Intervista a Edo di Uno Sguardo Oltre per il disco Riflesso

Intervista a Edo di Uno Sguardo Oltre

 1. Uno Sguardo Oltre. Un nome enigmatico. Qual è il suo significato?

 Bella domanda per partire. È da premettere che il significato del suo nome è vivo, muta nel tempo. Inizialmente lo intendevo come “uno sguardo oltre la sofferenza”: ho visto tante volte persone inchiodate dai propri problemi e il nome del gruppo era un invito (rivolto anche a me stesso) a vivere pienamente la propria esistenza, nonostante tutto. Ora direi che il significato si è esteso: uno sguardo oltre le apparenze, ciò che percepiamo di primo impatto, gli istinti…la realtà in cui ci muoviamo è immagine, contiene, e forse certe volte nasconde molto di più: il nome del gruppo, ad oggi, indica una ricerca di questo “oltre”, intuibile ma mai afferrabile completamente.

2. Quando il gruppo è nato quali erano i propositi? La volontà era di ispirarsi ad un gruppo nello specifico o ad un genere? O diversamente?

 Sorrido a questa domanda: come molti gruppi, questo era nato per fare un genere estremo e divertirsi. Uno dei possibili nomi del gruppo era “Forfora” e da questo si capiscono molte cose!  Niente gruppi particolari di riferimento, ma la voglia di fare musica che spalmasse il pubblico dall’altra parte della sala concerti: ci saremmo indirizzati verso il grindcore. Ma già dalla scelta del nome e dalla composizione della prima canzone, e sottolineo, per fortuna, la via del gruppo che si stava costruendo era molto diversa.

3. Io sostengo sempre il cantato in italiano e ho una mia idea del perché un gruppo italiano dovrebbe utilizzarlo. Qual è il motivo per te?

 L’italiano è la nostra lingua ed è bellissima. Se sono nato e cresciuto con questa significa che è quella più adatta a me e, per questo, voglio utilizzarla. Con un’altra lingua inoltre non avrei saputo esprimermi al meglio delle mie possibilità. Infine, ritengo insensato il fatto che l’inglese stia entrando sempre di più nel nostro quotidiano. Non mi oppongo al fatto che sia utilizzato a livello globale per scambi economici e non: una lingua utilizzata in tutto il mondo è, oltre un dato di fatto da accettare, molto comodo per svariate ragioni. Ciò che non condivido è l’utilizzo di espressioni, concetti, vocaboli ecc. tipiche della cultura anglosassone quando abbiamo benissimo le modalità, spesso ben più adeguate, per esprimerle con la nostra.

4. Com’è avvenuta la registrazione e la realizzazione di Riflesso? Sei soddisfatto?

 Abbiamo registrato l’album in tre giorni, con l’aggiunta di una giornata qualche settimana fa per i ritocchi, ma ne sarebbero serviti almeno sette in totale. Circostanze, tempo e soldi hanno portato a una sessione così breve. Sono soddisfatto di molti aspetti ma se avessi potuto mi sarei preso altri due o tre giorni per ulteriori “fiocchetti”. In fondo, però, se le cose sono andate così vuol dire che c’è un motivo, e quindi da questo lavoro non chiedo altro.

5. Spiegaci il significato dei testi di Riflesso.

 L’intero album è un approfondimento del percorso esistenziale che nella Demo “Crisi” era già stato affrontato: il passaggio dal buio del male alla luce del bene. “Noi che sentiamo (oltre lo sguardo)” è l’introduzione: un inno rivolto a coloro che si sentono diversi e che chiedono qualcosa di più dal mondo che li circonda. Il vero e proprio percorso inizia dalle tracce 2 e 3: “Preludio” (2) introduce “Vuoto” (3), traccia senza testo in cui si vuole descrivere una condizione interiore derivante dalla lontananza della Verità. L’“Amore non corrisposto” (4) è l’esperienza più negativa che si possa vivere: senza qualcuno che ti vuole bene per come sei non si può andare avanti. L’amore è da intendere in senso lato: genitori, amici, fidanzato/a…quante volte siamo convinti di cavarcela benissimo da soli, ma in fondo sappiamo di soffrire perché le nostre relazioni sono un fallimento? Queste esperienze generano una “Crisi” (5): si percepisce che serve un cambiamento della propria condizione. Di certo la risposta non può venire dalla nostra razionalità che spesso ci ingabbia: questo è il significato della canzone “Nella sfera” (6) e il motivo per cui rimane un solo giro di accordi, che si ripete continuamente, ad indicare che da lì non se ne esce. Il “lato nero” si conclude qui e dalla settima canzone si apre un possibile scenario di salvezza. La “prima fase” di salvezza è data da una ricerca dentro di sé (”Introspezione completa”, no7) in cui si scopre la “Luce” (8). Non è vero che siamo fatti solo di difetti, di odio e di male: dentro di noi vive il bene, il problema è scoprirlo e risvegliarlo. “È stato scritto” (9) ci ricorda che ciò che viviamo non viene solo dalla nostra volontà: apre le porte all’Oltre. Ho scelto di cantare del “Perdono” (10) in quanto lo ritengo non solo un atto ma proprio una categoria esistenziale: perdonare significa comprendere fino alle radici di cosa sia fatto l’uomo, ovvero di limiti e problemi che il perdono può risanare. “Riflesso” (11) con l’unica frase come testo “non siamo sufficienti”, porta a compimento tutto il percorso: la luce dentro di noi è il riflesso di quell’Oltre ricercato. L’introspezione è certamente una buona via, ma non può essere completa senza il riconoscimento dell’altro e dell’Altro.

