Kvelertak – Nattesferd – Una svolta stilistica inaspettata e discutibile.

Kvelertak – Nattesferd

Anno: 2016

Provenienza: Norvegia

Genere: Post metal, stoner

Membri: Vidar – chitarra; Erlend Hjelvik – voce; Kjetil – batteria; Marvin – basso; Maciek – chitarra; Bjarte Lund Rolland – chitarra

Casa discografica: Indie Recordings

  1. Dendrofil For Yggdrasil

2. 1985

3. Nattesferd

4. Svartmesse

5. Bronsegud

6. Ondskapens Galakse

7. Berserkr

8. Heksebrann

9. Nekrodamus

I Kvelertak sono uno dei gruppi che più mi hanno colpito negli ultimi anni. Il primo approccio verso la loro musica fu distratto, ma in seguito, con un ascolto più attento mi resi conto dell’importanza della loro proposta. Imbastardendo un tappeto ritmico tipicamente Black Metal primi anni ’90 con la scuola Garage dei connazionali Turbonegro, impreziosita da reminescenze Stoner e Heavy Metal e una visione d’insieme figlia del Punk Hardcore americano degli anni ’80, la loro miscela finale non poteva passare inosservata.

 

Il primo disco omonimo del 2010 e il seguente Meir del 2013, sono due capisaldi, sospinti da una potenza travolgente e portatori di un’originalità e un’abilità compositiva fuori dal comune. Grido al miracolo,un nuovo grande gruppo è saltato fuori e non smetto di inserirli nello stereo, di appoggiarli sul piatto o di farli partire su Youtube; per di più assistendo ad un loro concerto ho la prova delle loro indiscutibili capacità. Grandi. Immaginate ora il mio sconforto quando mi sono ritrovato ad ascoltare i pezzi di questo ultimo Nattesferd.Ciò che aveva contraddistinto i primi due eccellenti lavori dei Kvelertak erano le chitarre fragorose e la vitalità di riff e cori, cose che questa volta, incredibilmente, vengono a mancare.

 

A scanso di equivoci, la partenza illude con la sezione ritmica iperveloce e gli ammiccamenti Rock, marchio di fabbrica del gruppo. La composizione pare in quest’occasione mal orchestrata e ciò che Dendrofil For Yggdrasil propone non è altro che un malloppo piatto e noioso. Dal punto di vista compositivo siamo lontanissimi da perle del calibro di Ulvetid, che aveva aperto il primo disco. Il riff Black Metal è sempre lo stesso, ripetuto all’infinito per tutta la canzone e quando ci si aspetta che possa partire qualcosa di eccezionale, l’entusiasmo viene smorzato da un accenno rockeggiante abbastanza deludente. Non è ancora successo niente, considerato che il disco è appena iniziato e le note curiose da evidenziare sono svariate. Un perfetto esempio è la seguente 1985, episodio che farà cadere la mascella a più di un fan dei Kvelertak. Improvvisamente, i norvegesi tirano fuori un rockettino quasi radiofonico, dalle tinte fortemente anni ’70. Non che ci sia qualcosa di male, peccato che in questo caso il risultato sia noioso e privo di intensità. In assoluto è la scelta più radicale dell’album. Di sicuro nelle teste dei musicisti c’era la volontà di proporre qualcosa di diverso dal loro classico repertorio, ma qui a mio parere il tentativo è di basso livello. Meno male che la traccia che da’ il titolo al disco si discosti da ciò che si è sentito prima. Nattesferd è sicuramente il momento più convincente qui presente. Il tutto si basa su un intreccio di chitarre melodiche emozionante, come i Kvelertak sanno fare; in pratica quello che ci si aspetta da musicisti del loro calibro e gusto.Peccato che non tutti i pezzi siano così. Infatti Svartmesse conferma le prime impressioni: con un attacco che sembra ricordare Edge Of Seventeen di Stevie Nicks, l’immediata conseguenza è un riffone anni ’80 ma di quelli super macho coi super baffi, ma ciò che manca, com’è normale in Nattesferd,è l’energia. Nel complesso Svartmesse è passa e non convince per niente. In assoluto Bronsegud mette in evidenza tutta la mancanza di grinta dei nordici, che si trovano a comporre un qualcosa che è ne potente, ne melodico, ma semplicemente moscio. A questo punto si può anche perdonare la ruffianeria del giretto ultramelodico anni ’80 di Ondskapens Galakse, che nonostante l’eccessivo pathos si può ritenere apprezzabile per gli appassionati.

Berserkr è l’unico pezzo su nove a dimostrare un po’ di impeto. Lo Speed Metal d’apertura infatti coglie alla sprovvista, considerato il livello generale e non è da trascurare la struttura nel suo piccolo complessa che prevede anche accenni di Rock spaziale alla Hawkwind e una tonnellata buona di blast beat. Insomma, un caso isolato di opera degna del nome Kvelertak. Heksebrann forse è un po’ troppo lunga, coi suoi nove minuti di durata, visto anche quello che propone da un punto di vista compositivo, tuttavia rimane piacevole all’ascolto.

La conclusiva Nekrodamus chiude perfettamente il cerchio di Nattesferd confermando l’andamento complessivo che si attesta sul moribondo e il flaccido. Per un’inspiegabile ragione i Kvelertak hanno preso di mira il Rock di fine ’70 e primi ’80, ma quello peggiore, quello macho patetico che vendeva poco. Il perché non si sa, ma questo rappresenta a mio parere una notevole caduta di stile. Spero che si ravvedano e capiscano che con i loro potenti mezzi, possono elaborare ancora la loro proposta primigenia realizzando dei dischi molto più interessanti di questo.

Voto: 6

Marco Zanini

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