Intervista a Paola Sironi – “I giorni dell’illusione” (Todaro Editore)

Intervista a Paola Sironi – “I giorni dell’illusione” (Todaro Editore)

Paola Sironi

 

Abbiamo da poco recensito “I giorni dell’illusione” (Todaro Editore) di Paola Sironi e abbiamo ora la possibilità di scambiare con lei quattro chiacchiere per conoscere meglio lui ed il suo nuovo romanzo

 

Buongiorno Paola mi permetto, se sei d’accordo, di darti del tu. Partiamo con le domande:

  • Essendo la prima volta che ti recensiamo e che di conseguenza ti intervistiamo, ci piacerebbe sapere un po chi è Paola Sironi donna per poi andare a scoprire chi è Paola Sironi scrittrice. Puoi darci un tuo ritratto per conoscerti meglio?

Metodica e scombinata, credo sia l’ossimoro che mi definisca meglio. Ambirei a una vita ben programmata e organizzata, ma finisco sempre con sovraccaricarmi di impegni nei quali fatico a districarmi. Un po’ mamma, anche se la bambina ormai è adulta, un po’ casalinga, un po’ impiegata nel terziario avanzato, un po’ scrittrice, un po’ organizzatrice di eventi di reading. Sempre di corsa e perseguitata dall’ansia di essere in ritardo, come il coniglio di “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Milanese pragmatica, ma con la capacità d’isolarmi completamente quando sono dentro a un ragionamento logico o a una delle mie fantasticherie, quelle che hanno buone probabilità di trasformarsi in spunti per i miei romanzi.

 

  • Paola Sironi come mai hai voluto ambientare questo romanzo proprio in questo particolare periodo storico?

Perché ho avuto l’impressione fin dall’inizio che la pandemia fosse una fase irrepetibile e inaspettata. È stata come un semaforo sull’autostrada di agevolazioni nella quale eravamo abituati a vivere. Volevo fotografare il momento e far muovere i miei personaggi nelle stesse restrizioni e sensazioni vissute da tutti noi. Mi è sembrato un modo per renderli più vicini ai lettori e al loro quotidiano. È solo uno sfondo, come il tema sociale dell’emancipazione femminile: entrambi sono elementi ricorrenti nella vita personale dei personaggi e nei racconti fantastici di Patrizio Consolati, ma non sono strumentali all’indagine. Solo l’illusione diffusa di un avvenire più clemente, che caratterizzò l’estate del 2020, è una costante della trama che accomuna la società civile e il fuori campo di una voce criminale. Per tutti è appunto un’illusione necessaria alla sopravvivenza e come ogni illusione, destinata a dileguarsi.

 

  • Per la squadra “Desbrujà Rugne” è, se non erro, la terza puntata, e come sempre c’è Annalisa Consolati come protagonista. Quando hai scritto il primo capitolo della saga avevi già in mente di costruire un personaggio seriale oppure è stato l’affetto dei tuoi lettori a convincerti ad andare avanti a scrivere di questo personaggio e della sua squadra?

Li ho concepiti subito come personaggi tipicamente seriali. Avevo già scritto una tetralogia con altri protagonisti, i fratelli Malesani e ho deciso di iniziare un nuovo filone, con l’idea di portare avanti entrambi nel tempo alternativamente. Alla fine forse sono io che mi sono affezionata troppo ad Annalisa Consolati, alla sua famiglia e alla sua squadra, così poco convenzionali da concedermi molta più libertà narrativa. Con i “Desbrujà Rugne” posso permettermi di distaccarmi da un eccesso di realismo, tipico dei legal thriller, per contaminarlo con altri generi e un pizzico di surrealismo. Ma tra i miei lettori c’è anche chi spera di incontrare di nuovo i Malesani. Al momento li ho accontentati inserendo il presunto detective di famiglia, Massimo, nella trama del mio romanzo precedente, “Sotto scorre il fiume”. Un primo passo, in futuro si vedrà.

 

  • Il primo dettaglio che fa sì che si inizi ad intuire l’identità del cadavere è un orologio Iota Megawatch AC Milan. È stata una scelta casuale oppure c’è una simpatia da parte tua verso la squadra rossonera?

Confesso di essere milanista fin dall’infanzia, sperando di non inimicarmi nessuno. Da ragazza avevo l’abbonamento allo stadio insieme a una mia amica, che ogni due domeniche veniva a prendermi alla fermata della metropolitana Lotto e che mi caricava sul portapacchi della sua bicicletta scassata fino a San Siro, all’urlo: pista, siamo senza freni! Ma non è questo il motivo della scelta. Mi serviva un oggetto identificativo da mettere su uno scheletro datato. Un orologio in edizione limitata, provvisto di numero di serie e relativo certificato, era perfetto. La scelta di associarlo al Milan non è stata dettata da ricordi nostalgici, semplicemente l’ho trovata particolarmente adatta al profilo della presunta vittima, Ivano Maltesti, anche se lui non è certo il tipo che va allo stadio con i mezzi pubblici e una vecchia bici.