Edo di Uno Sguardo Oltre.

6. Quando si ascoltano le vostre canzoni emerge un sentimento di rabbia ma anche di sfiducia. Questo comunque unito ad una sensibilità quasi intimista, inedita per il genere. E’ vero? Perché questa scelta?

 Inizialmente prevalevano quei sentimenti di cui parli e si, essi derivano da una forte sensibilità che ritengo presente nella musica estrema ma spesso nascosta da odio e violenza, non reali in chi li promuove. Non è stata una scelta ma un naturale modo di esprimersi: non avrei potuto fare altrimenti.

7. Pensi che il progetto proseguirà con questa onda stilistica o muterà di nuovo?

 Anche questa è una domanda interessante! A quasi un anno dalla registrazione non so davvero come e se il gruppo proseguirà e in che termini. Di certo c’è solo che, se continuerò, farò ciò che più mi verrà spontaneo come ho provato fino ad ora.

8. Ci sono dei gruppi, di qualsiasi genere, che vorresti consigliare al pubblico?

 I Black Sabbath! Per me, sono la sintesi di rock, metal, pop, progressive e psichedelia, tutte forme presenti nella loro musica ma nessuna mai prevale troppo sulle altre. Ovviamente intendo i Sabbath di Ozzy: i primi sei dischi in particolare, ma anche il settimo e l’ottavo da tener presente. Dei loro testi apprezzo il “misticismo”, quel parlare “dell’oltre” e, allo stesso tempo, nasconderlo. L’unica loro pecca è che non si schierano mai né da una parte né dall’altra, descrivono allo stesso modo bene e male: tanti messaggi che vanno così a mandare non sono buoni. Per capirci: al loro concerto a Dublino Ozzy ha aperto con il segno della croce: come può fare questo e andare, dopo 20 minuti, a cantare NIB? Infine vorrei consigliare l’ascolto della musica classica: è come leggere un buon libro.

9. Che idea ti sei fatto dell’ambiente underground? Quando vai ai concerti vedi persone coinvolte genuinamente o credi che il pubblico medio lasci a desiderare?

 Ognuno può avere mille motivi diversi per andare a un concerto underground (e non). L’unico atteggiamento riscontrato che mi lasciava perplesso (parlo al passato perché è da un po’ che non li frequento) era di chi gli interessava solamente ci fosse del volume alto e dell’alcol/droga per anestetizzarsi: zero interesse per la musica  e per gli altri. Ma ho imparato ai concerti dei centri sociali il significato del termine accoglienza: tante volte la si sperimenta, ed è genuina. In sintesi, ho visto sia persone coinvolte genuinamente che non: penso non si possa generalizzare in quanto ogni persona è un mondo a sé, spesso contradditoria.

10. Ritieni che nell’underground complessivamente ci sia il giusto supporto da parte del pubblico e il giusto sostegno tra i gruppi o si potrebbe fare di più?

 Le forze in gioco sono due: da un lato, c’è il piacere personale (che di per sé non è sbagliato), dall’altra c’è l’idea di collettività. Questo è un tema che riguarda la giustizia in senso lato e di esempi se ne possono fare tanti: se siamo in pochi ritengo giusto rimanere presente nella sala concerti anche se non è il mio genere preferito; se ho 10 euro per la serata, potrei non bermeli tutti e comprare qualche cosina al gruppo. Diciamo che, come ho già osservato nella risposta no 9, non si può fare una generalizzazione in quanto si vede di tutto. Lo stesso vale per il sostegno tra i gruppi: non posso però nascondere di aver visto un clientelismo diffuso, che va a braccetto con il conformismo. Ma per fortuna c’è anche chi riesce, e serve più forza, a mantenere scelte davvero libere e sincere.

Grazie per aver risposto alle domande. Complimenti ancora per il disco. Alla prossima. Saluta come preferisci I Gufi Narranti.

 Grazie a te caro! Chi sono questi Gufi? Ad ogni modo, che Dio vi benedica!

Zanini Marco

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