Intervista Antonio G. D’errico co-autore con Donato Placido di “Dio e il cinema”

Di seguito riportiamo l’intervista fatta da Didi Agostini ad Antonio G. D’errico di cui qualche giorno fa abbiamo recensito il libro Dio e il cinema scritto a quattro mani con  Donato Placido edito dalla Ferrari editore.

Conosciamo meglio quindi uno dei due autori che gentilmente si è prestato  per una breve intervista.

Come è nata l’idea di questo libro?

Come tutte le cose che accadono, dietro c’è una storia che le regge. Dio e il cinema non ha come sostrato né Dio e neanche il cinema ma è retto dalla vita di due amici che si sono incontrati trent’anni fa e da allora hanno condiviso molti aspetti del loro essere artisti, scrittori, poeti. Antonio G. D’Errico e Donato Placido hanno scritto molto insieme, testi per il teatro e per il cinema, romanzi, sillogi poetiche. Tutto quanto ha un valore letterario noi lo abbiamo condiviso e reso con parole. Sono immagini che nascono dall’esperienza vissuta e per questo assumono rilievo di testimonianza universale, che perdura nel tempo, il cui valore supera i tempi e le mode per assurgere a ideale estetico, in cui la forma e la bellezza sono assoluti. Dio è il cinema è la storia di chi ha reso arte l’esistenza, con i suoi vuoti e le sue follie, in cui la vita si fa occasione, a volte mancata, altre volte attesa, sperata. Troppo spesso delusa da un mondo che volge i suoi sforzi verso la ricerca del piacere che attrae, abbacina prima di spegnersi in un delirio cronachistico, drammatico e luttuoso. La speranza rimane l’amore che non si materializza, ma muove e tocca l’intimità degli animi semplici.

Mi piace molto questo surf tra vari episodi e tematiche, mantiene desta la curiosità di chi legge. È stata una scelta studiata a tavolino o avete deciso di impaginare i ricordi così come arrivavano?

Le parole sono segni che non sempre sottendono verità oggettive. Certamente l’effetto di termini come “surf” o di predicati come “impaginare” risulta essere estremamente sorprendente. Non pensavamo di doverci confrontare con immagini e destini attinenti al mare, alle onde, all’estate. Anche se nei desideri di ognuno la bella stagione rimane un suggestivo investimento della mente e del corpo. Neanche pensavamo di aver impaginato ricordi. È per noi una vera novità. Rimane il fatto che ogni libro che si materializza nella sua necessità è l’esito di un progetto, che non si compone di segni, pagine e significati nel momento in cui viene pensato. È una forma ideale del pensiero. Bisogna scriverlo, però, e dargli sostanza. È quanto abbiamo cercato di fare, scegliendo tempi e modi per descrivere la vita nella sua dinamicità, con le sue certezze, troppo spesso incoerenti, e le sue leggerezze.

Un’altra cosa che ho amato e ammirato è il modo in cui si parla di Dio. Argomento delicato e allo stesso tempo spigoloso. Avete mai temuto eventuali critiche dai lettori più ortodossi?

Siamo lusingati per la tua ammirazione verso la nostra necessità di voler sondare la profondità e l’altezza dello Spirito Assoluto. In realtà affrontando una verità tanto lontana dal mondo quanto permeante l’essenza di tutte le cose, reali e ideali, si può cadere in paradossi della ragione e smarrirsi nei dubbi e nell’irrazionale bisogno di cercare una verità che rimanda al cielo e a una sostanzialità ultraterrena. Ma com’è possibile poter pensare a una condizione dell’esistenza che è negazione della realtà dell’uomo? Non è Dio che viene negato è l’umanità che perde significato quando supera se stessa per farsi verità ideale, indeterminata e assoluta. Dio è una verità scomoda, dici: traduciamo il tuo dubbio posto nella domanda che afferma essere Dio “Argomento delicato e spigoloso”. In realtà, ribadiamo che la ricerca di Dio è la ricerca dell’idealità dell’uomo. Ci si può anche preoccupare del mangiare, del mangiare sano, dell’accumulare denaro, della ricerca del piacere, ma queste dimensioni non attengono né a Dio e neanche all’uomo. Non è fine dell’esistenza il mondo, anche perché tutti – o quasi tutti, che noi sappiamo – dobbiamo lasciarlo. Fine della vita è la vita che si fa spirito e, quindi, negazione della materia, del corpo che brama piaceri e ricchezze. Noi crediamo in questo. Qualcuno vuole muovere delle critiche? Non ci spaventano e neanche ci creano disagio di nessuna natura. Ognuno ricorra al suo pensiero, visto che è animato da ragioni che attengono allo spirito e non al piacere. Noi non vogliamo piacere indagando la sostanza di Dio. Vogliamo appena capire facendo affidamento sulle nostre facoltà.

