La leggenda del capo di Buona Speranza – Lorenzo Allegrini – IlViandante editore

La leggenda del capo di Buona Speranza – Lorenzo Allegrini – IlViandante editore

Recensione di  Simone Consorti

È così raro imbattersi in un poema epico in ottave ai giorni nostri che sorge spontaneo  una sorta di pregiudizio misto a scetticismo, ad apertura di libro. In La leggenda del capo di Buona Speranza, attraverso l’escamotage manzoniano dell’opera ritrovata (un poema in afrikaans, scritto dal fantomatico cantore Willem du Preez), Lorenzo Allegrini, al suo secondo poema epico dopo Apocalisse pop!, viaggio dantesco in terzine nel mondo moderno, lo previene con una sorta di “ironica excusatio”, come sottolinea l’ottimo prefatore Andrea Accardi. In realtà il libro è tutto tranne che il lavoro di un epigono. Nulla è più lontano dalla pomposità del De Africa di Petrarca, sia l’uso sapiente dell’ironia che la scelta del punto di vista. Intanto qui il mito dell’Africa non è raccontato dal punto di vista del conquistatore né di chi ne è conquistato, ma da un occhio interno e autoctono, rivolto soprattutto a rivelare la natura misteriosa del luogo. In particolare il poema raggiunge la sua acme nella vicenda della genesi mitica del Capo di Buona Speranza, frutto della storia d’amore tra il semi-Dio Heitsi-Ebib e Teti.  Il tono predominante è quello ariostesco che accompagna, con una nota di distacco, tutte le peripezie e le avventure del protagonista, a partire dallo scontro coi “big five”, ovvero leone, leopardo, rinoceronte, elefante e bufalo, gli animali che si incontrano in quasi tutti i grandi safari. Anche la costruzione centrifuga e alcuni episodi parentetici richiamano l’autore de L’Orlando furioso. Gli endecasillabi sono di una bellezza cristallina, a partire dall’incipit, dove amore e mare vengono da subito apparentati: “Se avrà la forza del mare il tuo amore/prega che non sia tempestoso” e da quelli in cui l’Africa è essa stessa assimilata a un animale: “L’Africa è un gigantesco animale/che non è mai rivolto verso il mare”. Le parole e le rime, diversamente da come piacevano a Saba, non sono mai “trite”. Particolarmente notevoli per originalità quelle sdrucciole: “Ma sapevo che un debole carattere//alla fine col destino va a sbattere”. La forma omometrica, grazie a sapienti enjambement, non si fa mai cadenza scontata. Le vicende di Heitsi-Hebib, eroe “bello”, “snello”, con gli occhi “intagliati col coltello”, che combatte impavido contro animali-allegorie, senza fuggirli come Dante, ma prendendoli sempre di petto, si fanno seguire grazie ai capitoli brevi, contrassegnati ciascuno da un titolo-rubrica. Questa Africa che dà le spalle al mare colonizzatore, descritto tramite il personaggio leggendario dell’Olandese Volante è quanto di più distante ci sia dall’Africa oleografica da cartolina, che ritorna in tante opere di imitatori di Hemingway o Karen Blixen. Allegrini si rivela anche narratore sapiente, nella coinvolgente cornice in cui racconta il downtown e le township di CapeTown, le scritte dei bagni dei Backpackers, i ristoranti di Mamma Africa, i murales dedicati a Mandela-Madiba e l’ascesa alla Table mountain, con gli occhi ispirati e scanzonati di chi è capace di tratteggiare un’anima, sia essa di una persona o di una città, con una semplice immagine. Oltre a poeta vero e originale, egli è reporter e performer. Il tema del viaggio è centrale nella sua opera e le sue opere viaggiano in tour per teatri e reading come un corpo ibrido senza confini. Ci sono libri, frutto di un processo interiore dell’autore, che devono necessariamente essere scritti e altri che devono esser eletti, per far germinare quel frutto in altri. Questo poema antico e insieme nuovo contiene in sé entrambe le virtù di un’opera matura e seminale.

 Simone Consorti

 

 

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