Intervista: Roberto Gramiccia “La notte più buia. Cronache di una generazione” – (Mimesis Edizioni)

Intervista: Roberto Gramiccia “La notte più buia. Cronache di una generazione” – (Mimesis Edizioni)

 Roberto Gramiccia

Abbiamo da poco recensito “La notte più buia. Cronache di una generazione” (Mimesis Edizioni) di Roberto Gramiccia e abbiamo ora la possibilità di approfondire con lui i temi relativi al suo ultimo libro e per farci raccontare qualcosa di lui e dei suoi futuri progetti.

Buongiorno Roberto, grazie per aver accettato di chiacchierare con noi. Mi permetto di darti del tu se per te non è un problema:

 

È la prima volta che ti recensiamo e che quindi abbiamo il piacere di intervistarti. Ci piace prima di tutto conoscere meglio l’autore che andiamo a scoprire di cui impariamo ad apprezzare le opere. Assieme all’artista ci piace conoscere l’uomo. Ci puoi raccontare qualcosa di te?

 

Per sapere qualcosa di me basterebbe leggere il libro di cui parleremo. Cosa che voi avete già fatto e di questo vi ringrazio. Per rispondere sinteticamente, come si conviene in un’intervista, dirò che quella raccontata è la storia di un medico atipico che si è cimentato principalmente in tre ambiti, oltre a quello professionale: la critica d’arte, la scrittura, la politica. Con esiti che, evidentemente, non sta a me giudicare. Attraverso questa storia si intende narrare quella di una intera generazione.

 

Il tuo libro si intitola “La notte più buia”. Come è nata l’idea di scrivere questo libro e come poi è nata l’idea di intitolarlo in questo modo?

 

Ho scritto questo libro per reagire, vitalisticamente, alla “notte buia” rappresentata dalla Pandemia da Covid. Ma c’è una seconda ragione, che coincide con il primo ricordo della mia vita. La scoprirà chi avrà l’amabilità di leggerlo.

 

Leggendo il tuo libro si nota una forte critica verso il sistema capitalistico che è a tutti gli effetti dominante nel contesto sociale e politico in cui viviamo. In un tuo immaginario universo perfetto cosa manterresti e cosa, e come, cambieresti questo nostro stile di vita moderno?

 

Il nostro stile di vita, come tu lo definisci, contribuisce a produrre danni incalcolabili e una vita miserevole per miliardi di persone nel mondo. I milioni di morti della pandemia non sono solo una calamità naturale ma la conseguenza dell’esplodere delle contraddizioni capitale/ambiente e capitale/salute pubblica, che si sono aggiunte a quella classica capitale/lavoro. Il capitalismo, non lo scopro certo io, rispetto ai sistemi economico-politici che nei secoli lo hanno preceduto, ha prodotto enormi avanzamenti. E’ finito però il tempo della crescita e dello sviluppo, come quello dello stato sociale degli anni gloriosi. Oggi, semplicemente, questo sistema economico-politico non è in grado di tutelare il pianeta e i bisogni vitali della maggior parte dei popoli del mondo. Anzi, non è in grado nemmeno di difendere quelli della sua classe storica di riferimento: la borghesia. Quindi la necessità di un suo superamento si pone nei fatti, al di là e al di sopra di qualsiasi perimetro ideologico.

 

Raccontando la tua storia racconti anche, attraverso il filtro della tua sensibilità, le vicende che hanno interessato la tua generazione, tanto che il sottotitolo di questo libro è proprio “Cronache di una generazione”. Tempo fa Giorgio Gaber cantava “la mia generazione ha perso”, tu della tua che bilancio fai rispetto a quanto fatto nel bene o nel male e di quanto avrebbe potuto fare e non ha fatto? Hai dei rimpianti nei tuoi confronti e nei confronti della tua generazione rispetto a qualcosa che si sarebbe potuto fare in maniera migliore?

 

Ad essere sincero, l’elaborazione della sconfitta in questi ultimi decenni, rispetto ai sogni rivoluzionari che hanno attraversato la mia giovinezza e la mia maturità, è stata dura e dolorosa. A volte mi domando se è valsa la pena sacrificare tanto della mia (della nostra) vita giovanile a un sogno che si è infranto come uno specchio. Se potessi tornare indietro, rifarei quello che ho fatto ma con meno radicalismo, dedicando più tempo all’amore, all’amicizia, ai viaggi, alla vita.

 

È notizia di questi ultimi giorni il fatto che si stia aprendo un processo per appurare eventuali responsabilità riguardo alla gestione da parte delle varie istituzioni della pandemia da covid 19. Sui giornali iniziano anche a circolare stralci di intercettazioni a tratti davvero incredibili e molto preoccupanti. Tu hai posto l’accento sul ritardo, a tuo avviso ingiustificato, con cui si è dato il permesso di effettuare le autopsie ai morti da covid cosa che se invece fosse fatta in tempi celeri avrebbe permesso, secondo te, di salvare moltissime vite. Tu che giudizio dai della gestione della pandemia nel nostro paese?

 

Sono stati fatti molti errori. Quello delle mancate autopsie è uno di quelli meno nominati ma più rilevante. Più in generale, la pandemia ha svelato tutti i limiti di un’organizzazione sanitaria malauguratamente privatizzatasi a discapito della sua natura pubblica, specie a livello territoriale. Ancora una volta, poi, si è pagato il prezzo che inevitabilmente si deve pagare quando al centro si pone l’iper-specialismo e la sottovalutazione della natura unitaria di qualsiasi problema clinico, individuale e collettivo (troppi virologi e nessun clinico generalista a prendere decisioni). Non sono mancati, tuttavia, aspetti positivi che da un certo momento in poi hanno permesso di contenere i danni, che restano comunque purtroppo incalcolabili. Anche se dimenticati e rimossi a tempo di record (poveri noi!).

 

Nel 2023 siamo ancora qui a parlare di guerre, di interi pezzi di mondo nel quale la gente muore letteralmente di fame, di grandi aree del mondo nelle quali i bambini non possono accedere al diritto allo studio e ad una condizione di vita accettabile, nel quale le donne vengono trattate da schiave, nel quale le persone muoiono in mare nella disperata ricerca di un futuro migliore. Secondo te in un mondo così tecnologicamente progredito è accettabile tutto ciò? Dove pensi che si possa e si debba intervenire per poter migliorare la situazione?

 

In parte ho già risposto a questa domanda quando ho sinteticamente richiamato i limiti, l’inadeguatezza ma anche la ferocia del sistema economico dominante.  Sul “che fare” non si può non porre in evidenza la necessità di superare la passività che, nonostante alcuni fenomeni in controtendenza, invischia miliardi di persone che sopportano l’insopportabile, in silenzio e senza reagire. Naturalmente esiste una graduazione dei livelli di sofferenza che ormai dilaga, tuttavia, anche in paesi evoluti come il nostro, dove esiste un livello di povertà e di disuguaglianza divenuto odioso. Mentre vi ringrazio ancora per la conversazione, vorrei concludere informando i vostri lettori anche dei molti aspetti più “leggeri”, ironici e divertenti di una narrazione volutamente asciutta e antiretorica, che aspira a catturare l’attenzione del lettore. Nel libro si parla di amore, amicizia, di sogni non solo infranti ma anche realizzati, di tante cose divertenti che, per fortuna, una vita di passioni e di impegno, sinora, non ha fatto mancare.

David Usilla

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