Cosa direste ai giovani che si cimentano oggi con il cinema o la televisione? Esiste qualche consiglio che potrebbe fare la differenza?

Chi si cimenta entro realtà di questo tipo si cimenta ancora con se stesso. Mette in relazione sé con gli altri. È ancora un cercare verità che gli appartengono, se gli appartengono. Tu chiedi dei “giovani”! Per noi, anche questa separazione tassonomica tra giovani e vecchi, donne e uomini e altre definizioni ci appare illogica. È voler trovare una distanza in un’umanità che è una, fatta di persone, con caratteristiche fisiche e mentali diverse o uguali, con interessi simili o opposti. I giovani siano uomini, animati dalla ricerca dell’ideale. Per fare uso del corpo e esibirlo su una ribalta qualsiasi bisogna essere in grado di dedicarsi all’arte del palcoscenico, comprendere le sue dinamiche, i suoi ritmi, dare respiro ai pensieri prima che alla voce. Bisogna essere liberi e gravi di contenuti per presentarsi serenamente a una platea e rendere loro un bene di cui hanno bisogno. Anche in questo caso non è il piacere che unisce artista e pubblico, ma la bellezza, l’ideale umano che innalza sopra le bassezze del quotidiano.

Negli ultimi tempi sono state realizzate parecchie fiction per la televisione. Cosa ha perso o ha guadagnato la televisione italiana rispetto ai tempi de “La Piovra”?

Dai tempi della Piovra ai giorni che stiamo vivendo, o subendo, è cambiato tutto. Allora nelle case c’erano la radio, i mangianastri con le cassette, la televisione a misura d’uomo. Adesso la televisione è fatta di pannelli tridimensionali che irradiano immagini sofisticatissime. Nelle tasche di ognuno ci sono cellulari, per mezzo dei quali ognuno è connesso al mondo intero attraverso Facebook, Instagram, WattsApp, Messenger. Ragazzi e adulti, i padri degli stessi ragazzi molto spesso, passano il tempo a guardare video assurdi dal cellulare, divertiti, ridendo senza tregua e pudore. Una volta con La piovra non si rideva, si tremava di dubbi e di affanni. La fiction, d’altra parte, era la rappresentazione letteraria di un’Italia che creava rabbia e inquietudine.

Avete un aforisma adatto a fare da manifesto alla nostra società sempre più decadente?

Abbiamo più di un aforisma, ma ti rispondiamo con un brano scelto tratto dal libro Dio e il cinema. «Sembra che sia tutto immutabile, poi però all’improvviso tutto cambia: il clima, l’innalzamento dei mari, la temperatura nell’atmosfera.

Noi siamo immersi in tutto questo, come puntini smarriti. In un mio aforisma richiamo perfettamente una condizione di questo tipo, con sei parole, ripetute, due gemiti messi in mezzo a quattro domande: “Cos’è? Cos’è? Dolore! Dolore! Hai bisogno di me? Hai bisogno di me?”.

Questa eco che si fa richiesta e solitudine rappresenta la vera condizione di un uomo solo, senza parole, senza più forze.

Esprime la condizione che appartiene a quest’umanità dei nostri tempi, senza forza, senza respiro, senza la speranza di una via d’uscita, tesa a soddisfare, quando va bene, i bisogni più bassi, primordiali, di un essere spaventato dalla vastità delle cose create.

Questa eco che si fa richiesta e solitudine rappresenta la vera condizione di un uomo solo, senza parole, senza più forze».

cinema
Antonio G. D’ errico

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