 

  • Come è nato il personaggio, a mio avviso molto particolare e molto bello, di Patrizio Consolati, “il continuatore di film”?

Lo spunto mi è arrivato dalla serie televisiva “Detective Monk”, nella quale la diversità del coprotagonista è il suo punto di forza. Ho iniziato a fare ricerche sui disturbi mentali e mi sono imbattuta nella parafrenia senile, una sindrome psicotica caratterizzata dall’incapacità di distinguere l’immaginazione dalla realtà, che può arrivare a forme paranoiche. Io ho preferito orientarmi su manifestazioni più innocue e a loro modo intriganti. Le costruzioni fantastiche di un personaggio così potevano conciliarsi perfettamente con la mia passione per il cinema d’autore ed è nato Patrizio Consolati, capace d’immedesimarsi nelle trame dei film fino a inserirle nei suoi ricordi come testimone diretto e narratore, che non si accontenta della sceneggiatura originale, ma deve dare una continuazione a ogni storia per raccontarci il riscatto, più o meno malinconico, dei perdenti.

 

  • La scelta dei nomi e dei soprannomi è decisamente interessante, stuzzicante ed alquanto bizzarra. Come ti sono venuti in mente?

Come per tutti gli scrittori, i miei romanzi richiedono lunghe ricerche propedeutiche. Ci sono quelle più impegnative e quelle più ricreative, come i sopralluoghi per decidere dove ambientare un delitto o dove far vivere un personaggio, magari fermandosi a spiare dentro alla finestra di un palazzo per studiare di nascosto la planimetria di un appartamento. O come la scelta dei nomi, operazione un po’ maniacale perché lavoro sulla diffusione locale dei cognomi, in modo da dare una buona corrispondenza con i luoghi di origine. Inoltre setaccio anagrafiche nel tentativo di evitare il più possibile omonimie con persone realmente esistenti. Con questi presupposti è inevitabile approdare a scelte insolite. Tutto sommato credo siano di aiuto al lettore per ricordare e distinguere i personaggi. Solo in pochi casi i nomi sono invece frutto di piccoli giochi enigmistici che mi piace fare, ma non sono disposta a rivelare. Restano un mio sfizio segreto.

 

  • Nella recensione ho scritto che la scrittura di questo romanzo sembra quasi una sceneggiatura da serie tv. Hai mai pensato ad una trasposizione su piccolo schermo delle avventure della squadra “Desbrujà Rugne”? Secondo te quali attori potrebbero vestire i panni dei tuoi protagonisti?

Sì, sarei molto curiosa di vedere rappresentati i miei romanzi e suppongo sia un desiderio abbastanza diffuso tra gli scrittori. Anche con i rischi che può comportare: il valore aggiunto di un libro è proprio la straordinaria apertura all’immaginazione visiva del lettore, che la pellicola limita sia a lui, sia all’autore. Nel concepire i miei personaggi non mi sono ispirata a celebrità, ma a tratti di persone comuni, spesso sconosciuti intravisti una sola volta ma ben impressi nella mia mente. Per questo fatico a scegliere i miei attori ideali. Ci sto studiando da un paio di anni, da quando mi hanno posto la stessa domanda dal vivo e mi sono fatta trovare impreparata. Sono piuttosto lenta e pignola in questa ricerca, al momento ne ho trovati solo due e, visto che è un volo pindarico, ho puntato in alto, sperando che gradiscano semmai venissero a saperlo. Per Patrizio Consolati la scelta è caduta sul mio attore italiano preferito: Silvio Orlando. Mi sono chiesta come non averci pensato prima, mi pare indiscutibile. Qualche mese fa, invece, durante la visione di un documentario mi sono imbattuta in una giovane attrice, figlia d’arte: Jaele Fo. Appena l’ho vista, mi sono detta: è lei la mia Annalisa.

 

  • Hai già in mente nuovi casi per Annalisa Consolati e la sua squadra? Li rivedremo presto in azione?

E mi auguro proprio di sì. Sono ancora nella fase iniziale: ricerche e macro costruzione della trama. Mi piacerebbe impostarlo su una struttura narrativa diversa dai precedenti. È un lavoro complesso, vediamo se ne vengo fuori. Intanto grazie per la vostra recensione e questa intervista.

 

Grazie a Paola Sironi per aver risposto alle nostre domande e speriamo di averla ancora presto qui sulle pagine de I Gufi Narranti

 

 

David Usilla

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