Barbara non ha molto piacere a parlare di quell’episodio”

A Luca rimasero strozzate in gola altre domande che avrebbe voluto fare, ma si ripromise di riaffrontare l’argomento.

Appena uscito dal negozio, Luca chiamò l’ispettore suggerendo di controllare le vetture del 1992. “Come mai proprio quell’anno?” chiese Ravazzi

“Sto seguendo una mia intuizione e spero ci porti velocemente alla soluzione di questo caso”

“Ok. Le farò sapere” concluse l’ispettore.

Passarono alcuni giorni, quando Luca ricevette una telefonata: “la vettura che lei crede di aver riconosciuto è stata in produzione tra il 1978 e il 1988. Nel periodo tra il 1991 e il 1993, con quei tre numeri finali che è riuscito a leggere, la ricerca si è ristretta ad una sola vettura. Adesso spero di riuscire a trovare il proprietario ancora in vita. Le farò sapere” disse l’ispettore

Era una piccola e dignitosa villetta. Sul campanello la targhetta riportava Cipollini. Suonò il citofono e una voce femminile rispose; dopo essersi qualificata come ispettore un ronzio accompagnò l’apertura del cancello. Le beole la condussero davanti alla porta di casa dove una donna l’attendeva.

“Sono l’ispettore Ravazzi” disse presentandosi “Ci siamo sentite ieri telefonicamente”

“Lei ha parlato con mia madre, io sono Carla” rispose una signora con un viso arcigno e spigoloso.

L’ispettore venne fatto accomodare in cucina. “Mia madre non sta molto bene e ha preferito che fossi presente io. Mi scusi ma non abbiamo capito il motivo della sua visita” il tono della voce era freddo e distaccato.

“Come le avevo accennato ieri, avrei qualche domanda da farle su suo padre” disse Ravazzi

“Riguardo un episodio che riteniamo sia accaduto molti anni fa, precisamente nel 1992”

“Sono passati tanti anni e la mia memoria non è mai stata un granché, non credo di poter esserle d’aiuto e comunque mio padre è morto ormai.” rispose algida Carla, ritenendo chiuso l’argomento.

Mentre avveniva questo incontro, Luca varcava la soglia del negozio di biciclette; salutò la donna seduta, come al solito, vicino al bancone e disse: “Mi chiedevo se fosse possibile tenere definitivamente questa bicicletta” Barbara attese un attimo prima di rispondere quindi disse: “Acquistai Mnemosine tanti anni fa, era di un giovane ragazzo che perse la vita investito mentre andava a scuola; il padre decise di venderla perché vederla in garage gli procurava un dolore insopportabile” concluse Barbara.

Luca rimase in silenzio, ma le tessere del mosaico, che si era costruito mentalmente stavano andando a posto lentamente. Il suo incubo…

Nel frattempo il colloquio a casa della signora Cipollini proseguiva. L’ispettore Ravazzi parlava con Carla: “Ci risulta che suo padre aveva una Fiat ritmo blu nel 1992”

“Non ricordo che macchina avesse mio padre” rispose piccata la donna.

“Carla, non essere scortese e rispondi alle domande, non abbiamo niente da nascondere” disse una signora anziana che nel frattempo era entrata in cucina, aiutandosi con un bastone. “Mamma, torna in camera tua; lo sai che non ti devi stancare” disse dolcemente Carla.

“Voglio prima capire perché queste domande sul papà”

“Ha ragione signora, e le assicuro che mi risulta molto penoso, ma abbiamo ragione di credere che nel 1992 suo marito si sia reso responsabile di un incidente investendo una ragazza in bicicletta” il volto di Ravazzi era sinceramente dispiaciuto. Amava il suo lavoro ma quelli erano i momenti peggiori. La donna, nel frattempo si era seduta accanto alla figlia.

“Il mattino del 21 marzo 1991, mio fratello Daniele, di solo 16 anni, morì investito mentre andava a scuola in bicicletta” disse Carla appoggiando un braccio sulle spalle di sua madre. “Ed esattamente un anno dopo mio padre Giuseppe, che non riuscì mai ad accettare quella morte, ubriaco investì una donna in bicicletta. Noi lo venimmo a sapere soltanto qualche giorno dopo. Ci informammo sulle condizioni della donna ed il fatto che non fosse morta ci rincuorò, ma solo in seguito venimmo a sapere che rimase paralizzata”

Madre e figlia si tenevano le mani mentre un silenzio, denso come melassa, scese nella stanza. Fu Carla la prima a parlare: “Adesso cosa ha intenzione di fare?”

“Niente, suo padre è morto e non era mia intenzione perseguirlo, volevo solo fare luce su un incidente che all’epoca rimase senza colpevoli. Adesso credo, però, sia giusto che quella donna sappia la verità…” l’ispettore lasciò volutamente che le parole aleggiassero nella stanza, quindi si alzò e si diresse verso la porta d’ingresso, dopo aver salutato l’anziana donna che continuava a piangere sommessamente. In corridoio la sua attenzione fu attirata da una foto appesa al muro. Si avvicinò e non credette ai propri occhi nel ravvisare la fortissima rassomiglianza tra l’immagine del ragazzo ritratto e Luca Rado. “E’ mio fratello Daniele” disse Carla. L’ispettore salutò ed uscì.

Nel negozio intanto Barbara si riprese dall’attimo di scoramento e con voce impostata chiese: ”Sei ancora sicuro di volere Mnemosine?”

Luca si prese un attimo per rispondere, quindi disse: “Si. Il nostro è stato un incontro fatale e sono convinto che fra di noi il legame sia più forte di quello che si possa pensare”

“Allora Mnemosine è tua, te la regalo e mi raccomando tienila bene, anche se in realtà avrebbe bisogno di una bella revisione da parte di Glauco”

Per la prima volta Luca vide sorridere la donna, ringraziò ed usci dal negozio promettendo che sarebbe tornato.

Il cellulare si mise a suonare: “Si”

“Sono contenta di sentirti” disse Ravazzi. Luca memorizzò il tono, per la prima volta, confidenziale e rispose: ”anche io sono contento Luna”

“Beviamo un caffè insieme? Dovrei metterti al corrente degli ultimi sviluppi”

“Anch’io ho qualcosa da raccontarti” rispose il ragazzo sorridendo.

 

Alberto Zanini

 

Racconto incluso nell’antologia “Precipitare in libertà” edito da Sensoinverso edizioni.

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