INTERVISTA AD ALESSIO PIRAS – Sabotaggio Todaro Editore

INTERVISTA AD ALESSIO PIRAS – Sabotaggio Todaro Editore

Dopo avere recensito il racconto Sabotaggio di Alessio Piras che i lettori dei Gufi già conoscono per i suoi romanzi edito dalla Fratelli Frilli Editori, scambiamo due parole con lui.

Ciao Alessio, ben tornato sulle pagine de I Gufi Narranti.

  • Come nasce l’idea per il racconto?

L’idea nasce da un fatto realmente accaduto nel 2015 e del quale sono stato testimone. Si tratta di uno di quegli avvenimenti un po’ straordinari e tragicomici che rompono la nostra routine. Una di quelle storie che poi si raccontano a parenti, amici, figli e nipoti. Visto che non ho mai saputo come questo fatto si è concluso, ho provato a immaginarlo.

Contemporaneamente, in quello stesso periodo, nasceva il vicequestore Libeccio, in un racconto andato pubblicato sul sito Racconti Scontati. Fu una folgorazione mentre passeggiavo con mia moglie Laura per i vicoli della città vecchia di Genova. Una giornata grigia, umida, con una forte libecciata (da qui il nome) che ingrossava il mare, tanto caratteristica della Liguria. Fisicamente assomiglia a un mio ex collega, ma quello che più mi attirava era la corrispondenza tra il nome, Libeccio, che è anche un vento, e il carattere dell’uomo: non tormentato, ma disincantato. Non so perché ho come l’idea che il libeccio sia un vento senza illusioni: vorrebbe portare il bel tempo o la frescura, ma in realtà è il principale responsabile di mareggiate e maccaia, due eventi climatici che insieme hanno plasmato il carattere dei genovesi, la genovesità.

E accanto al vicequestore vidi subito l’ispettore Levratto, un vero figlio dei carruggi, nato nel sestiere della Maddalena da una madre prostituta. Uno di quelli per cui si potevano aprire solo due strade: la piccola delinquenza o la carriera da poliziotto. È come un padre buono, con tutti, e nei confronti di Libeccio, che è più giovane di oltre vent’anni e suo superiore, questo sentimento paterno è particolarmente forte. Lo vede sperso, anima in pena, anarchico e sbirro, un ossimoro praticamente.

La prima versione di “Sabotaggio” è del 2016 ed era molto più breve. Poi nel 2017 ho conosciuto Veronica Todaro e ho scoperto la collezione I Gechi della Todaro editore: scattò immediatamente una bella sintonia, che ci ha fatto lavorare lungamente sul testo fino al risultato finale.

  • Quali difficoltà comporta la stesura di un racconto rispetto al romanzo?

Non posso che dare un’opinione del tutto personale. Il racconto è un genere narrativo che rappresenta una vera sfida intellettuale: si tratta di raccontare una storia compiuta utilizzando il minor numero di parole. Per assurdo, avendo dei limiti, il racconto permette possibilità illimitate: la prima versione non sarà mai quella definitiva, ma neanche lo sarà la seconda, la terza o la quarta. Ogni singola parola ha un suo peso specifico. Se la prima bozza si può scrivere di getto (Tabucchi sosteneva che un racconto va scritto tutto in una volta), quella definitiva è frutto di un intenso lavoro di cavatura (come direbbe Sciascia, un vero maestro della sintesi). Il romanzo, invece, non ha limiti, presenta altre sfide, che non sono certo da meno. Anche se, a pensarci bene, alcuni romanzi che sono considerati dei capisaldi altro non sono che una serie di racconti chiusi in una cornice. Prendi Il circolo Pickwick, di Dickens: sono innumerevoli le interruzioni della trama principale per raccontare una storia diversa, che spesso serve come esempio per far passare un messaggio preciso (pensiamo alla scena in cui Pickwick e i suoi amici sono seduti di fronte al fuoco la sera di Natale e lì viene raccontata la storia di un vecchio avaro che poi sarà il primo bozzetto del famosissimo Canto di Natale dickensiano). Molti scrittori, poi, vanno in crisi quando gli si impongono limiti di spazio, non capendo che quel limite apre frontiere creative insospettabili. Anche per questo sono molto orgoglioso del mio unico premio letterario in bacheca: il concorso spagnolo di Twitteratura Aleph del 2017. La prova consisteva nello scrivere un racconto di massimo 140 caratteri e vinsi con un micro racconto noir in spagnolo che traduco in italiano per i vostri lettori: “Quando mi svegliai, mi accorsi che lo avevo accoltellato con la destra, ed ero mancino”. Ovviamente, la giuria formata da giovani dottorandi di letteratura spagnola e ispanoamericana ha colto l’allusione a quello che viene considerato il più breve racconto della storia della letteratura: “Cuando despertó, el dinosaurio todavía estaba allí”, di Augusto Monterroso.

  • Come mai anche se hai scritto un racconto, hai deciso di scrivere un testo giallo?

È una sfida nella sfida. Il giallo deve avere una struttura precisa, con delle regole sue. Già scrivere un romanzo poliziesco obbliga a incastrare diverse tessere, non solo a livello di trama, ma anche come disciplina di scrittura. Comprimere questo artefatto letterario nel genere del racconto è, quindi, un bel grattacapo, perché perdersi dei pezzi nell’ansia della brevitas oppure dilungarsi in eccesso è un attimo. Poi la storia del furgone rubato ben si adattava sia alla forma gialla che al genere racconto: diciamo che più che una scelta, tutto è stato frutto di una naturale evoluzione degli stimoli creativi iniziali.

  • Alessio Piras In ogni tuo scritto, sia “Sabotaggio” che nei romanzi è sempre presente, in un modo o nell’altro, la figura di De André, vuoi parlarci del tuo “rapporto con lui?

La musica di Fabrizio De André fa parte della mia vita da quando ho memoria (e credo che questo sia un denominatore comuni a molti genovesi miei coetanei). Tempo fa un collega siciliano mi ha detto che la mia parlata, per l’accento e il modo in cui spiego le cose, gli ricorda il De André dell’ultimo tour. È una suggestione sua, chiaramente, per via della cadenza ligure che impasta tutto quello che dico, ma a me ha emozionato particolarmente. Ricordo, poi, che da bambino assistevo alle discussioni dei miei nonni sul genovese di Creuza de ma, per loro troppo letterario e poco reale; ma noi genovesi mugugnamo sempre (per inciso: non è il genovese che si sente parlare nei carruggi, quella di De André è una lingua letteraria, un’operazione quasi manzoniana e, per questo, forse ancora più importante). Oppure ricordo la voce che recita il parlato de Le Nuvole che insieme a mio padre ascoltavamo in religioso silenzio, o giocando con le nubi che potevamo vedere dal finestrino. Poi è venuta la consapevolezza politica e sociale: La buona novella lo ascoltai la prima volta a diciassette anni e cambiò tutta la percezione che avevo avuto fino a quel momento della figura storica di Gesù Cristo. Ma non solo: è forse il disco più politico del cantautore genovese. Infine, lontano da Genova e la Liguria ormai da 12 anni, la musica di De André è anche un balsamo per la nostalgia: la cura, ma a volte l’accentua.

Grazie ancora per essere tornato a trovarci, arrivederci alla prossima sulle pagine de I Gufi Narranti.

 

Grazie a voi, spero ci sia presto un’altra occasione.

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